Archimandrita

Vincenzo Marco Sirchia

MISTAGOGIA DEI MISTERI SACRAMENTALI NELLA CHIESA BIZANTINA

Piana Degli Albanesi - 2001

Ai Santi di ogni tempo
della nostra amata Chiesa di Piana degli Albanesi
che hanno vissuto Cristo celebrato nel suo Mistero.
Poiché senza la loro testimonianza
le nostre parole sarebbe un'utopia.

LETTERA DI SUA ECC.ZA REV.MA MONS. SOTIR FERRARA

PRESENTAZIONE DEL PROF. T. FEDERICI

INTRODUZIONE

Tre approcci di comprensione

Una necessaria precisazione: la distinzione tra Catechesi e Mistagogia

L’Iniziazione cristiana nei primi secoli del Cristianesimo

La mistagogia nei Padri greci: Cirillo di Gerusalemme e Giovanni Crisostomo

La mistagogia dei Misteri sacramentali

La mistagogia della Iniziazione cristiana

Analisi mistagogica del rito pre-battesimale o per costituire un catecumeno

Analisi mistagogica del rito del Santo Battesimo

La mistagogia della Confessione

Analisi mistagogica del rito dei Penitenti

Analisi mistagogica della prima preghiera di assoluzione

La mistagogia dell’Unzione dei malati

Analisi mistagogica del rito dell’Unzione dell’olio santoda celebrarsi, in chiesa o in casa, da sette sacerdoti

La mistagogia delle Nozze

Analisi mistagogica del rito del fidanzamento

Analisi mistagogica del rito della coronazione

La mistagogia del Sacro Ordine

Analisi mistagogica dei riti d’ordinazione

Analisi mistagogica delle preghiere d’ordinazione

CONCLUSIONE

GLOSSARIO

NOTE

BIBLIOGRAFIA

 

Lettera di Sua Ecc.za Rev.ma Mons. Sotir Ferrara

Rendiamo azione di grazie alla Trinità Santa che continua ad effondere la sua energia divinizzante sulla nostra Chiesa. Energia che si manifesta nel triplice dono del mistero di inizio della nostra vita cristiana a immagine di Dio e che continua a vivificarci di grazia su grazia perché possa sempre meglio risplendere in noi l’originaria bellezza.
La vitalità della nostra Eparchia si esprime ancora una volta nella bellezza del dono di un nostro presbitero, il quale ci offre il presente lavoro a tutto vantaggio dell’esercizio della catechesi mistagogica tra il nostro popolo e che abbiamo il piacere di vedere inserito, tra gli altri veramente validi, nella collana dei " Quaderni di Oriente Cristiano".
Ritengo che è sulla mistagogia che si gioca il futuro della nostra Ecclisía e delle sue tradizioni mentre condivido pienamente il pensiero dell’Autore quando afferma che "l’esperienza storica insegna che l’essersi lasciati influenzare, o aver subito la costrizione violenta di adattarsi a prassi liturgiche estranee, ha significato per le nostre comunità, la perdita dell’identità celebrativa".
La celebrazione dei divini Misteri sacramentali è essa stessa una mistagogia e più efficace essa risulterà quanto più intensa sarà la sintonia delle Energie gratuite ed abbondanti del divino Spirito con le energie umane di coloro che hanno il compito di educare alla contemplazione delle meraviglie di Dio. A costoro, mistagoghi del divino, è rivolto il presente lavoro.
Il ricorso puntuale e accurato alla mistagogia dei Padri della Chiesa costituisce, inoltre, un autentico richiamo all’unità dei cristiani e dunque al dialogo ecumenico utile a ricomporla.
Il momento attuale è quanto mai propizio a questa pubblicazione poiché coincide con il cammino sinodale che la nostra Chiesa bizantino-cattolica in Italia ha intrapreso a beneficio della sua migliore identità.
Accogliamo con gioia e soddisfazione il contributo offerto dall’Archimandrita Vincenzo Marco Sirchia che ringraziamo di cuore anche a nome degli Organismi della nostra Eparchia che a suo tempo ebbero a esprimere pieno consenso all’iniziativa editoriale. Essa si distingue, ancora, per la sua valenza culturale e ci auguriamo contribuisca a far conoscere in più ampio contesto i tesori della tradizione liturgica bizantina.

Santa Teofania del Signore e Dio
e Salvatore nostro Gesù Cristo, anno 2002.

+ Sotir Ferrara
vescovo

 

P R E S E N T A Z I O N E

Il fermento religioso culturale della popolazione, clero e fedeli, di Piana degli Albanesi era stato molto attivo già nei secoli passati. Dalla costituzione dell’Eparchia greca bizantina di Piana degli Albanesi in forma canonica ha assunto un ritmo costante, e sempre più fruttuoso. Per fare solo dei nomi, si debbono ricordare due grandi figure di venerata memoria. In ordine di tempo, anzitutto l’Archimandrita Papa Marco Mandalà, studioso di fama internazionale. E poi, fino a noi, Papa Damiano Como, con le sue plurime iniziative editoriali intorno alla sua creatura prediletta, la Rivista "Oriente Cristiano", il Proseuchitárion per la Divina Liturgia, il Commento di Gogol alla Divina Liturgia, la spiegazione accurata dei testi liturgici dei riti bizantini battesimali, crismali ed eucaristici, le officiature care al popolo, come quella per S. Nicola di Mira, e la fondazione di iniziative editoriali che concorsero alle due Collezioni attive, "Quaderni di Oriente Cristiano" nella duplice impostazione Testi, e Studi, che vanno accrescendosi con rilevanti pubblicazioni.
La preoccupazione di questi Anziani era teologica, pastorale e spirituale, e tendeva all’accesso diretto di tutti i fedeli ai Testi della sacra Tradizione, in specie liturgica, vera fonte della vita di fede, e vero culmine della vita vissuta nella carità. Ma presentare i Testi sacri ai fedeli suppone diversi problemi. Non si tratta solo di conoscenza, ma dell’aspetto prevalente che è l’assimilazione progressiva e il vissuto quotidiano.
Da questo punto di vista non si può parlare del termine improprio e abusato che è la catechesi. Come avevano proceduto i Padri dei primi 6 secoli, la catechesi deve essere riservata in modo accurato ai soli catecumeni, che sono preparati in modo assiduo per essere finalmente assimilati dal Padre per la potenza dello Spirito Santo a Cristo Signore Risorto con il suo Mistero divino unico e indivisibile, l’Iniziazione (myêsis, dal greco myéô, introdurre a un fatto, a una realtà) battesimale, crismale ed eucaristica, da vivere come costante referenziale lungo l’intera loro esistenza. Ma la catechesi è caratterizzata dal fatto che i catecumeni non hanno ancora fatto l’esperienza del Mistero, e in un certo senso la catechesi è ancora da fuori di esso.
Invece, sempre secondo le precise visuali dei Padri, si deve parlare di mistagogia (o di catechesi mistagogica). Già il prestigioso termine greco indica che un mystês, un "iniziato", di per sé il Vescovo, e per mandato del Vescovo anche il Presbitero e il Diacono, dovrà condurre, ágô, gli altri mystai, gli iniziati, sempre più dentro il Mistero ricevuto, ma in modo continuo, instancabile, assiduo, in continua crescita spirituale.
La mistagogia parte e insiste dall’esperienza del Mistero ricevuto una volta per sempre, e che condiziona l’intera esistenza dei fedeli. Infatti, a ben riflettere – e sarebbe ora di questo ben riflettere - le realtà della vita cristiana nell’Iniziazione hanno la loro fonte, il loro centro e il loro culmine, sicché nessuna realtà cristiana di fatto proviene da altro. Insomma, la vita della Chiesa viene a essere come circondata e attivata da una grande mistagogia, che è l’insistenza anzitutto sull’Iniziazione. Qui consiste per la massima parte il magistero divino della Chiesa Madre.
Se si volesse ancora di più andare a fondo, la riscoperta della vita cristiana nelle sue profondità di Mistero divino dovrebbe condizionare per decenni tutta l’attività primaria della Chiesa, con priorità assoluta nei confronti di tanti aspetti parziali e secondari che ingombrano attualmente la visuale, e impediscono di dedicarsi anzitutto all’essenziale.
Il presente lavoro dell’Archimandrita Vincenzo Marco Sirchia, dell’Eparchia di Piana degli Albanesi, Mistagogia dei Misteri sacramentali nella Chiesa bizantina, si colloca nella duplice prospettiva del fermento culturale della sua Eparchia, e della cura mistagogica per il popolo santo. Egli vuole comprendere nella sua indagine il complesso dei Misteri (Sacramenti) della Chiesa. Quindi anzitutto nella Parte I tratta della distinzione tra catechesi e mistagogia, dell’Iniziazione nei primi secoli, della mistagogia nei Padri greci. Poi nella Parte II, e sempre a partire dai Testi liturgici, procede alla descrizione, a passo a passo, della mistagogia dei riti complessi dell’Iniziazione, poi del rito dei penitenti, dell’unzione dei malati, della coronazione, del sacro ordine.
L’analisi sistematica dei testi è accompagnata dal riferimento ai testi dei Padri, dove si trovano delle vere gemme, e, dove occorre, è anche fatto rinvio in nota alla bibliografia recente (riassunta alla fine).
L’utilità della pubblicazione è evidente. Si vuole mettere nelle mani dei "catechisti", meglio, dei mistagoghi (ma non sarebbe male, anche del clero in cura d’anime), un’opera leggibile e seguibile, dove in modo essenziale si procede alla lettura progressiva delle maggiori realtà liturgiche, e con ciò stesso teologiche e spirituali. L’opera potrebbe essere anche di grande utilità se poi fosse messa in mano a tutti i fedeli iniziati a Cristo con il suo Mistero.
Facendo così crescere il tono spirituale della comunità. In specie, tuttavia, se l’omelia, che per sua natura è mistagogica e celebrativa, anziché perdersi in discorsi fine a se stessi, insistesse senza tregua, come un filo tenace e ininterrotto, sulle realtà mistagogiche della santa Iniziazione.
Dall’autore è lecito attendersi anche un felice proseguimento nel pubblicare altro, finalizzato al bene di tutti i fedeli, e quindi dell’Eparchia.
Per tutto questo si deve augurare alla presente opera un successo diffusivo e la conseguente efficacia, come desiderano, con l’autore, tanti altri.

Roma, 30 giugno 2001 – Sinassi dei Santi Apostoli - Tommaso Federici

I N T R O D U Z I O N E

Ogni battezzato ha il dovere di prendere coscienza della dignità cui é stato innalzato da Dio, ossia della sua deificazione (théosis) in Cristo.
"L’uomo è una creatura che ha ricevuto l’ordine di diventare dio" dice Gregorio di Nazianzo, riferendo un concetto caro al grande Basilio, e ancora afferma: "Noi siamo divenuti come Cristo, poiché Cristo si è fatto come noi; noi siamo divenuti déi grazie a Lui, poiché egli si è fatto uomo per noi". Lo stesso papa calcedonese Leone il Grande, riecheggiando l’antropologia cristiana dei Padri greci, nella celebre omelia sul Natale, esortava: "Riconosci, cristiano, la tua dignità e, reso partecipe della natura divina, non voler tornare alla abiezione di un tempo con una condotta indegna (...). Con il sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo!" (1).
L'Iniziazione cristiana: battesimo, cresima ed eucaristia, pone l'uomo in uno stato ontologicamente divino. L’uomo in altre parole è inserito nella natura divina grazie al suo battesimo in Cristo e diventa, per partecipazione, ciò che Dio é per natura.
La partecipazione alla vita divina, pur essendo reale, completa e definitiva, non é completata; essa non "conferma il cristiano in grazia", non gli assicura, in altre parole, l’impeccabilità: fino alla morte (e anche dopo), ha sempre bisogno di una nuova forza vitale che lo aiuti a raggiungere la perfetta statura di Cristo, come afferma S. Paolo (cf. Ef 4, 13).
Tale forza gli è data col ricevere gli altri sacramenti, con un'intensa partecipazione alla vita liturgica, con la vita di preghiera personale, con la meditazione della divina scrittura e la venerazione delle sante Icone, con il culto alla Theotókos ai Santi e grazie anche alla loro intercessione.
Ma ogni battezzato ha anche il diritto ad essere istruito a queste grandi realtà. Ha cioè il diritto all'istruzione mistagogica.
La Chiesa, madre e maestra, ha stabilito, pertanto, i riti dei sacramenti e quel tempo di grazia, che é chiamato anno liturgico, perché‚ il cristiano, seguendoli e comprendendone il significato, grazie alla mistagogia, vivifichi le tappe della sua vita spirituale (2).
Così la Pasqua, festa delle feste, ad esempio, non sarà solo la celebrazione in pienezza della morte e risurrezione del Signore, ma anche il memoriale del battesimo che ha incorporato per sempre il battezzato a Cristo.
A questo proposito S. Giovanni Crisostomo afferma nell'Omelia sulla 1^ Lettera a Timoteo: "Quei giorni (di Pasqua) hanno qualcosa di più (degli altri giorni dell’anno) in quanto rappresentano il momento nel quale Cristo si è immolato e quindi la vita d'inizio della nostra salvezza" (3).
Lo stesso vale per tutti gli altri tempi liturgici caratterizzati ognuno da un particolare evento che é sempre unico e duplice: di Cristo e del cristiano.
L'anno liturgico, come la celebrazione dei Misteri, dunque, rappresenta per la Chiesa la migliore occasione per una scuola di catechesi e di mistagogia.
E’ nell'ottica di quest’insegnamento globale che il presente lavoro si vuole inserire.
Esso é stato concepito nell’ambito di una chiesa orientale: la Chiesa Bizantina siculo albanese, ed è offerto in primo luogo a coloro che sono responsabili dell'insegnamento in seno alla nostra realtà ecclesiale poiché per insegnare efficacemente é necessario comprendere tutta la ricchezza dei suoi riti e della loro simbologia.
Non é un'opera esaustiva per la piena conoscenza del rito bizantino, perché si sofferma solo su un aspetto : quello catechetico-mistagogico nella celebrazione dei Sacramenti, tuttavia si propone di dare, grazie a delle tracce di mistagogia sacramentale, un modesto contributo alla conoscenza di tesori spirituali inestimabili (4).
Si è ritenuto opportuno iniziare con tre approcci di comprensione: uno semantico, uno storico e uno patristico; e benché‚ essi riguardino soprattutto la prassi del conferimento della iniziazione cristiana, contengono, però, elementi che aiutano la comprensione dell'intero lavoro.
A questa parte introduttoria, seguirà la seconda, sistematica, riguardante la mistagogia ai misteri, cioè il significato salvifico e l’importanza dei sacramenti nella vita del cristiano, compresi attraverso l’ermeneutica delle parole e dei segni.
In conclusione non possiamo non riconoscere che per far vivere in pienezza ai nostri fedeli la loro vocazione alla santità non basta la mistagogia delle realtà che si possiedono è necessario il ritorno alle origini per riappropriarci di quello che è andato perduto e per eliminare le sovrastrutture accumulate lungo i secoli, per questo riteniamo necessaria una salutare riforma liturgica, che con tutto il cuore auspichiamo e con tutta la forza imploriamo continuamente dallo Spirito Santo, perché siamo convinti, che la Chiesa Bizantina non è un reperto archeologico.
Essa è viva e reca l’impronta dello Spirito Santo vivificante, benché‚ alle volte rischi di apparire più che essere.
Il nostro augurio è che la nostra Eparchia, Madre amata, sia come lo scriba evangelico che divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile ad un padrone di casa, che estrae dal suo tesoro, cose nuove e cose antiche (Mt 13,52), a favore dei figli suoi e di tutta la pienezza (il plêroma) del Corpo del Cristo che è la Chiesa (cf. Col 1, 19 - 2, 9), l’Una Santa.

 

PARTE PRIMA

TRE APPROCCI DI COMPRENSIONE

In questa prima parte del lavoro analizzeremo, grazie a tre criteri di comprensione, il senso dei termini catechesi e mistagogia, la prassi antica dell’iniziazione e il metodo catechetico e mistagogico dei santi padri: Cirillo di Gerusalemme e Giovanni Crisostomo.
L’approccio semantico spiegherà il sêmeion dei termini: catechesi e mistagogia, del contenuto che comprendono e di come sono stati usati in questo lavoro. In esso il termine Catechesi indicherà l’insegnamento dato ai catecumeni, cioè ai non battezzati; mentre quello impartito ai cristiani, a prescindere dalla loro preparazione, sarà sempre detto Mistagogia o Catechesi Mistagogica perché‚ siamo convinti, come abbiamo sopra affermato, della radicale differenza di stato tra un battezzato e un non battezzato. In altre parole a un battezzato bisogna fargli prendere coscienza di ciò che è diventato, a un non battezzato di quello che diventerà.
Un battezzato non diventerà santo, lo è già, deve solo prendere coscienza del suo stato e progredire in un cammino di santificazione iniziato; un non battezzato, invece, deve diventare ontologicamente santo e poi progredire nella santità.
L’approccio storico aiuterà a capire la prassi antica della recezione dei Sacramenti della Iniziazione, e fornirà anche elementi per la soluzione di problematiche che oggi non si vivono più nella realtà delle nostre chiese, quali il catecumenato, ma di cui si sente l'esigenza (5).
L’approccio patristico infine offrirà una chiave di lettura dell’attuale prassi dell’iniziazione cristiana, sia nel mondo bizantino-cattolico, che in quello ortodosso.

 

C A P I T O L O I

 

UNA NECESSARIA PRECISAZIONE:
LA DISTINZIONE TRA CATECHESI E MISTAGOGIA

C a t e c h e s i

Il termine Catechesi deriva dal greco katêchéô. Tale parola è composta da due elementi: una preposizione katá = sopra, e un verbo êchô = suono, echeggio, risuono.
Il significato che ne deriva è dunque: far sentire la voce da sopra, quindi: insegnare con autorità. Ma si potrebbe anche tradurre: fare sentire l'eco di una parola ascoltata, quella di Dio; e ancora: insegnare a viva voce la dottrina ricevuta: quella di Cristo unico Maestro.
Si può allora dedurre che in senso figurato, il termine catechesi, significa l'insegnamento impartito con autorità da qualcuno competente, cioè un didascalos, un maestro, davanti al quale i discepoli, tuttavia, non rimangono puramente passivi nell'ascolto, ma prendono parte all'istruzione data, ponendo delle domande e accettando delle risposte.
Se rileggiamo il discorso di Pietro il giorno di Pentecoste (cf. At 2, 14-41), notiamo che all'insegnamento impartito dall'Apostolo con autorità (dall’alto), segue la domanda dal basso: " Che dobbiamo fare? ", a cui prosegue la risposta programmatica di Pietro.
Nel secondo capitolo, si vedrà più chiaramente che l'insegnamento primitivo della Chiesa era dato proprio così.
Era dunque una forma di colloquio pubblico o privato, che, d'altra parte, ritroviamo già presente nell'insegnamento ebraico e in quello pagano (6).
Sempre nel secondo capitolo si vedrà che, coll'andar del tempo, la Chiesa iniziò ad organizzare meglio il suo insegnamento fino a fondare delle vere e proprie scuole catechetiche e tutta una letteratura della quale ci sono rimasti purtroppo pochissimi testi.
Possiamo dunque concludere che Catechesi significa insegnare a viva voce, con autorità una dottrina ricevuta dall'alto e trasmessa quale eco della Parola di Cristo Dio; e a sua volta, rispondere con la voce e con la vita desiderando aderire alla dottrina insegnata.
Nella concezione antica, la catechesi era un prodromo, un inizio della corsa, l'ingresso nella vita della grazia, un esordio della vita divina, non era un fatto permanente, ma solo uno stadio iniziale per quello qualitativamente superiore: la vita nuova in Cristo data irrevocabilmente col Battesimo.

M i s t a g o g i a

Il termine Mistagogia, è anch'esso d’origine greca e proviene dalla letteratura ellenica antica.
E' composto dal verbo myéô e dal sostantivo agôgê. Il verbo myéô indica l'azione di insegnare una dottrina nascosta, che riguarda le sacre realtà, mentre il sostantivo agogê indica l’atto di condurre qualcuno da un luogo o in un luogo.
Unito al verbo myéô, dunque, significa portare, guidare, qualcuno a considerare le sacre realtà, introdurre dentro le cose nascoste vale a dire ai misteri.
La mistagogia è allora l’azione di colui che conduce un altro alle sacre realtà, che lo inizia ai misteri. Nel Rito Bizantino la mistagogia per eccellenza è la Divina Liturgia, la S. Messa, perché è l’azione che la Chiesa-Mistagoga fa per condurre i fedeli dentro il mistero di Dio e dell'uomo, ed è l’azione di Dio che esce dal suo mistero per farsi presente all’uomo.
Dal verbo myéô derivano due altri sostantivi che è necessario considerare: il sostantivo Mystêrion, per l'importanza che ha e per l'abbondanza con cui viene usato sia nella Sacra Scrittura che nella Liturgia, e il sostantivo Mystês applicato soprattutto ai Padri.
Il termine mystêrion ha due significati, uno profano e l'altro religioso. Quello profano conserva il significato antico del termine: qualcosa di nascosto che non può essere compreso, che va al di là della comune intelligenza, qualcosa a cui non si può dare una spiegazione o che può esser capito solo da persone che hanno dimestichezza con l'occulto.
Il significato religioso invece è di natura squisitamente cristiana e paolina. E’ stato S. Paolo ha dare il significato che tuttora usiamo. Per l’Apostolo, il termine esprime la rivelazione del piano salvifico che Dio ha tenuto nascosto per secoli e alla fine l’ha svelato a noi per mezzo del suo unico figlio, perché‚ diventassimo partecipi della natura divina, salvati per grazia e redenti dal sangue dell'Unigenito (cf. Ef 1, 9-14 e Pt 1, 4).
La parola mistero indica però anche gli avvenimenti della vita del Cristo: la sua incarnazione, la sua passione e morte, la sua risurrezione, l'ascensione ai cieli, l'effusione dello Spirito Santo, la seconda e gloriosa venuta, ecc.
Ma indica anche i sacramenti della Chiesa (tà mystêria), il suo insegnamento, e l'unione col Cristo suo sposo.
La parola mystês invece indica colui che è stato iniziato alle sacre realtà e che è idoneo ad iniziare altri. Possiamo definire il mystês come l'esperto del mystêrion salvifico, colui che l'ha sperimentato non solo a livello intellettuale ma soprattutto esperienziale, nella sua carne. Per tale motivo S. Basilio, nel Megalinárion che si canta nella Liturgia che reca il suo nome, viene chiamato mystês toû despótou cioè: iniziato del Signore; esperto: dell'esperienza di Dio, della comunione con lui; maestro di vita spirituale; ecc.
Il termine è adatto a coloro che sono esperti nell’arte spirituale, che hanno fatto l’esperienza di Dio e vivono una vita di intensa comunione con Lui e con i suoi misteri. In altre parole dovremmo dire che il termine dovrebbe potersi applicare ad ogni cristiano, ma soprattutto a coloro che hanno nella Chiesa il compito di insegnare, consci che l'insegnamento viene impartito con più autorità e accettato di buon grado quando - secondo la felice espressione del papa Paolo VI - colui che insegna prima di insegnare con la bocca, testimonia con la vita il suo insegnamento (7).
Cosa è dunque la mistagogia? Di per sé è l’azione del mistagogo, nel compito di condurre i fedeli dentro il mistero celebrato, far rivivere attraverso il suo insegnamento le azioni salvifiche che si sono compiute nei sacramenti, spiegare i simboli, i riti, le preghiere, i significati intrinseci contenuti nella Parola di Dio e nelle celebrazioni dell'anno liturgico.
Ma qui vogliamo usare la definizione del teologo Tommaso Federici, perché la troviamo la più completa ed esaustiva:
"La mistagogia è l'operazione della divina grazia, gratuita, trasformante, attraverso la quale il Padre, mediante Cristo Signore nello Spirito Santo, cura i suoi figli diletti nella sua Chiesa, la Una Santa, la Sposa del Signore, la Madre dei viventi, e servendosi di essa; per condurli lungo un esodo doloroso ma decisivo, ed in crescendo, alla pienezza nuziale della Vita divina" (8).
La Mistagogia, in conclusione, nasce dalla necessità non solo di partire definitivamente verso la divinizzazione, ma di proseguire il cammino dentro la realtà del mistero vissuto con Cristo e in Cristo, per la gloria del Padre.
Dentro questo mistero del Cristo vivente in noi, e noi in Lui per il suo Spirito, la Chiesa degli Apostoli e dei Padri ha sempre condotto i suoi figli, e continua a condurli, grazie ai mistagoghi che lo Spirito suscita e susciterà sempre nel suo seno, fino a far raggiungere ad essi la perfetta statura di Cristo (cf. Ef 4,13).
E questo grazie e in forza dell'evento unico, irripetibile e decisivo che è la iniziazione battesimale, crismale ed eucaristica (9).
E' necessario dunque, recuperare al più presto il linguaggio e i contenuti della mistagogia e metterli al servizio del popolo cristiano perché progredisca nella santità operata dal Cristo nei suoi Misteri.

 

C A P I T O L O II

L’INIZIAZIONE CRISTIANA NEI PRIMI SECOLI DEL CRISTIANESIMO

Quando si parla di Iniziazione cristiana nella Chiesa antica, ci si riferisce al conferimento dei sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell'Eucaristia a persone adulte. Tuttavia anche i bambini erano iniziati ai Misteri, ma non in base alla loro preparazione, bensì sulla parola dei genitori già cristiani o dei padrini che si rendevano garanti della loro futura formazione cristiana (10).
Gli adulti non cristiani che volevano accedere al Battesimo dovevano preparasi. Tale tempo di preparazione era detto Catecumenato.
Per tutto il tempo catecumenale, la persona che doveva diventare cristiana, era chiamata coll'appellativo di catecumeno/a, iscritta in un apposito libro e istruita.
L'istruzione impartita era detta catechesi.
Quando la persona accedeva al Battesimo, era chiamata neofito/a e l'istruzione che riceveva era detta mistagogia o catechesi mistagogica.
Nel Nuovo Testamento, l’annuncio del Kérigma (Gesù Cristo morto e risorto), precede immediatamente il Battesimo.
L’eunuco della regina Candàce, ad esempio, fu battezzato da Filippo, subito dopo che questi l’aveva educato alla fede (cf. At 8, 37). E così lungo tutto il libro degli Atti degli Apostoli.
Il Catecumenato come tempo di preparazione nasce nel periodo subapostolico, mentre la catechesi nasce dalla predicazione apostolica.
Il primo esempio di catechesi ci viene dato dal discorso di S. Pietro nel giorno della Pentecoste.
Dopo che l'Apostolo ha spiegato a Gerusalemme il significato della morte e della risurrezione di Cristo e dell'effusione dello Spirito Santo, i presenti "si sentirono trafiggere il cuore e dissero a Pietro: "Che cosa dobbiamo fare fratelli?" E Pietro rispose loro: "Pentitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare (immergere) nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati; dopo riceverete il dono dello Spirito Santo" "(At 2,37-38).
Troviamo qui in sintesi, tutto il contenuto della futura catechesi e del catecumenato, i cui elementi sono:
- la predicazione,
- l'inizio della conversione (si sentirono trafiggere il cuore)
- la volontà di aderire alla fede (cosa dobbiamo fare?),
- il programma di vita dettato da Pietro (pentitevi e fatevi battezzare)
- il battesimo e la conseguente effusione dello Spirito Santo (la vita nuova nello Spirito).
Questi elementi di metodologia catechetica, li ritroviamo anche in Rm 10, 14-15.
S. Paolo dichiara che è impossibile invocare il Nome del Signore (cf. At 4, 12) per essere salvati se prima non si crede.
Non si può però credere senza l'annuncio e la catechesi. Ma questa non si può avere senza una persona che sia in grado di insegnare, e questa persona che annunzia, deve essere inviata, cioè esperta nel proporre la fede e nell'educare ad essa.
Anche qui abbiamo gli elementi utili per la futura catechesi della Chiesa:
- l'inviato,
- l'annuncio,
- l'ascolto,
- l'adesione,
- la salvezza.

Tutto ciò non è se non l’eco di Mt 28, 18-20: il "mandato" di Gesù.
Il primo autore non "canonico" che parla di un periodo di istruzione e di preparazione al battesimo, è il martire S. Giustino nella sua Prima Apologia .
Dopo di lui si parla di una vera e propria istruzione all'iniziazione cristiana, di lunga durata, nella Passione delle Sante Felicita e Perpetua.
Così anche Tertulliano nel suo De Baptismo, ci testimonia che a Cartagine esisteva un lungo tempo di preparazione al battesimo; la stessa cosa è stata tramandata anche da Clemente per la città di Alessandria.
Ippolito, nella sua Tradizione Apostolica (circa a. 217), afferma che a Roma l'istruzione ai catecumeni veniva impartita per tre anni da un dottore.
Col passare del tempo nuove problematiche spinsero la Chiesa antica ad allungare il tempo della preparazione, sottomettendo gli adepti a una vera prova di pazienza e di perseveranza.
Era infatti aumentato il numero dei canditati al battesimo, ma si erano inasprite anche le persecuzioni, per cui persino il semplice fatto di dichiararsi cristiani era considerato un reato punibile con la pena capitale.
A questo si aggiungeva il fatto che tanti proseliti provenivano non dal giudaismo, ma dal paganesimo misterico ed avevano necessità di una purificazione maggiore, non solo del pensiero, ma anche delle abitudini di vita.
Infine vi era la presenza di sette ereticali che sviavano dalla retta fede i cristiani poco preparati; e il fenomeno, considerato gravissimo dalla Chiesa di allora, dei lapsi, ossia dei cristiani che, sottoposti alle torture, avevano rinnegato la fede.
Con Costantino le sorti della Chiesa cambiarono e così avvenne anche per il catecumenato.
Iniziò una organizzazione stabile a classi distinte di catecumeni e neofiti.
La prima comprendeva un catecumenato elementare o precatecumenato, destinato agli ascoltatori (audientes), la seconda comprendeva un catecumenato più elevato riguardo alla dottrina, ed era destinato ai più avanzati (competentes), la terza classe invece, era destinata non più ai catecumeni, bensì ai neofiti, a coloro, cioè, che avevano ricevuto il battesimo e che, per una settimana (generalmente l'ottava di Pasqua), erano iniziati ai misteri ricevuti.
In questa terza classe l'insegnamento era detto mistagogia e i catecumeni, diventati ormai neofiti, era tenuti a frequentare le catechesi mistagogiche, impartite durante la celebrazione dell'Eucaristia, e a prendere parte ai Santi Misteri.
Il precatecumenato consisteva nell'istruzione elementare di coloro che per la prima volta chiedevano di poter accedere alla comunità dei cristiani.
Durante questo tempo (circa tre anni), il catecumeno veniva istruito sulla storia sacra e sulla morale.
L'insegnamento consisteva nell'esposizione storica dei fatti biblici e nella dottrina delle due vie del comportamento umano.
La Didachè ossia L'insegnamento dei dodici apostoli, ne è un esempio. Si tratta di un'opera antichissima forse più antica dei Vangeli sinottici. Essa ci trasporta ai primissimi tempi della Chiesa e ci fa’ toccare con mano come avveniva l'evangelizzazione.
Si tratta di un'opera anonima che contiene notizie veramente sorprendenti: catechesi sui vizi e sulle virtù, mistagogie sui sacramenti, consigli pratici su come comportarsi con i profeti itineranti.
Consapevole del suo alto valore morale e formativo, ancora nel secolo IV, S. Atanasio di Alessandria ne consiglierà la lettura come particolarmente utile per l'istruzione dei catecumeni.
Oltre all'insegnamento, al catecumeno veniva fatto col pollice un segno di croce sulla fronte, gli venivano imposte le mani e, in alcune regioni, riceveva anche del sale da assaporare.
Segni questi che gli richiamavano alla memoria i contenuti della fede cristiana: la croce sulla fronte, il tau dell'Apocalisse, segno di salvezza (cf. Ap 7, 4; 14,1); l'imposizione delle mani, l'appartenenza a Dio, l'essere sua proprietà (cf. Lv 1, 4; 3, 2); il sale, il gusto per le cose di Dio, ecc.
Inoltre sul catecumeno venivano recitate preghiere di esorcismo, necessarie per liberarlo dagli influssi satanici a cui si era sottoposto nel paganesimo. La Chiesa istituì un vero ordine: l'esorcistato, per svolgere questo ministero di liberazione.
Infine il catecumeno poteva assistere alla prima parte della celebrazione eucaristica: la liturgia detta appunto, dei catecumeni, o della Parola, dopo la quale veniva solennemente invitato a lasciare l'assemblea.
Trascorso il tempo del catecumenato elementare, il candidato si presentava con un padrino garante della sua preparazione e della volontà ad accedere alla santa Illuminazione, per prenotarsi, prima dell'inizio della quaresima, per il battesimo nella notte pasquale. Dava il suo nome ad un diacono incaricato a tale scopo, il quale ne parlava col vescovo.
Ricevuto il consenso, il catecumeno diventava illuminando, cioè ammesso a ricevere la luce del battesimo e quindi accettato alla catechesi superiore quella detta dei competentes.
Tale insegnamento durava per il tempo quaresimale e consisteva nell'esporre all’illuminando, i contenuti dottrinali della fede cristiana, insieme a contenuti morali e rituali.
L’insegnamento doveva procedere anche con un cambiamento radicale di vita, con una metànoia continua, chiesta a Dio con preghiere e digiuni, con veglie, prostrazioni e con l’intensificarsi degli esorcismi.
A questa preparazione immediata e costante, seguivano gli scrutini: il candidato doveva rispondere alle domande postegli sul simbolo della fede (il Credo), e poi veniva esaminato sulla sua maturazione morale, sulla profondità della volontà d'impegno, sulle buone disposizioni.
Terminato questo intenso periodo di preparazione più immediata, e ritenuto idoneo, il catecumeno illuminando veniva battezzato, crismato e fatto partecipare per la prima volta ai santi Misteri, l’Eucaristia.
Da questo momento iniziava per lui il terzo periodo, quello della catechesi mistagogica, ossia della spiegazione del simbolismo dei riti, l'esposizione delle figure bibliche dei sacramenti, l'esortazione a vivere in Cristo quale neofita, innestato nell'albero fecondo del corpo di Cristo: la Chiesa (11).
Nel IV secolo i Padri iniziano a lamentare una prassi più lassista: il catecumenato tendeva a prolungarsi il più possibile, e alcuni catecumeni si facevano battezzare solo in punto di morte.
Nell'approccio patristico vedremo in particolare come si svolgevano sia le catechesi preparatorie al battesimo, che quelle mistagogiche. E vedremo anche, come i Padri esortassero tutti a vivere sempre come neofiti, considerando il tempo dopo il battesimo un tempo di mistagogia continua e ininterrotta per il progresso nella santità iniziale.

 

C A P I T O L O III

LA MISTAGOGIA NEI PADRI GRECI:
CIRILLO DI GERUSALEMME E GIOVANNI CRISOSTOMO

Abbiamo approfondito nel I capitolo, anche se molto sommariamente, la semantica, dei due termini: catechesi e mistagogia, e abbiamo notato come il genere mistagogia, sia nettamente diverso per il contenuto, dal genere catechesi, essendo quest'ultima soltanto una fase preparatoria, un prodromo, all'approfondimento mistagogico della dottrina cristiana, che ricevevano solo i neofiti, ormai diversi ontologicamente dai catecumeni e in grado di penetrare con la mente e col cuore quei misteri che avevano ricevuto corporalmente.
La mistagogia, l’abbiamo visto, era: immediata, data cioè dopo il battesimo; e permanente, impartita cioè lungo l’anno liturgico.
La fase immediata era riservata, ma non esclusivamente, ai neo battezzati, gli illuminati, quella permanente a tutti i fedeli.
La mistagogia era vista, e lo deve essere tuttora, come lo stadio avanzato dell'esperienza interiore dei cristiani in quanto comunità radunata dallo Spirito e, sotto l'azione dello Spirito, condotta a vivere sempre più profondamente il mistero salvifico del Signore Gesù; e del singolo fedele inserito in Lui morto e risorto.
La realtà mistagogica si estendeva a tutta la vita del cristiano innestato misticamente nel grande albero che è il corpo di Cristo: la Chiesa; dalla nascita alla morte, il fedele, è l'oggetto delle cure amorevoli della Chiesa madre, essa lo aiuta a dare significato alla sua esistenza su questa terra, grazie all'inserimento della sua vita in quella di Gesù.
Ma non solo questo, la mistagogia della Chiesa aiutava il cristiano a perfezionarsi fino all'incontro definitivo e trasformante con il volto di Colui che, come recita il salmo: " il tuo volto, Signore, io cerco " (Sl 26,8), è sempre stato l'oggetto della sua ricerca.
Dedicheremo, dunque, questo III capitolo alla mistagogia dei Padri: Cirillo di Gerusalemme e Giovanni Crisostomo.
Si tratta solo di un approccio utile ed indispensabile ma non esaustivo, in quanto ci occuperemo solo della loro mistagogia dell'iniziazione cristiana.
Bisognerebbe leggere tutti i Padri, della Chiesa d'Oriente e d'Occidente, come si dovrebbe leggere la Scrittura, perché uno studio serio sulla mistagogia dei sacramenti non può prescindere dal riferimento costante alla loro teologia, e poi perché non si capirebbe a fondo la prassi sacramentaria odierna, senza questo sguardo retrospettivo a coloro che prima di noi hanno curato il gregge di Cristo.
Inoltre la conoscenza della prassi dei Padri farà evitare abusi, errori, deviazioni pastorali e vuoti sentimentalismi pietistici, ispirando una sana cura pastorale alla Chiesa odierna.
Dovrebbe, infine, allontanare i ricatti nel conferimento dei sacramenti ed eliminare alcune incoerenze nel conferimento degli stessi.
La vera mistagogia patristica farà così gustare ai fedeli il dono della grazia, valorizzerà il contenuto e il significato dei sacramenti e della vita liturgica nello Spirito Santo.
E' necessario ed indispensabile, dunque, il ritorno alle fonti, non come cultura cartacea, ma come conversione alla dottrina, all'insegnamento, allo zelo pastorale dei Padri, nella assoluta certezza che essi ci portano a Cristo, e per recuperare al più presto la sensibilità e l'ansia della loro pastorale , secondo il detto di S. Paolo: " Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato in voi Cristo " (Gal 4, 19).
Convertirsi ai Padri significa avere la loro stessa sensibilità e la stessa passione per Cristo e per il suo corpo: la Chiesa; sentimenti che sono validi in tutti i tempi.

S. Cirillo di Gerusalemme ( 315 c. – 387 )

L'opera di S. Cirillo di Gerusalemme: Le Catechesi, è il testo più valido e interessante di tutto il genere catechetico-mistagogico della letteratura cristiana antica, senza detrarre nulla al valore di opere quali:
la Didachè,
la Tradizione Apostolica di Ippolito,
il De Mysteriis di S. Ambrogio,
la Grande Catechesi di S. Gregorio di Nissa,
il De Catechizandis rudibus di S. Agostino,
le Catechesi battesimali di S. Giovanni Crisostomo
le Omelie catechetiche di Teodoro di Mopsuestia.
E’, in effetti, l’opera di Cirillo, uno dei tesori più preziosi che la Chiesa antica ci ha tramandato.
Si tratta di una serie di conferenze catechetiche (24 discorsi di diversa lunghezza), la maggior parte delle quali fu pronunziata nella chiesa del Santo Sepolcro e, come ci ricorda una nota di molti manoscritti, riportate stenograficamente da uno degli uditori (12). Le conferenze catechetiche si dividono in due gruppi. Il primo comprende una Pro-Catechesi o discorso preliminare di introduzione al corso catechetico, e diciotto Catechesi rivolte ai candidati al battesimo, i prós tò phótisma cioè gli illuminandi, i quali avevano dato il loro nome al diacono incaricato di ciò, facendosi iscrivere nel libro dei battezzandi per poter ricevere l'iniziazione la notte del Sabato Santo.
Il secondo gruppo comprende le cinque ultime istruzioni, chiamate Catechesi Mistagogiche e rivolte ai photizómenoi, gli illuminati, cioè i neofiti, durante la settimana pasquale.
Le catechesi ai battezzandi come abbiamo detto sopra venivano impartite in quaresima. Nella pro-catechesi si afferma infatti: "Hai molto tempo a tua disposizione. Hai quaranta giorni per convertirti" (Pr-cat 4).
Cirillo, poi, sottolinea (dalla I alla V catechesi) la serietà del passo che i candidati stanno per compiere, la necessità della penitenza e della preghiera, della disciplina morale e dell'irrobustimento della volontà, della rettitudine di intenzione e della massima purezza nell'atto di accostarsi ai sacramenti dell'Iniziazione, della remissione dei peccati, degli effetti del Battesimo, dell'origine della fede, ecc.
Nelle rimanenti catechesi (dalla VI alla XVIII) tratta del credo di Gerusalemme, simile al Costantinopolitano del 381.
Le cinque catechesi mistagogiche (XIX-XXIII), assai più brevi delle altre, sono dedicate alla spiegazione delle cerimonie liturgiche dei tre sacramenti che i neofiti hanno ricevuto durante la veglia pasquale.
Crediamo che sia necessario, ora soffermarci su queste ultime, per un ulteriore approfondimento di quello che in seguito si dirà.
E' da notare in primo luogo che ogni mistagogia è preceduta dalla lettura di un brano scritturistico che fà da supporto a tutto il discorso.
- La prima mistagogia tratta dei riti preliminari del battesimo: la rinuncia a satana, l'adesione a Cristo, la professione di fede, sulla base di 1 Pt 5,8-11.
- La seconda, tratta del Battesimo e dei suoi effetti, sulla base di Rm 6,3-4.
- La terza, sulla base 1 Gv 2, 20-28, parla del sacramento della Confermazione o Crismazione che, come giustamente afferma S. Cirillo, è ben diversa dall'unzione pre-battesimale di cui parla nella precedente mistagogia al n° 3.
- La quarta tratta della dottrina eucaristica, sulla base di 1 Cor 11,23.
- La quinta, infine, spiega la liturgia dell'Eucaristia, sulla base 1 Pt 2,1.
Dall'attenta lettura delle mistagogie si evince la necessità di vedere i riti per capirli:
"Desideravo anche per il passato, o figli genuini e desideratissimi della Chiesa, parlarvi di questi spirituali e celesti misteri.
Siccome però sapevo che si crede di più a quello che si vede che a quello che si sente, aspettai questo momento.
Prendendovi ora che l'esperienza vi ha reso maggiormente atti a comprendere quello che sarà detto, vi potrò guidare (mistagogizzare) verso il prato assai splendido e profumato di questo paradiso.
Ormai siete divenuti capaci dei più divini misteri, perché fatti degni anche del battesimo vivificatore..." (Mist I, 1).
Tutto, dunque, deve essere analizzato, spiegato e approfondito da parte del vescovo, e tutto come riappreso da parte dei battezzati, ma con una percezione più profonda, in quanto ontologicamente diversi dai catecumeni.
All'ammonizione che ormai si deve procedere sempre in avanti:
"Bada a te stesso - dice al neofita - perché non ti avvenga che, mentre metti mano all'aratro, ti volga poi indietro e ritorni alle amare consuetudini di questa vita. Fuggi invece sul monte incontro a Cristo... " (I, 8).
L’Iniziazione non è un punto d'arrivo ma di partenza!
Altri elementi caratteristici li ritroviamo nella II Mistagogia al 1° paragrafo:
"Utili sono a noi le catechesi quotidiane e le nuove istruzioni che annunciano nuove verità, specialmente a voi che siete passati da ciò che era vecchio alla novità.
Perciò è necessario che io vi esponga la continuazione della mistagogia di ieri, per farvi imparare il significato simbolico dei riti avvenuti nell'interno del battistero ".
L'insistenza è su realtà vere, ma non ancora ben note e tuttavia avvenute e perfettamente efficaci, la cui più profonda istruzione dura adesso giorno per giorno.
Lo scopo ultimo, delle mistagogie, però è quello di introdurre definitivamente i battezzati nell'interno del santuario spirituale per la cena delle nozze con l'Agnello.
L'anima del battezzato rivestita della nuova veste della gloria divina, avendo recuperato per intero l'immagine divina, è ormai degna di unirsi al suo Signore grazie all'eucaristia, la quale unendo il cristiano a Cristo come al suo sposo, lo rende concorporeo e consanguineo di Lui (IV, 1).
"I due - dice la Scrittura - non saranno più due ma una carne sola" (Gn 2,24 e Ef 5,30-32) uniti indissolubilmente con l'indicibile conseguenza, per l'anima, della divinizzazione:
"In questo modo noi diventiamo Cristofori, in quanto il corpo e il sangue di Cristo si è distribuito per le nostre membra e, al dire del beato Pietro, noi diventiamo partecipi della natura divina " (IV, 3).
L'Eucaristia infine santifica il battezzato: "Allora il celebrante dice: "Le cose Sante ai Santi". Le offerte sull'altare sono sante perché hanno accolto la venuta dello Spirito Santo.
Ma santi siete anche voi perché fatti degni dello Spirito Santo. Le cose sante convengono ai santi.
Poi voi dite: "Uno solo è il santo, uno solo è il Signore, Gesù Cristo". Sì, egli solo è veramente santo, santo per natura; anche voi siete santi, ma per partecipazione, per l'esercizio delle buone opere, per la preghiera" (V, 19).
Il fine della mistagogia di Cirillo è dunque la comprensione da parte del fedele della totale santità a cui egli è chiamato; portato ad una crescita continua verso l'incontro con la Presenza divina "faccia a faccia", verso la parusia gloriosa del Signore risorto.
" Conservate inviolate queste tradizioni e tenetevi lontani da ogni pericolo di caduta.
Non separatevi dalla comunione e non macchiatevi di peccato, così da privarvi di questi spirituali misteri, "Dio stesso vi santifichi fino alla perfezione e tutto quello che è vostro: spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo ".
A lui sia gloria, onore e impero, con il Padre e lo Spirito Santo, ora e sempre e per i secoli dei secoli. Amen ". (V, 23).

 

S. Giovanni Crisostomo ( 354 c. - 407 )

Dal 386 al 398, per 12 anni, su incarico del vescovo Flaviano, il Crisostomo presbitero ad Antiochia, fu predicatore ufficiale di quella Chiesa.
A tale titolo gli spettava anche la preparazione dei catecumeni al battesimo e la mistagogia ai neofiti e ai già da tempo battezzati.
Egli procede nella predicazione secondo la dottrina e la prassi affermate nelle Chiese di Dio, e dice di sé di essere un iniziatore sacro un mystês, un pedagogo, colui che conduce i catecumeni al mistero dell'Iniziazione e i fedeli dentro il mistero già ricevuto (13).
Per indicare i catecumeni il Crisostomo usa varie espressioni, ma tutte indicano la prassi della Chiesa. Egli li chiama " coloro che stanno per essere iniziati ", oppure che " si sono iscritti alla milizia di Cristo", o ancora " coloro che sono in procinto di incontrare il gran Re ", ecc.
Anche ad Antiochia la catechesi maggiore, veniva data durante la Quaresima per concludersi il giorno del battesimo, la vigilia di Pasqua, e dar luogo alla mistagogia.
E’ la mistagogia del Crisostomo che a noi interessa particolarmente e su questa ci soffermeremo.
La mistagogia del grande predicatore è di due tipi: una post-battesimale e un’altra di " tutto l’anno ".
La mistagogia post-battesimale è data regolarmente per la durata di otto giorni a partire dalla notte pasquale, così come era consuetudine nella Chiesa antica e unita.
Rileggiamo qualche testo che ci aiuti nella comprensione: " Sia benedetto Dio! Ecco, sulla terra appaiono astri, astri più luminosi di quelli del cielo. Astri di giorno più luminosi di quelli della notte.
Quelli scompaiono quando è apparso il sole, questi invece risplendono maggiormente quando è sorto (su di loro) il sole di giustizia " (VII, 1) (14).
Il Crisostomo compara qui i neofiti alle stelle del cielo. Tali stelle viventi godono degli effetti molteplici del mistero ricevuto perché su di loro è sorto il sole di giustizia: " Sia benedetto Dio! ripetiamo, egli solo compie prodigi, Egli che tutto crea e tutto rinnova.
Quelli che fino a ieri erano schiavi, ora sono liberi e cittadini della Chiesa; quelli che prima vivevano nel disonore dei peccati, ora sono reintegrati nella libertà e nella giustizia.
Non sono infatti soltanto liberi, ma anche santi; non solo santi, ma anche giusti; non solo giusti, ma anche figli; non solo figli ma anche eredi; non solo eredi, ma anche fratelli di Cristo; non solo fratelli di Cristo; ma pure coeredi; non solo coeredi, ma pure membra; non solo membra, ma pure tempio; non solo tempio ma pure strumenti dello Spirito " (VII, 5).
In questa bellissima successione di attributi di carattere biblico, tipica dello stile del grande Crisostomo, vengono enumerati dieci doni o frutti del battesimo. Tali e tanti sono gli effetti dei Sacramenti dell'Iniziazione, dei quali partecipano fedeli redenti: vecchi e nuovi.
"Hai notato quanti sono i doni del battesimo? Anche se molti pensano che il dono consista unicamente nella remissione dei peccati, noi invece abbiamo enumerato dieci prerogative" (VII, 6).
Per queste prerogative, continua il santo, si battezzano anche i bambini (ivi).
Ma proprio da quel giorno santo inizia anche un tempo straordinario: il tempo della lotta e della gara.
" Il tempo anteriore al battesimo costituiva la fase di addestramento e di preparazione, sicché le cadute erano tollerate; ma, da oggi è stato aperto lo stadio e incomincia la gara; il pubblico siede in alto, né soltanto gli uomini, ma anche le innumerevoli schiere di angeli osservano le vostre lotte, e Paolo scrivendo ai Corinzi esclama: "Siamo diventati spettacolo al mondo, non solo agli uomini ma anche agli angeli".
Gli angeli dunque assistono, il Signore degli angeli è l'arbitro del combattimento: ciò non è soltanto un onore ma anche una grazia. Se infatti colui che ha offerto la sua vita per noi giudica i combattimenti, non è questo per noi di grande onore e condizione di sicuro successo? "(VII, 8).
Così la vita cristiana è gara, agone, combattimento per Cristo e combattimento di Cristo nei fedeli. Così come infatti continua a soffrire nelle sue membra, così continua a lottare contro satana e i suoi angeli: "Tra noi e il diavolo, Cristo non si pone in mezzo (per giudicare come fanno i giudici di gara), ma è tutto per noi! " (VII, 9).
Cristo ha disposto tutto per la vittoria: adesso - sembra dire il Crisostomo - dipende da te! Dipende dal fedele, non solo per la volontà ma soprattutto perché il battezzato ha dato la parola; ha contratto un’alleanza per l’eternità: "Pertanto noi che abbiamo beneficiato di così grande dono mostriamo somma diligenza e ricordiamoci dei patti che abbiamo stretto con lui.
Mi rivolgo a voi che siete stati battezzati oggi e a quanti lo sono stati da tempo più o meno lontano. La mia esortazione interessa tutti, perché tutti abbiamo concluso con lui dei patti, che abbiamo sottoscritto non con l'inchiostro ma con lo spirito, non con la penna ma con la lingua. Con tale penna si sottoscrivono i patti con Dio; perciò dice Davide: "La mia lingua è stilo di scriba veloce"(Sl 44, 2).
Abbiamo confessato la sua sovranità: "Credi in Lui come Re e come Dio?" - "Credo!"; abbiamo rinnegato la tirannia del diavolo: "Rinunzi a Satana" - "Rinunzio!" : ecco la firma, ecco il patto, ecco l’impegno" (VII, 20) .
E’ stato rilevato, con diverse accentuazioni, e talvolta anche con esagerazioni e svalutazioni, che S. Giovanni Crisostomo è troppo pastore (!), cioè che in lui la pastorale immediata prevale sulla grande speculazione teologica (15).
In realtà la grande teologia in lui è originata in vista e soprattutto per la cura delle anime. Non esiste la pura speculazione teologica fine a se stessa. Se esiste è sterile e inutile.
Giovanni ha un cuore di pastore ed è proprio per questo che è teologo e non viceversa!
La teologia deve servire il suo gregge. Le sue pecore razionali devono essere nutrite con la mistagogia, e questa non è frutto di scienza infusa bensì di una tensione pastorale, di un notevole studio della Scrittura e della Tradizione e di un'intensa vita di unione con Dio.
Egli desidera che i fedeli una volta ben iniziati coi sacramenti dell'Iniziazione si incamminino verso un altrettanto sicura maturazione e crescita: la pienezza del rivestirsi di Cristo nello Spirito Santo. La partenza è nota e datata, il traguardo certissimo, il percorso invece può essere incerto e talvolta errabondo. Ecco allora la necessità dell'istruzione mistagogica continua e permanente nella Chiesa in prospettiva della fedeltà alla parola data verso la dimensione dell'Eterno:
"Voglio rivolgere un'ultima parola ai nuovi illuminati; e chiamo così non solo quanti hanno meritato di recente il dono spirituale, ma pure coloro che l'hanno ricevuto già da un anno o da molto più tempo. Anch'essi se vogliono, possono gioire continuamente di tale appellativo.
In realtà questa nuova giovinezza non conosce vecchiaia, non soggiace a malattia, non cede allo scoraggiamento, non appassisce con il tempo, non si arrende a nulla, non è vinta da nulla, tranne solo che dal peccato. E' il peccato infatti la sua gravosa vecchiezza... (X, 21).
Ecco perché, temendo anch'io le insidie del nemico, vi rivolgo una insistente esortazione a custodire incontaminata la veste nuziale e con essa venire sempre a queste nozze spirituali.
E' infatti un vero matrimonio spirituale ciò che si compie qui. Deducilo dal fatto che, come nelle nozze umane le feste durano sette giorni, così anche noi per altrettanti giorni vi prolunghiamo questa festa spirituale, allestendovi la mistica mensa colma di innumerevoli beni.
Ma che dico, sette giorni? Queste feste spirituali continueranno per sempre, se voi, restando sobri e vigilanti, conserverete immacolata e smagliante la veste nuziale. (X, 24) .
Così indurrete lo sposo ad amarvi più intensamente, e voi, col passare del tempo, apparirete sempre più luminosi e splendenti, poiché la grazia crescerà con la pratica delle opere buone.
Sia concesso a noi tutti di custodire degnamente il dono ricevuto e meritare la benevolenza dall'alto; per la grazia e la misericordia dello stesso unigenito Figlio e nostro Signore Gesù Cristo, con il quale al Padre e allo Spirito Santo sia gloria, potenza e onore, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amen." (X, 25).

P A R T E S E C O N D A

LA MISTAGOGIA DEI MISTERI SACRAMENTALI

Il primo approccio col "sacro", per tanta gente, avviene generalmente in occasione della celebrazione di un sacramento: Battesimo, Confessione, Matrimonio, ecc.; o in occasione di una benedizione (es. la benedizione delle famiglie e delle case nei tempi stabiliti dalla Liturgia), o la celebrazione delle esequie, o di un pellegrinaggio ecc.
E' da questo approccio che alle volte può scaturire l'interesse alla fede.
Il compito di un buon mistagogo, intelligente e paterno, consiste, allora, nella capacità di cogliere questo desiderio e di iniziare un discorso interessante sulla fede senza traumatizzare la gente con lo spauracchio di futuri corsi e lezioni cattedratiche, che sanno tanto di scuola ed esami.
Il fedele praticante, prima di ogni cosa, in Chiesa deve sentirsi a casa sua, il non praticante invece a suo agio, e nessuno deve sentirsi in imbarazzo o disadattato, o, peggio, un esaminando sui banchi di scuola.
In questa seconda parte del lavoro, analizzeremo la mistagogia sacramentale ossia l'istruzione legata ai sacramenti.
La Chiesa, nella persona dei suoi mistagoghi, non si può però limitare a preparare i candidati ai sacramenti, deve anche curarsi di coloro che partecipano alla loro celebrazione, perché non siano freddi ascoltatori o spettatori passivi. Questa era la metodologia dei Santi Padri.
S. Giovanni Crisostomo, come abbiamo visto, non si limitava ad esporre la mistagogia ai neofiti, ma estendeva il suo insegnamento anche a coloro che da tempo erano stati già battezzati (17).
La celebrazione dei misteri costituisce un momento propizio e favorevole e il mistagogo, scrupoloso dispensatore della parola di verità, deve annunziare la Parola, insistere in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonire, rimproverare, esortare con ogni magnanimità e dottrina, così come insegna l’Apostolo (cf. 2 Tm 2, 15. 4, 2).
Procederemo quindi per gradi, in modo da avere una chiara esposizione della mistagogia che deve essere fatta nell’amministrazione dei sacramenti.

C A P I T O L O I V

L A M I S T A G O G I A D E L L A I N I Z I A Z I O N E C R I S T I A N A

Abbiamo già visto la storia dell'iniziazione nei primi secoli e nei Padri, ora dobbiamo studiarla sotto l'aspetto liturgico-celebrativo.
Nel rito bizantino l'iniziazione cristiana sul piano liturgico avviene per mezzo di tre atti sacramentali che potremmo definire come un unico sacramento, perché nella visione d'insieme del rito, il battesimo, la crismazione e la santa eucaristia, non sono tappe da guadagnare attraverso partecipazioni a corsi scolastici, bensì tre momenti di un unico inizio, direi un trampolino di lancio verso la vita nel Cristo.
Se manca questa visione d'insieme del battezzato, crismato e nutrito, allora anche il prete o il fedele di rito bizantino, si lascerà influenzare da tendenze che altre correnti teologiche portano avanti partendo da altri presupposti che non sono quelli liturgico-celebrativi.
L'esperienza storica insegna che l'essersi lasciati influenzare, o aver subito la costrizione violenta di adattarsi a prassi liturgiche estranee, ha significato per le nostre comunità, la perdita dell'identità celebrativa con la conseguenza:
- di non aver saputo più trarre significato dal vissuto sacramentale, per cui la lex orandi (e dunque celebrandi), non era più la lex credendi; e
- di stentare ad accettare, e alle volte osteggiare, il ripristino dell'antica prassi della Chiesa.
Nella prassi odierna dell’amministrazione dell’Iniziazione Cristiana permangono in uso due momenti rituali distinti, non per tempo, come in passato, ma per celebrazione. Questi sono il momento dei riti pre-battesimali e quello dei riti dell’Illuminazione.

ANALISI MISTAGOGICA DEL RITO PRE-BATTESIMALE O RITO PER COSTITUIRE UN CATECUMENO

Nella Chiesa bizantina il giorno privilegiato per i battesimi è il Grande e Santo Sabato. Seguono il giorno di Pentecoste e il giorno dell'Epifania del Signore al Giordano.
Oggigiorno esso è amministrato anche quando i genitori e i padrini lo richiedono, dopo l'adeguata preparazione.
Quando dunque viene il tempo stabilito per il Battesimo, il Battezzando viene portato in Chiesa. Se essa è fornita di Battistero tutta la celebrazione si svolge in esso, altrimenti al nartece della chiesa o all'ingresso, dove esso manca, e poi al soléa dove è sistemata la kolinvíthra cioè il fonte battesimale.
Il sacerdote, indossata la stola rossa (colore della penitenza) inizia i riti sul battezzando soffiando su di lui, segnandolo colla Croce, imponendogli la mano destra e, quindi, pregando così:
" Nel tuo Nome, Signore, Dio della verità, e in quello dell’unigenito tuo Figlio, e del tuo Santo Spirito, impongo la mia mano sul tuo servo (nome), giudicato degno di trovare rifugio presso il tuo santo Nome e di essere custodito sotto la protezione delle tue ali.
Rimuovi da lui quell’antico errore, e riempilo di fede in Te, di speranza e di carità, perché conosca che tu sei il solo Dio, Dio vero, e l’unigenito tuo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, e il tuo Santo Spirito.
Concedigli che possa camminare nell’osservanza di tutti i tuoi precetti e che custodisca ciò che è a Te gradito: facendo queste azioni, infatti, l’uomo vivrà in esse. Scrivilo nel libro della tua vita ed associalo nel gregge dei tuoi eredi. Sia glorificato in lui il santo Nome tuo e del tuo diletto Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, e del tuo vivificante Spirito. Siano sempre rivolti a lui i tuoi occhi e i tuoi orecchi, perché in misericordia possa esaudire la voce della sua preghiera. Allietalo nelle opere delle sue mani ed in tutta la sua stirpe, affinché, adorando e glorificando il tuo Nome, confessi Te e a Te innalzi lode ininterrottamente in tutti i giorni della sua vita. A Te, infatti inneggiano tutte le potenze dei cieli, e tua è la gloria: Padre e Figlio e Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin ".
Gli elementi mistagogici da evidenziare sono tre:
- il soffio sul volto del battezzando,
- il segno della croce sulla fronte (sulla bocca) e sul petto del battezzando,
- l’imposizione della mano sul capo.
Il soffio richiama Genesi 2,7 la creazione, e Giovanni 20, 22: la nuova creazione attraverso il perdono dei peccati e il dono dello Spirito Santo.
Il segno della croce sulla fronte indica che il catecumeno aderisce alla conversione accettando la redenzione; sulla bocca (non tutti i rituali lo riportano) indica che il suo parlare dovrà esprimere la salvezza ottenuta con la professione della fede e sul petto indica che dovrà amare il segno di quel legno su cui Cristo è morto per amor suo e prima di essere conforme al risorto dovrà essere conforme al crocifisso.
Quel segno inoltre è il riconoscimento tipico dell'essere cristiano. Il diavolo dovrà fuggire lontano perché quel segno è anche un sigillo ( come si dice nel 1° esorcismo) .
Segue la preghiera con l'imposizione della mano.
Imporre la mano indica che il battezzato appartiene a Dio, è proprietà di Dio, è a lui offerto. Questo gesto di imposizione della mano richiama il gesto dei leviti nel rito dell'offerta di qualche vittima (cf. Lv 1,4 . 3,2).
La preghiera poi esprime altri concetti che ci aiutano a penetrare sempre di più nel mistero che si celebra.
Le caratteristiche sono:
- l'essere stato giudicato degno del rifugio in Dio e della sua protezione;
- la cancellazione dell'antico errore: il peccato originale, che avverrà col battesimo
- il ricevere le tre virtù teologali: la fede, la speranza e l'amore;
- la conoscenza di Dio Uno e Trino;
- la perseveranza nel Bene;
- il destino della salvezza (= iscrizione nel libro dei viventi e l'associazione al gregge degli eredi);
- la glorificazione di Dio nel battezzando (cf. Gv 11,4; 12,28 ecc. );
- l'essere ascoltato ed esaudito nella preghiera;
- l'essere gratificato nel suo operare salvifico;
- il vivere alla presenza di Dio in atteggiamento di lode.
Dopo questa preghiera seguono tre esorcismi. I primi due veramente molto "forti" e forse inadatti per i bambini, il terzo invece, più "blando" è il più adatto per essere detto sopra una creatura innocente quale è un neonato.
Per comprendere gli esorcismi bisogna "leggerli" alla luce del tempo in cui furono composti.
Non bisogna dimenticare che l'esorcismo veniva fatto su persone adulte, per lo più pagane, con un passato non sempre "pulito" alle spalle. Un passato pagano, idolatra, e alle volte, moralmente non sano, ecc.
L'esorcismo poi serviva per due motivi: il primo era l'allontanamento di ogni influsso satanico che poteva sviare la mente del battezzando riportandolo al paganesimo; il secondo era la conversione che doveva derivare da questa "macinazione" secondo la felice espressione di S. Agostino (18).
Oggigiorno ci si può chiedere con motivazioni valide, se sia ancora necessario compiere i tre esorcismi, dal momento che al battesimo si presentano solo bambini (e a questi non si richiedono né metánoie, né digiuni, come agli adulti).
Diremmo di no, appunto perché sono cambiati i tempi. Tuttavia il demonio non è cambiato. Non bisogna minimizzare l'azione diabolica nella vita dell'uomo, ma d'altra parte non bisogna neanche esagerare. Allora ci si può soffermare solo sul terzo esorcismo, trattandosi di bambini, per tenere lontano ogni influsso del maligno.
Non crediamo inoltre che, siccome gli esorcismi scritti nei rituali sono tre, debbano necessariamente essere detti tutti e tre. Anche qui ci vuole un po’ di discernimento, oltre al solito buon senso; la scelta, forse, nella mente del redattore, doveva essere lasciata ad libitum dell'esorcista (come per altri testi), il quale, visto che gli esorcismi erano fatti in tempi diversi, poteva, di volta in volta, sceglierne l’uno o l’altro.
Gli esorcismi esprimono la convinzione che satana può influire sulle azioni degli uomini. Questa "fede" è manifesta nella preghiera che segue ad essi e che viene fatta per due motivi:
- il primo per ringraziare il Signore di non aver disprezzato l'uomo caduto ma di averlo salvato per l'incarnazione del Cristo;
- il secondo per tenere lontano satana dal cuore dell'uomo, cioè dalla fonte dell'operare umano.
Gesù ci insegna che non ciò che entra nell’uomo lo contamina, ma è ciò che esce dal suo cuore a contaminarlo (cf. Mt 15, 18-19).
Il peccato non è solo frutto del cuore ma anche dell’istigazione del maligno essendo esso omicida fin dall'inizio (Gv 8, 44) e che la morte è entrata nel mondo per l'invidia di satana (Sap 2, 24). Diventa allora necessario pregare il Padre di non lasciarci cadere nella tentazione e di liberarci dal maligno (Mt 6, 13) perché il demonio si allontana con la preghiera (Mt 17, 21).
Terminati i riti di esorcismo il catecumeno deve fare la rinunzia e l'adesione a Cristo.
Il battezzando si gira dunque verso occidente (luogo dove tramonta il sole, luogo delle tenebre, luogo del maligno) ed esprime la sua conversione con la rinuncia a satana, e poi voltandosi verso oriente (verso l'altare, verso il luogo dove sorge il sole, simbolo del Risorto) fa la sua adesione a Cristo.
Prima di esprimere l’adesione al Cristo, il sacerdote, secondo la nostra tradizione siculo -albanese, gli chiede di soffiare verso il cielo e sputare contro il demonio.
Altre tradizioni indicano di soffiare e sputare contro satana in segno di disprezzo.
Crediamo che il soffio verso il cielo è espressione del ricordo del soffio vitale di Dio, è un consegnare lo spirito a Colui che l'ha donato a noi, mentre lo sputo è un chiaro segno di profonda avversione verso colui che ha voluto la rovina dell'uomo.
Si recita quindi il Simbolo niceno-costantinopolitano, si benedice Dio che vuole la salvezza di tutti gli uomini e una preghiera conclude questa prima parte.
Prima di analizzare questa preghiera conclusiva, che definiremmo di ricapitolazione, vorremmo ancora soffermarci su qualche particolarità interessante.
In primo luogo, che il battezzando, o il padrino per lui, è sempre interrogato, sia per la rinunzia, sia per l’adesione, sia per la professione di fede.
Ciò indica che l’uomo è libero e che liberamente accetta di rinnegare satana e se stesso abbracciando la croce, e di mettersi alla sequela di Cristo (cf. Lc 9, 23), aderendo a Lui e adorandolo come Re e come Dio.
Rinunciare a satana, poi, non significa solo abbandonare il maligno e tutte le sue seduzioni, ma significa soprattutto impegnarsi per Dio. La rinuncia è un impegno, e un impegno definitivo così come lo è il battesimo.
Tuttavia ogni istante della vita del cristiano è un rinnovamento della rinuncia a satana e dell’opzione fondamentale per Cristo.
Ma la rinuncia e l'adesione non bastano: bisogna credere, e credere significa unirsi a Cristo, affidarsi a Lui, fidarsi di Lui, avere gli stessi suoi sentimenti (cf. Fil 2, 5-11).
Nella preghiera conclusiva ritroviamo tutti questi concetti e altri ancora.
Essa è, come dicevamo, la ricapitolazione di ciò che si è fatto e di ciò che si farà.
" Sovrano, Signore, Dio nostro, chiama il tuo servo (nome), alla tua santa Illuminazione, e rendilo degno della grande grazia del tuo santo battesimo. Spoglialo di ciò che è vecchio e rigeneralo alla vita eterna.
Colmalo della forza del tuo santo Spirito, per unirlo al tuo Cristo, affinché non sia più figlio della carne, ma figlio del tuo regno. Per la benevolenza e la grazia del tuo unigenito Figlio, col quale sei benedetto, assieme al tuttosanto, buono e vivificante tuo Spirito, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin".
Si tratta di una impetrazione; si invoca il Signore perché completi l'opera che ha iniziato col catecumeno, chiamandolo alla fede per mezzo dell'istruzione (catecumenato), rendendolo degno del battesimo per mezzo della preghiera e della conversione, spogliandolo dell'uomo vecchio per mezzo degli esorcismi e della metánoia, per rigenerarlo alla vita eterna col S. Battesimo, per ricolmarlo di Spirito Santo per mezzo della Cresima, per unirlo al Cristo per mezzo dell'Eucarestia, per fargli raggiungere lo scopo dell'esistenza cristiana: la Théosis – Divinizzazione - (non sia più figlio della carne ma figlio del tuo regno) .
E tutto questo per la grazia e la benevolenza del Figlio unigenito col quale il Padre è benedetto insieme al Tuttosanto e Buono e Vivificante suo Spirito.
In conclusione possiamo definire il rito pre-battesimale simile al fidanzamento. Non è avvenuta ancora l'unione sponsale, che si avrà coll'Iniziazione, ma c'è già la parola data, l'arra, il patto, che, come dice S. Giovanni Crisostomo nella sua catechesi ai battezzandi, è un vero impegno (19).
Segue il congedo, che crediamo si debba fare, non tanto per sciogliere l’assemblea, ma per indicare che un'era si è chiusa: la vecchia, la caduca, la temporanea, per iniziarne un'altra: la nuova, la stabile, l’eterna.

ANALISI MISTAGOGICA DEL RITO DEL SANTO BATTESIMO

Terminato il rito per costituire un catecumeno, se esso si è svolto nel nartece (come si dovrebbe fare), si entra in chiesa e si va verso il soléa (presbiterio) oppure si prosegue verso il soléa se esso si è svolto all’inizio della chiesa, mancando in essa il nartece.
Prima dello svolgersi della processione vengono date le candele accese ai battezzandi (ai genitori) e ai padrini.
La candela indica la luce della risurrezione, ma anche l'attesa dello sposo che sta per giungere e congiungersi coll'anima del battezzando.
Arrivati al Solea, il sacerdote toglie la stola della penitenza e si riveste degli abiti bianchi, anche questo non senza significato.
" L'abito bianco è simbolo di gioia, per la pecorella smarrita che viene ritrovata nel battesimo " dice il Goar nel suo rituale (20).
Ma indica anche la luce e dunque la chiesa deve essere tutta illuminata. Nessuna luce deve essere spenta perché tutto deve indicare la realtà della festa che si sta celebrando.
Il sacerdote quindi dà inizio alla liturgia battesimale con le stesse parole della liturgia eucaristica: " Benedetto il Regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli ".
Egli si trova dinanzi alla kolinvithra dove è stata versata acqua tiepida. Generalmente la vasca battesimale è posta su una mensola quadrata, su cui si pone il S. Evangelo, il S. Myron, l'olio da benedirsi per le unzioni catecumenali, tre candele accese e un asciugamano bianco.
Seguono le invocazioni diaconali (se c'è il diacono, altrimenti vengono dette dal presbitero celebrante), ed a ognuna di esse si risponde col Kyrie eléison.
Queste invocazioni hanno il compito di preparare gli animi al mistero che sta per compiersi ma soprattutto a far prendere coscienza ai fedeli del loro sacerdozio regale.
Il Kyrie eléison dei fedeli è una continua epiclesi. Essi supplicano insieme al sacerdote affinché scenda lo Spirito Santo sull'acqua, sull'olio, sul catecumeno battezzandolo.
Il Kyrie eléison non si può tradurre solo con "Signore pietà". Esso ha una valenza maggiore. Significa:
" Signore dimostra quello che sei! Signore fa che quello per cui ti stiamo invocando si realizzi! Signore non deluderci nella nostra speranza! Signore rivelaci la tua misericordia e riversala sulle nostre ferite quale olio di guarigione e di lenimento delle nostre sofferenze! ".
Terminate queste invocazioni, il sacerdote recita misticamente, una preghiera con la quale supplica il Signore di renderlo degno di comunicare la Divina Grazia:
" O Dio, pieno di clemenza e di misericordia, che scruti i cuori e i reni, tu che sei il solo a conoscere i segreti degli uomini: nulla infatti rimane nascosto alla tua presenza ma tutto è spoglio ed esposto ai tuoi occhi; tu che conosci tutto di me, non avermi in avversione e non distogliere da me il tuo volto, ma in quest’ora passa sopra alle mie colpe; tu che non ti soffermi sui peccati degli uomini che fanno penitenza, lava la sozzura del mio corpo e le macchie della mia anima, e santificami interamente con la potenza perfetta della tua invisibile e spirituale destra; affinché, annunziando agli altri la libertà ed accordandola loro per la fede connessa al tuo ineffabile amore per gli uomini, non venga io stesso riprovato come schiavo del peccato. No! o Signore, solo buono e amico degli uomini, fa che io non ritorni umiliato e pieno di vergogna, ma inviami forza dall’alto e corroborami per il servizio del grande e sopraceleste Mistero che mi sta innanzi. Imprimi l’icona del tuo Cristo su colui che sta per rinascere, attraverso me, degno di compassione, ed edificalo sul fondamento dei tuoi Apostoli e Profeti, e non sradicarlo mai, ma innestalo nella tua santa Chiesa Cattolica ed Apostolica come virgulto di verità da non estirparsi: affinché, progredendo egli nella pietà, sia glorificato anche per lui il tuo santissimo Nome: del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amín".
Soffermiamoci un po’ su questa preghiera per diversi motivi. Il primo è la coscienza, da parte del sacerdote, della propria nullità e indegnità nel celebrare il grande mistero della rinascita di un'anima.
Non per falsa umiltà, o per un inutile senso della propria indegnità. Bensì per la verità circa la sua persona che deve sempre più conformarsi a Colui che lo ha chiamato per essere "tramite", "canale di grazia".
Il sacerdote fa la sua confessione al Signore, perché sente di non essere stato sempre fedele alla sua vocazione e di non essere stato sempre all'altezza della chiamata. Egli riconosce che ciò che dice agli altri, lui in prima persona, alle volte non lo ha sempre vissuto .
Un altro motivo di riflessione è dato dal fatto che il sacerdote non è un "impiegato statale", egli è chiamato in prima persona a vivere ciò che il Signore tramite lui concede ai suoi figli.
Ancora, egli non è un medium, un catalizzatore; è chiamato a santificarsi, santificando gli altri. Quindi supplica il Signore di santificarlo e di perdonargli i peccati che ha commesso contro il suo essere sacerdote, (perché egli è sacerdote, non fa il sacerdote) affinché, annunziando agli altri la libertà ed accordandola loro, non sia lui stesso riprovato come schiavo del peccato.
Non bisogna trascurare questa preghiera o passarci sopra come ormai sorpassata. Consigliamo invece di recitarla non in segreto o durante le invocazioni diaconali, bensì a voce alta e chiara, perché il popolo possa sentire ed essere istruito dalla stessa preghiera, perché, crediamo, che la preghiera, qualunque essa sia, quando è detta col cuore, è una grande mistagogia!
Bisogna poi evidenziare tre particolarità del Battesimo che la preghiera contiene: in essa infatti si afferma che il battesimo: imprime, stampa, l’icona del Cristo nell’anima del battezzato; edifica il battezzato sul fondamento degli Apostoli e dei Profeti; innesta il fedele nella Chiesa. Proprietà, queste, che devono diventare, necessariamente, elementi di mistagogia.
Segue la preghiera di consacrazione dell'acqua. Essa si divide in tre parti, come una preghiera eucaristica.
Contiene nella prima parte elementi tipici dei prefazi: la celebrazione delle grandezze di Dio; nella seconda l'anámnêsi: l'opera compiuta dal Cristo a favore dell'uomo; nella terza parte: l'epíclêsi per l’effusione dello Spirito Santo a favore dell'acqua e del battezzando .
L’acqua della Kolinvíthra diventa dunque acqua santa per potenza dello Spirito del Signore, e diventa acqua per la purificazione del corpo e dello spirito e di liberazione da ogni peccato originale e personale, e da ogni potenza satanica.
Terminata la consacrazione dell’acqua, il sacerdote benedice l’olio per le unzioni catecumenali.
La preghiera di benedizione dell’olio, contiene elementi utili alla mistagogia. Troviamo in essa richiami veterotestamentari, che trovano il loro compimento nel Nuovo Testamento, indicando così, che tutto ciò che Dio ha operato prima di Cristo lo ha fatto in vista del Cristo e per Cristo, e che le unzioni con l'olio, nell’antica alleanza, erano prefigurazione dell'unzione di Spirito Santo che avrebbero ricevuto i credenti in Cristo.
"Tu che in forza di esso (l’olio), hai riempito di Spirito Santo coloro che erano sotto la Legge e perfezioni coloro che sono sotto la Grazia ".
L'olio benedetto tuttavia non è solo figura del Myron, ma è anche una benedizione sul catecumeno affinché sia irrobustito, rinnovato, libero dagli influssi del demonio e dai mali del corpo e dell'anima.
Dopo aver benedetto l’olio dei catecumeni, il sacerdote, cantando l’Allilúia, versa in forma di croce una parte dell’olio nell’acqua, a significare l’effusione dello Spirito Santo in essa; il galleggiare dell’olio sull’acqua, indica, invece, l’aleggiare dello Spirito su di essa (Gn 1, 2) rendendola feconda e capace di generare nuove creature. Quindi unge la fronte del catecumeno "con l'olio della gioia" nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, perché possa sempre gioire nel meditare la salvezza e gloriarsi del suo essere cristiano stando a testa alta nell'assemblea dei Santi.
Lo unge poi sul petto per la salvezza dell'anima, perché il petto simboleggia la parte spirituale umana, la sede del suo cuore.
Lo unge sulla schiena per la salvezza del corpo, perché la schiena simboleggia la parte corporale dell'uomo, la capacità di portare i pesi e dunque la croce del Signore.
Lo unge sulle orecchie per l'ascolto della fede.
Lo unge sui piedi perché possa camminare sui passi del Cristo.
Infine lo unge sulle mani per indicare la partecipazione all'opera creaturale delle mani del Creatore che lo hanno fatto e plasmato.
Il padrino poi completa l'unzione su tutto il corpo.
Abbiamo visto nella II Catechesi Mistagogica di S. Cirillo di Gerusalemme che tale unzione viene spiegata con l’immagine agricola dell’innesto dell’olivastro sull’ulivo buono.
Con ciò si indica che l'uomo viene inserito in Cristo per essere trasformato in uomo nuovo: " Così spogliati, siete stati unti con olio benedetto dalla cima dei capelli alla pianta dei piedi e siete entrati in comunione con l'ulivo buono che è Gesù Cristo.
Recisi dall'olivastro siete stati innestati sull'ulivo buono e resi partecipi della linfa dell'ulivo.
L'olio benedetto simboleggia la partecipazione all'abbondanza del Cristo che mette in fuga ogni traccia di potenza avversa ".
Anticamente i lottatori venivano unti per poter sfuggire alla presa dell'avversario, così l'unzione sul catecumeno indica non solo l'inizio della rinascita cristiana ma anche sua lotta contro il maligno, e la capacità di sfuggire ai suoi artigli.
Il battezzando è dunque pronto per il S. Battesimo.
Viene portato al sacerdote il quale volgendolo ad oriente, lo immerge tre volte dicendo: "Il servo di Dio (nome) viene battezzato nel nome del Padre (prima immersione), del Figlio (seconda immersione) e dello Spirito Santo (terza immersione)". Ad ogni immersione il popolo risponde "Amín" (Amen, Così è, Così sia).
Quindi, mentre il battezzato viene asciugato, si canta il Salmo 31 (32).
Sempre nella II Catechesi Mistagogica di S. Cirillo di Gerusalemme, abbiamo visto il significato delle tre immersioni, non è male qui riproporre il testo: "Siete stati immersi tre volte nell'acqua e tre volte ne siete fuoriusciti, ciò era un simbolo dei tre giorni trascorsi da Cristo nel sepolcro...
In quel medesimo istante voi siete morti e siete nati, l'acqua salutare vi fu sepolcro e madre.
Cosa straordinaria e meravigliosa! Noi non siamo morti realmente, né realmente sepolti, né tantomeno realmente crocifissi; tutto questo è avvenuto in immagine, però la nostra salvezza si è veramente compiuta.
Cristo fu veramente crocifisso, fu realmente sepolto ed è veramente risorto; tutti questi doni egli ce li ha dati per grazia, affinché partecipando in immagine alle sue sofferenze, acquistassimo realmente la salvezza.
O sovrabbondante misericordia! Cristo ha ricevuto i chiodi sulle sue mani innocenti e sui piedi, e ne ha sofferto; a me invece, senza che io ne soffra o fatichi, è donata la salvezza per comunione alle sue sofferenze" (21).
Appena il battezzato viene asciugato e parzialmente rivestito, terminato il Salmo 31, alcuni rituali prescrivono la cresima e quindi la consegna delle veste candida cioè luminosa (photoeidhê stolê), altri invece prevedono prima la consegna della veste e poi la cresima.
Personalmente, per il concetto che ci siamo fatti della cresima, preferiamo il primo modo: la vestizione dopo il Myron.
D'altra parte anche Cirillo parla della crismazione col Myron dopo la terza immersione e la risalita "dalla piscina delle sacre fonti" (22).
Comunque nell'un caso o nell'altro essa simboleggia la purificazione ottenuta, o la veste nuziale che rende atti a partecipare al banchetto delle nozze, l'armatura dello Spirito Santo. Il problema si risolve in base alla mistagogia che la veste bianca suggerisce.
Abbiamo detto più su che l’Iniziazione Cristiana può essere considerata come un "unico sacramento" in tre fasi distinte. Questo viene confermato chiaramente dalla preghiera della crismazione:
"Benedetto sei Tu, Signore Dio onnipotente, fonte dei beni, sole di giustizia. Tu che hai fatto risplendere una luce di salvezza su coloro che erano nella tenebra, per la manifestazione del tuo unigenito Figlio e Dio nostro, e hai donato a noi indegni la beata purificazione nel santo Battesimo e la divina santificazione nel vivificante Crisma; tu che adesso ti sei compiaciuto di rigenerare questo tuo servo neo illuminato per mezzo dell’acqua e dello Spirito e gli hai accordato la remissione dei peccati volontari ed involontari, tu stesso, o Signore, Re universale e pieno di misericordia, concedi al medesimo anche il sigillo del dono del tuo santo, onnipotente ed adorato Spirito e la comunione del santo Corpo e del prezioso Sangue del tuo Cristo. Custodiscilo nella tua santità, confermalo nella retta fede, liberalo dal maligno e da tutte le sue insidie; e con il salutare tuo timore custodisci la sua anima nella purezza e nella giustizia, affinché in ogni sua opera e parola sia a te gradito e divenga figlio ed erede del tuo regno sopraceleste.
Poiché tu sei il Dio nostro, Dio che dona misericordia e che salva, e a te rendiamo gloria: Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amín".
In essa, come si vede, si afferma che il Signore ci ha manifestato il mistero del battesimo e la "divina santificazione nel vivificante crisma".
Che è stato Lui ad operare la rigenerazione del battezzato per mezzo dell'acqua e dello Spirito. Ora lo si supplica perché sia ancora Lui, il Signore, a concedergli il sigillo del dono dello Spirito Santo (Cresima) e la partecipazione al corpo e sangue di Cristo ( Eucarestia) .
Tale sigillo convalida un patto avvenuto, e il Signore conferma nella fede retta il battezzato, lo libera dal maligno e da tutte le sue insidie, gli custodisce l'anima nella purezza e nella giustizia grazie al suo timore, e infine lo rende capace di essergli gradito in ogni sua opera e parola.
Quindi il sacerdote tracciando sulla fronte, sugli occhi, sulle narici, (sulle gote), sulla bocca, sulle orecchie, sulle mani e sui piedi un segno di croce col santo Myron dice ogni volta: "Sigillo del dono dello Spirito Santo".
Il significato di queste unzioni lo dà ancora S. Cirillo nella sua terza mistagogia:
"Per prima cosa siete stati crismati sulla fronte, per essere liberati dalla vergogna che il primo uomo trasgressore portava ovunque, e per poter contemplare a viso aperto, come in uno specchio, la gloria del Signore.
Poi sulle orecchie, perché riceviate delle orecchie capaci di udire i divini misteri.
Poi sulle narici, perché possiate dire, dopo aver ricevuto il balsamo: noi infatti siamo dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si salvano (cf. 2 Cor 2,15).
Poi sul petto, affinché indossata la corazza della giustizia, possiate resistere alle insidie del demonio. Come Cristo, dopo il battesimo e la discesa dello Spirito Santo, uscì a combattere contro il demonio, così voi pure, dopo il santo battesimo e la mistica crismazione, rivestiti dell'armatura dello Spirito Santo, affrontate la potenza dell'avversario e la combattete dicendo: Tutto posso in colui che mi dà forza (Fil 4, 13)" ( 23 ).
Qualche altro rituale prescrive che si crismino anche le gote per esprimere la gioia di appartenere a Dio e testimoniare la felicità della risurrezione.
San Cirillo non parla delle crismazioni degli occhi, delle mani e dei piedi e della bocca, probabilmente perché non si usavano farle. Ma al santo interessava, pensiamo, far notare che ungendo i battezzati sulla fronte, sugli orecchi e sul petto, si tracciava su di lui un segno di croce.
Comunque c'è da dire che le unzioni variano da Chiesa in Chiesa, e che dunque bisogna rispettare le tradizioni locali.
Le unzioni su tutti gli organi di senso indicano inoltre che tutto l'uomo viene santificato e che tutto ciò con cui il cristiano viene a contatto deve diventare santo; il fedele, in altre parole, è chiamato a sublimare tutte le realtà, da quelle del pensiero a quelle materiali.
In questo modo il battezzato è chiamato a essere un altro Apostolo ripieno di Spirito Santo e a profetizzare col buon profumo delle sue opere sante.
E' pronto inoltre a sedersi alla mensa del banchetto eucaristico. Esso ne ha tutto il diritto e l'obbligo.
Terminata l'unzione crismale il sacerdote con il neo-battezzato e il padrino, compiono tre giri intorno alla Kolinvíthra, cantando il versetto di Galati 3, 27: "Quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Alleluia!".
Il giro indica la gioia e la danza di esultanza per la grazia della redenzione e per l'ingresso nella dimensione divina.
Ogni sacramento introduce il fedele nell'eternità, girare attorno all'altare o alla vasca battesimale significa che tutto ritorna a Dio nel rinnovamento. Così come il cerchio non ha inizio né fine, così, compiendo i tre movimenti circolari, si vuol indicare l'eternità escatologica del già e non ancora, in cui il credente è inserito (24).
Lo stesso rito lo ritroviamo nel matrimonio e nelle sacre ordinazioni con ancora altre valenze di significato.
Terminato il triplice giro, si proclama la Parola di Dio.
Le pericopi lette sono: Rm 6, 3-11 e Mt 28, 16-20.
Il contenuto è tipicamente battesimale, basta leggerle per rendersene conto.
Dopo una breve Ektenía, se non c'è liturgia eucaristica, il battezzato riceve l'Eucaristia grazie ai doni presantificati; se si celebra la Divina Liturgia allora vi partecipa e si avvicina per primo alla Comunione, tenendo in mano la candela accesa.
La partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore costituisce il culmine della Iniziazione Cristiana.
Senza questa partecipazione il battezzato non è "perfetto".
Per diventare un solo corpo e un solo sangue con Lui, noi dobbiamo nutrircene.
L'unione sponsale col Verbo fatto Carne si compie nel battesimo, viene perfezionata nella cresima, ma solamente nella partecipazione eucaristica avviene la consumazione delle nozze per cui "i due saranno una carne sola" (Gn 2, 24).
Diventiamo indissolubilmente membra del suo Corpo solo quando la sua linfa divina è entrata attraverso la nostra bocca nel nostro cuore, cioè nel nostro essere più intimo.
La dottrina dei Santi Padri questo ci insegna, e ci conforta nel aver ripristinato la prassi antica, aiutandoci a superare inutili scrupoli e falsi ostacoli, che lungo i secoli sono stati posti adducendo varie giustificazioni, ma che oggi non hanno più motivo di esserci.

 

CAPITOLO V

LA MISTAGOGIA DELLA CONFESSIONE

Un classico aforisma patristico afferma che la Chiesa è sempre da riformare. Potrebbe sembrare una massima irriverente nei riguardi della Chiesa di Cristo: essa, infatti, è santa perché chi l’ha voluta, il suo Capo, è santo. Ma la riforma non riguarda il Capo bensì le membra che non sempre vivono coerentemente con ciò che hanno promesso nel santo Battesimo. I cristiani, infatti, macchiando il proprio abito splendente (la photoidhê stolê ), ricevuto nella santa Iniziazione, hanno la responsabilità di deturpare tutto l’abito bello e prezioso di cui la Chiesa è stata adornata dallo Spirito. La mancanza di coerenza e di fedeltà, concretizzata nei peccati personali dei suoi membri, rende la Chiesa peccatrice. In questo caso allora si può affermare che la Chiesa è da riformare.
La mistagogia della confessione, quindi, dovrà essere strettamente legata al quella del Santo Battesimo. Non si può infatti capire lo stato di peccato, da cui si dovrebbe uscire, senza aver gustato lo stato deificante della divina grazia conferitaci dall’Illuminazione.
S. Ireneo, a proposito di ciò, afferma: "Rinati, mediante il Battesimo, proviamo una grandissima gioia quando pregustiamo in noi stessi le primizie dello Spirito Santo, con la conoscenza dei misteri, la scienza della rivelazione, la parola della sapienza, la fermezza della speranza, i carismi delle guarigioni e il potere sul demonio . Tutto ciò ci compenetra come stillicidio, e, cominciando prima a poco a poco, finisce col produrre molteplici frutti " (25).
Quando nell’animo del battezzato persiste questo stato di "benessere" e di "opulenza" spirituale, descritto dal santo vescovo di Lione, possiamo dire che la Chiesa è coerente nella santità ricevuta, poiché i suoi membri sono santi, e sanno di esserlo, in quanto uniti, come il tralcio alla vite, al loro Sposo e Signore, e producono molto frutto (Gv 15, 1-8).
Ma quando nel battezzato invece del frutto dello Spirito: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza e dominio di sé (Gal 5,22), troviamo la presenza dell’odio, della tristezza, della guerra, dell’intolleranza, del rancore, della cattiveria, del tradimento, della violenza e dell’orgoglio, della fornicazione, dell’impurità, dell’avarizia, dell’idolatria, ecc. (cf. Gal 5,19 ss) cosa è avvenuto? E come è possibile che l’anima del battezzato, diventata tempio di Dio, possa diventare "ricettacolo di peccato"?
Il Padre Poemen, in un suo celebre apoftégma, ci insegna che: "La distrazione (da Dio), è l’inizio dei mali " (26), e noi completeremmo: "L’ignoranza di Dio, è sorgente di mali".
La prima - la distrazione - impedisce all’anima di essere attenta alla presenza di Dio in essa e quindi di perseverare nel bene (Dio è assente, faccio quello che voglio). La seconda – l’ignoranza - invece, impedisce all’anima di conoscere chi è veramente Dio e chi è l’uomo,(non conoscendo la volontà di Dio su di me, faccio come meglio mi pare). Il Padre Teóna conferma questa tesi affermando che: " Quando la nostra mente si distoglie dalla contemplazione di Dio, diventiamo prigionieri delle nostre passioni carnali " (27).
Quando l’attenzione, la conoscenza o la contemplazione, non è più rivolta a Dio, ma qualcos’altro da Lui (sesso, successo, soldi = le tre tentazioni di Gesù nel deserto) allora l’uomo diventa dio a se stesso; si crea una sua norma morale che dà origine di tutti gli atti peccaminosi. E’ il peccato di Adamo che si ripropone. Egli in paradiso si dimentica di Dio, qualcosaltro distrae la sua attenzione da Dio, Dio gli diventa assente e dunque si sente in diritto di fare quello che gli sembra più opportuno (cf. Gn 3, 6).
"Custodire invece incessantemente nella memoria il ricordo di Dio è fonte di ogni bene, di salvezza, di gioia, è difesa contro il nemico " (28).
Il ricordo di Dio, l’attenzione per Lui, possiamo esprimerli anche col concetto di opzione fondamentale per Lui. Essa consiste nella decisione di aderire al Cristo e nella volontà di rimanere a Lui incorporati.
Nel Battesimo ci è stato chiesto se volevamo unirci a Cristo, e abbiamo optato per il "SI". l’opzione, una volta espressa, rimane valida, fino a che non accade di formularne un’altra contraria.
Ma il dramma del cristiano di ogni tempo non è solo la perdita della consapevolezza di essersi unito a Cristo per sempre, è, soprattutto, la mancanza di tale cognizione: non sa nulla della presenza di Dio nella sua vita, e non ha coscienza della sua dignità di figlio di Dio perché non ha mai ricevuto un’adeguata mistagogia.
"Ricordare"(far ritornare al cuore) queste verità, al fedele, caduto nell’amartía, o che abitualmente vive nel male, significa fargli venire la nostalgia della santità, che inconsciamente porta nel cuore, e fargli prendere coscienza della sua dignità. Significa fargli capire che il peccato non può essere il suo stile di vita, ma solo un incidente di percorso. Solo allora brillerà nella sua vita la luce della conversione: la metánoia.
Cosa è la metánoia?
Il vocabolo greco metánoia, da cui deriva, impropriamente, la parola latina poenitentia-penitenza, significa "cambiamento della mente", e, per conseguenza: "indirizzo delle scelte dell’individuo verso il Bene, cioè verso Dio"; e , volendo, "attenzione verso Dio e non più verso il proprio egoismo".
La metánoia inizia dalla presa di coscienza che la vita fino a quel momento condotta nel peccato o nella mediocrità, non è autentica, non ha senso, non porta alla realizzazione dell’ideale cristiano: il raggiungimento della statura di Cristo (cf. Ef 4, 13). Da questa consapevolezza, generata da una "folgorazione spirituale", ossia da una illuminazione interiore sul mistero dell’amore paterno, sponsale e crocifisso di Dio per l’umanità e della nostra iniquità e infedeltà all’alleanza nel suo sangue; o sulla nostra sordità ai suoi richiami, o sui nostri ritardi e ignoranze nell’attuazione della divina volontà e dell’avvento del suo regno in noi; nasce un profondo disagio interiore, che deve sfociare necessariamente nella confessione.
I tempi e i modi della conversione sono molteplici, solo Dio li conosce e sa come intervenire a favore dei suoi figli. La luce metanoetica può sfolgorare improvvisamente e inaspettatamente, come a S. Paolo sulla strada di Damasco; o può brillare dopo una lunga ricerca della verità, come ad Agostino nel giardino di Cassiciaco, quando è invitato a prendere il sacro testo delle Scritture e a leggere, trovandovi la soluzione del suo dramma.
Ma ci si può ravvedere dopo una meditazione sullo stato del peccato con cui per anni si convive, o dopo una grave colpa commessa. Ci si può convertire dopo una preghiera fatta con umiltà di cuore, o durante una malattia, o a causa di una forte sofferenza, o grazie a un’ottima mistagogia.
Ma non ci si può convertire per paura dell’inferno! Non sarebbe giusto nei riguardi di Dio che ci ha riscattati dalla schiavitù e ci ha resi suoi figli, e, credo, non sarebbe una conversione vera e convinta.
Nel nostro studio, analizzando mistagogicamente il Mistero della Confessione, come la Chiesa Bizantina ce lo propone, rifletteremo sulla celebrazione del rito come ritorno alla casa del Padre da cui per nostra colpa ci siamo allontanati, alienati.

ANALISI MISTAGOGICA DEL RITO DEI PENITENTI

Il Mistero della Penitenza, o come è definito dai teologi ortodossi: Mystêrion tês metanoías, ha negli Eukológia, ossia nei libri liturgici attualmente usati nelle comunità cattoliche e ortodosse, una connotazione personale e comunitaria. Essi prevedono un'ufficiatura di una certa prolissità da celebrarsi in Chiesa, davanti all’Icona del Cristo, senza specificarne i tempi o i momenti, con o senza il concorso del popolo di Dio.
Il rito si può celebrare per uno o più penitenti, salvaguardando la parte personale da quella comunitaria. Certo sarebbe assurdo riproporre ad ogni confessante tutto il rito.
Attualmente si potrebbe scegliere un giorno al mese dedicato alla celebrazione comunitaria, accompagnata da un’ottima mistagogia, e per il resto lasciare liberi i fedeli di confessarsi quando meglio credono, evitando però la superficialità e di importunare il sacerdote subito prima di una celebrazione o i sacerdoti durante la celebrazione della Divina Liturgia.
Il seguente rito si trova nel Rituale dei sacramenti, detto Aghiasmatárion, edito a Venezia nel 1893 e in quello di Roma del 1954, che lo riporta leggermente modificato.

- L’accoglienza e la benedizione a Dio
Il padre spirituale indossato l'epitrachílion (la stola) di colore rosso cupo, simbolo della penitenza, invita coloro che si devono confessarsi a porsi davanti all'icona di Cristo. Lo stare innanzi all’icona indica che la confessione, come in seguito il sacerdote stesso dirà al penitente, viene fatta al Signore. Lì il celebrante inizia il rito con la formula dossologica non eucaristica:
" Benedetto il nostro Dio in ogni tempo ora e sempre e nei secoli dei secoli ". "Amìn ".

- Litania iniziale
Come ogni Akoluthía anche questa riporta una litania di supplica, in cui si presentano varie intenzioni di preghiera a cui si risponde col Kyrie eléison. In particolare si prega per coloro che si stanno per confessare perché il Signore conceda loro il perdono dei peccati e la remissione delle colpe volontarie ed involontarie. Sembra strano per la nostra mentalità odierna il considerare colpa ciò di cui non si ha intenzione di compiere. Eppure il Signore parla del castigo che si merita non solo il servo che conoscendo la volontà del padrone, agisce contro di essa, ma anche chi non conoscendola agisce allo stesso modo. Il castigo sarà certamente minore ma sarà sempre un castigo (Lc 12, 47-48 ). Un omicidio involontario non si può definire un reato ma rimane comunque un omicidio. Così nella vita del cristiano ci sono le colpe dovute alla volontà di peccare e altre dovute all’ignoranza. Nell’un caso come nell’altro la Chiesa ci insegna a chiedere perdono.
Ma tra le petizioni si trova un’altra in cui si chiede al Signore di concedere ai penitenti un po’di tempo per fare penitenza, si tratta anche qui dell’applicazione della parabola del fico sterile a cui si concede un margine di tempo per poter, dopo la fertilizzazione del terreno, far frutto. Dio è paziente ma anche esigente! (Lc 13, 6 ss).

- La preghiera sui penitenti
Alla fine il sacerdote conclude la litania con una preghiera di supplica che riassume tutto il significato della confessione. In essa si dice che il Signore è il pastore in quanto cerca le sue pecore smarrite, ma è anche l’agnello che espia il peccato del mondo. E’ colui che ha condonato il debito ai due servi debitori e che avendo perdonato la peccatrice, può perdonare anche ai peccatori del nostro tempo i quali sono caduti in peccato non solo per la debolezza della carne ma anche per l’inganno del demonio, che agisce, come dicevamo nell’introduzione alla mistagogia di questo sacramento, nell’animo del battezzato per farlo vivere in uno stato di peccato. Inoltre, grazie alla confessione, si chiede al Signore che liberi i penitenti da ogni censura o anatema lanciati da qualche sacerdote, perché egli ha dato alla Chiesa il potere di legare e di sciogliere.
"La lettura del testo rivela trattarsi di una specie di compromesso tra un ufficio liturgico ricco di elementi provenienti da antichi riti pubblici di penitenza (ufficio vespertino e ufficio monastico) e la confessione privata fatta a un sacerdote che ricorda il padre spirituale monastico" (29).

- Le preghiere comuni
Seguono le solite preghiere comuni che si trovano all'inizio di ogni ufficiatura (Trisájion, la supplica alla Santissima Trinità e il Padre nostro).

- Il Salmo 50
Il sacerdote o, se è presente un lettore, legge il salmo penitenziale per eccellenza, quindi declama:

- I tre tropári penitenziali e il Kyrie eléison ripetuto 40 volte.
I primi due tropari penitenziali sono rivolti al Signore ed evidenziano lo stato dell’uomo peccatore dinanzi a Dio. Il grido: "Abbi pietà di noi, Signore, abbi pietà di noi, poiché non abbiamo nessuna giustificazione, per questo ti rivolgiamo questa supplica: Abbi di noi pietà" esprime il bisogno di Dio. Il peccato ha privato l’uomo di ogni giustificazione, lo ha alienato, per cui l’unica cosa che deve fare è quello di gridare a Dio, dal profondo del suo baratro, di avere pietà di lui, senza disperare. Il terzo invece è rivolto alla Madre di Dio e contiene gli stessi concetti: si chiede a Maria di aprire la porta della misericordia a coloro che sperano in lei. Essi non rimarranno delusi anzi saranno perdonati, poiché la "benedetta" è la "salvezza" del genere umano.

- Il riconoscimento del proprio stato di peccato e la richiesta di perdono
I penitenti, quindi, inchinano il capo e dicono: "Ho peccato, Signore, perdonami!". Poi, rialzato il capo pronunciano la preghiera del pubblicano: "O Dio, sii propizio a me peccatore, ed abbi pietà di me".

- La preghiera di supplica
Il sacerdote recita una preghiera di supplica in cui si chiede al Signore di rimettere tutti i peccati dei penitenti, come ha rimesso i peccati di Davide e quelli di Manasse. Egli infatti non vuole la morte del peccatore ma che si converta e viva (Ez 18,23 ), e che bisogna perdonare fino a settanta volte sette (Mt 18,22).

- La preghiera del penitente
I penitenti in ginocchio con le mani rivolte all'Icona di Cristo dicono: " Padre, Signore del cielo e della terra, ti confesso ogni cosa nascosta e manifesta del mio cuore e della mia mente, quello che ho fatto fino ad oggi. Per questo chiedo a Te il perdono, giusto e misericordioso giudice, e la grazia di non più peccare ".
A questo punto i penitenti ritornano al loro posto e dal sacerdote rimane solo uno di coloro che devono confessarsi perché la confessione è segreta.
Il sacerdote, "con voce ilare", prescrive la rubrica, esorta il penitente a confessare i propri peccati, dicendogli: " Fratello, poiché sei venuto da Dio e non da me, non ti vergognare. Infatti non a me ti confessi, ma a Dio, alla cui presenza ti trovi".

- La confessione dei peccati
Il penitente fa la sua confessione sincera, completa e modesta, l’ha infatti promesso: "ti rivelo ogni cosa nascosta o manifesta". Il sacerdote da parte sua ascolta con tutta umiltà e, a meno che il caso non lo richieda, senza fare domande, perché alle volte si può insinuare la deplorevole curiosità che mette a disagio il penitente. E’ vero che la rubrica prevede che il penitente sia interrogato dal sacerdote, ma pur vero che la discrezione è sempre una gran virtù, quindi, secondo la nostra interpretazione, la rubrica: "con voce ilare", non è altro che un modo di dire, per affermare che il penitente deve sentirsi a suo agio davanti a un tribunale di misericordia e non di curiosità.
A questo proposito Nicodemo l’Agiorita afferma: " Non è necessario che il padre spirituale interroghi il penitente su cosa e cosa ha fatto. E’ lo stesso penitente che da se stesso deve confessare i suoi peccati, per ricevere il perdono, ma se qualcuno, per ignoranza o per mancanza di formazione, o per vergogna non vuol dire per primo e da se stesso i suoi peccati, allora sei costretto a interrogarlo tu per primo sui suoi peccati e quello a rispondere, come dice S. Agostino: "L’esaminatore delicato interroga il penitente su ciò che forse ignora o che per vergogna intende nascondere". Interrogalo se ha mancato in qualcuno dei dieci comandamenti" (30), non su qualcos’altro!

- L'atto penitenziale da compiere (l’epitímion)
Terminata la confessione dei peccati, il sacerdote esorta il penitente con parole incoraggianti e con consigli, quindi gli indica un atto penitenziale da compiere: delle preghiere, del digiuno, dell'elemosina ecc., oltre alla necessaria soddisfazione, se ce fosse bisogno.
"Ciò fa parte della Penitenza stessa. Prolunga nel tempo lo spirito di conversione, educa al cambiamento della vita. Non è certamente il prezzo del perdono(perché questo l'ha pagato Cristo). E' invece segno di vera conversione e proposito di cambiare vita" (31).
E’ interessante notare che l’Agiorita esprime a questo proposito dei concetti che ritroviamo nel Catechismo della Chiesa Cattolica al n° 1640 a proposito della dottrina sulla penitenza.
Nicodemo così si esprime: " Ricorda ancora di consigliare i peccatori di non pensare che ricevono da Dio la remissione dei loro peccati, solo attraverso il canone (cioè la penitenza da compiere) e la soddisfazione che essi fanno. Questa sarebbe una considerazione eretica. Credano invece che ricevono il perdono: primo, per l’infinita misericordia di Dio; secondo, per la soddisfazione infinita che il Figlio dell’uomo si meritò per i peccatori con la morte e il sangue sulla croce" (32). E il Catechismo così si esprime: " La penitenza che il confessore impone deve tener conto della situazione personale del penitente e cercare il suo bene spirituale, essa deve corrispondere, per quanto possibile, alla gravità e alla natura dei peccati commessi. Può consistere nella preghiera, in un’offerta, nelle opere di misericordia, nel servizio del prossimo, in privazioni volontarie, in sacrifici, e soprattutto nella paziente accettazione della croce che dobbiamo portare. Tali penitenze ci aiutano a configurarci a Cristo che, solo, ha espiato per i nostri peccati una volta per tutte. Esse ci permettono di diventare coeredi di Cristo risorto, dal momento che "partecipiamo alle sue sofferenze"". E citando il Concilio di Trento afferma : " Quindi, l’uomo, non ha che gloriarsi; ma ogni nostro vanto è riposto in Cristo in cui offriamo soddisfazione, facendo "opere degne della conversione" (Lc 8,3), che da lui traggono il loro valore, da lui sono offerte al Padre e grazie a lui sono accettate dal Padre" (33).

- L’assoluzione
Il sacerdote impone la stola sul capo del penitente, come segno della protezione di Dio e dell’azione dello Spirito Santo (cf. Lc 1,35; Sl 90, 4) e recita una delle preghiere di assoluzione, (e non tutte quelle previste, per il fatto che sono scritte di seguito, come avviene per le tre preghiere dell’incoronazione!).
" Si tratta di formule deprecative - così come del resto era in uso anche in occidente fino al XIII secolo -. Queste formule mettono in chiara luce che il perdono viene da Dio attraverso il ministero del sacerdote " (34). In questo studio ne esaminiamo la prima.

- La litania di supplica
Terminate le confessioni, il sacerdote recita una litania di supplica a cui si risponde col Kyrie eléison.

- Il congedo
Il sacerdote quindi termina con queste parole che ribadiscono la sua ministerialità, anche per questo mistero il Signore si serve di lui: " La grazia dello Spirito Santo, per mio umile mezzo, vi ha assolto e perdonato ". La veste bella al figlio perduto non gliela dà il Padre. Questi chiama i servi a portare la veste e rivestire il figlio.
I sacerdoti sono dei servi che rivestono dell'abito della grazia del perdono coloro che hanno confessato i loro peccati al Padre della misericordia, e questa scende su di loro tramite il Figlio nello Spirito Santo.
La remissione dei peccati è dunque, l'opera grandiosa del perdono e dell'amicizia di Dio, frutto esclusivo del puro e gratuito amore del Cristo misericordioso e crocifisso, e la confessione, che ne deriva, non è solo l’accusa dei peccati ma soprattutto l’accettazione di questo mistero e il riconoscimento di quanto Dio ha fatto e farà sempre per noi.

ANALISI MISTAGOGICA DELLA PRIMA PREGHIERA DI ASSOLUZIONE

La fonte, o la radice, di ogni peccato è la dimenticanza o l’ignoranza di Dio e delle verità battesimali, come abbiamo esaminato, ma la realtà in cui il peccatore vive è l’alienazione. La vita nel peccato rappresenta un’alienazione da Dio e dalla parte sana di noi stessi.
La prima preghiera di assoluzione rappresenta un’ottima mistagogia sull’alienazione prodotta dal peccato "fontale". Essa così è formulata:
" Dio che per mezzo del profeta Natan ha perdonato a Davide che aveva confessato le proprie colpe; che ha perdonato Pietro che piangeva amaramente il suo rinnegamento, e la prostituta che bagnava di lacrime i suoi piedi; che ha perdonato il pubblicano e il prodigo; Dio stesso per mezzo di me peccatore, perdoni te nel secolo presente e in quello futuro, e ti faccia comparire irreprensibile davanti al suo tremendo tribunale; Lui che è benedetto nei secoli dei secoli. Amín ".
Abbiamo detto che la metánoia richiede la coscienza dello stato di peccato, quali personaggi biblici potrebbero allora esprimere meglio tale stato se non quelli su citati?
Davide: rappresenta l’alienazione dal potere come servizio. Egli abusando del suo potere di re, è diventato adultero e omicida (cf. 2 Sam 11-12)
Pietro: rappresenta l’alienazione dalla fede-fiducia e i compromessi col mondo. Rinnegando il suo Signore, si è alienato nella paura. Ha avuto spavento di testimoniare il Cristo, perché non ha avuto fiducia in Lui. Si è alienato dalla vera testimonianza (cf. Mt 26, 69-75).
La prostituta: rappresenta l'alienazione dell’eros-amore; l'immaturità nell'amare e la perdita della coscienza della dignità del proprio corpo come tempio di Dio (cf. Lc 7, 36-50).
Il pubblicano (Zaccheo): rappresenta l’alienazione del cuore nell’idolatria del denaro; lo sfruttamento del prossimo (cf. Lc 18, 9-14).
Il figlio perduto: rappresenta l’alienazione nella falsa emancipazione; il permissivismo; la sregolatezza; l'abuso della libertà (cf. Lc 15, 11-32) (35).
Tutta l'opera di Dio, nell'Antico e nel Nuovo Testamento, altro non è allora se non la ricerca dell'uomo, fino al suo ritrovamento. L’uomo è un "ricercato –ritrovato"! Un alienato che ritorna in sé e quindi in Dio (cf. Lc 15, 17).
L'atteggiamento veterotestamentario di Dio nei confronti di Israele che si perde, peccando di idolatria, è quello di uno sposo tradito che esige giustizia (cf. Ez 16, 38; Os 2,4 ecc.), un padre che punisce e quindi reintegra nella sua comunione (Ger 3) ma anche quello di un pastore che cerca le sue pecore, e che ne ha cura (Ez 34, 11-16).
L'atteggiamento di Gesù nel Nuovo Testamento non è mutato ma perfezionato. Non è più lo sposo ingelosito dal tradimento della sua sposa, o il padre che ferisce e che risana, o il pastore che ha cura del suo gregge; è colui invece che viene piagato per la sua sposa, che purifica col suo sangue (cf. At 20,28 e paralleli); è colui che attende il figlio perduto e sta in ansia per la sua sorte, e una volta ritrovatolo gioisce più per lui che per l’altro figlio che non s’è mai mosso di casa (cf. Lc 15, 11-32); è l’agnello che prende su di sé il peccato del mondo (Gv 1,36) ; è colui che va in cerca della pecora smarrita, e che fa festa quando la ritrova (Lc 15, 1-7); è colui che è venuto nel mondo, non per condannarlo, ma per salvarlo (Gv 3,17).
La sua missione è di addossarsi i nostri peccati e le nostre malattie e di distruggerli, distruggendo se stesso sul legno della Croce (cf. Is 53, 4-7 e paralleli).
L'esperienza personale ci dimostra che aver rinunziato a satana, aver aderito a Cristo, aver creduto in Lui, aver ricevuto lo Spirito, essere stati nutriti con le carni immacolate dell'Agnello, non ci hanno assicurato automaticamente e magicamente la salvezza: la dimenticanza, che genera il peccato, è sempre in agguato nella realtà quotidiana.
La fedeltà giurata a Dio costa. La perseveranza nella fedeltà è faticosa. La dimenticanza e l’ignoranza di Dio si riscontrano abitualmente nella vita dei cristiani.
Bisogna riconoscere la nostra incoerenza e la nostra malattia, e ricorrere, come ci esorta a fare il Crisostomo, alla clinica dell'anima: la Chiesa, per ricevere la medicina della remissione dei peccati (36).
Il Signore Gesù ha previsto il muro tenebroso che avrebbe penosamente oscurato lo splendore del mistero del Battesimo, e ha voluto, che il perdono dei peccati si perpetuasse nei secoli, fino alla sua venuta nella gloria.
Agli Apostoli, che si sono resi colpevoli d’aver abbandonato il Maestro nei suoi tormenti, egli risorto, volge loro il saluto pasquale: " Pace a voi " (Gv 20,19). E affida ad essi il potere incondizionato di rimettere i peccati e di offrire la pace ai peccatori: " Ricevete lo Spirito Santo, a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi " (Gv 20, 22 - 23).
La pace è frutto, dunque, della presenza del Risorto tra gli apostoli, e la stessa pace è frutto della presenza di Dio nell’anima nostra. Dove c’è la coscienza della presenza, lì non c’è la dimenticanza. E dove non c’è dimenticanza non c’è peccato, perché l’attenzione, anche inconsapevolmente, sarà sempre rivolta a Dio.

CAPITOLO VI

LA MISTAGOGIA DELL’UNZIONE DEI MALATI

" Signore, colui che tu ami è ammalato! " (Gv 11, 3), è il grido supplice che da tutta la Chiesa continuamente sale al Dio filántropo, a favore delle sue membra sofferenti. Ed egli risponde a questa implorazione con la confortante risposta: "Io verrò e lo curerò " (Mt 8, 7).
Nel corso della vita, prima o poi, la sofferenza bussa alla porta di ogni uomo. Essa è una realtà ineluttabile, un disordine subentrato nella natura, creata buona da Dio.
" Dio - afferma la Sapienza – non ha creato la morte e non gode della rovina dei viventi… La morte (e quindi la malattia) è entrata nel mondo per invidia del diavolo " (Sap 1,13. 2,24 a).
La missione di Gesù nel mondo è stata, e lo è tuttora, quella di distruggere il regno del demonio, instaurando il "Regno di Dio", e di riscattare coloro che appartengono al regno della morte. La cura degli ammalati fa parte di questa instaurazione del Regno e di questa liberazione.
Infatti, durante il suo ministero pubblico, il Signore ha avuto cura degli infermi o personalmente: "Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati, perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia: "Egli ha preso le nostre infermità e si è addossato le nostre malattie" " (Mt 8, 16-17); o tramite gli Apostoli, ai quali ha dato il potere di cacciare i demoni e curare le malattie, essi mandati in missione nel suo Nome: "predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano "(Mc 6, 12-13).
E’ significativo il segno dell’unzione dei malati con l’olio compiuto dagli apostoli, benché riportato dal solo Marco, in esso la Chiesa tutta ha intravisto un preludio del sacramento dell’Euchélaion, esplicitato da San Giacomo. L’Apostolo invita a ricevere l'unzione in caso di malattia: " Se qualcuno di voi è ammalato, chiami i presbiteri della Chiesa, ed essi preghino su di lui, dopo averlo unto con olio nel nome del Signore. E la preghiera fatta con fede salverà l'ammalato; il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati. Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti " (Gc 5, 14-16).
La cura dei malati da parte della Chiesa ha dunque radici scritturistiche e non è un’invenzione dei secoli successivi, come alcuni hanno affermato. Essa è sempre rimasta viva nella tradizione della Chiesa d’oriente e d’occidente, grazie al Mystêrion dell’olio santificato dallo Spirito per la guarigione. "Ora l’olio, dice S. Cirillo d’Alessandria, fa riposare il corpo stanco e produce insieme la luce e la gioia. L’olio dell’unzione figura la misericordia di Dio, la guarigione delle infermità, la luce del cuore. Cose tutte le quali sono il frutto della preghiera"(37).
Il rito dell’unzione non è nato così come la tradizione sacramentaria della chiesa d’oriente ce lo trasmette. Inizialmente consisteva nella semplice benedizione dell’olio e dell’acqua e l’unzione accompagnata dalla preghiera da parte del Vescovo, assistito dal presbitero e dal diacono, così come prevedeva l’Eucológio di Serapione.
In seguito il rito si è arricchito di preghiere e di lezioni della Scrittura, fino ad assumere l’attuale struttura settenaria, ossia di sette sacerdoti concelebranti, sette pericopi dell’Apóstolos e dell’Evangelo, sette preghiere e sette unzioni.
Cosa è dunque l'Unzione dei malati secondo la tradizione liturgica bizantina: un rito magico o una espressione di fede di tutta la Comunità? Una unzione "ultima", quando l'ammalato magari non è più cosciente o una certezza che l'uomo nella sua malattia non è solo, ma accanto a sé ha la Chiesa tutta, con la sua fede e con la sua potente intercessione? (38). Dio agisce se l'uomo è disposto ad accogliere la divina Grazia che lo sana. Il ministero della Chiesa è impotente davanti alla richiesta dell'ultimo minuto o davanti alla disperazione che accompagna l'entrata in casa dei sacerdoti o del sacerdote per l'unzione (39).
Bisogna dire che, una tal concezione negativa del sacramento, è frutto, ancora una volta, di una mancata mistagogia e di una interpretazione erronea del sacramento dei malati. L'unzione non è un viatico quindi non è conveniente darla ai moribondi, a questi bisogna assicurare l'aiuto a ben morire, per mezzo dell’assoluzione dei peccati e dell’Eucaristia. In quest'ottica l'Unzione acquista un significato che le è proprio fin dal principio: " Unzione per la guarigione e non per la morte ". Essa infatti, come si è visto, nacque nella Chiesa vivente Gesù, con lo scopo non di procrastinare all’infinito la morte, bensì di curare gli infermi, ed Egli continua ancor oggi la sua opera come ai suoi tempi e ai tempi apostolici, grazie al ministero dei sacerdoti. " In questo segno si condensa, dunque, tutta l’attività caritativa della Chiesa, che non è, perciò, pura assistenza o filantropia, ma atto sacro, liturgia, testimonianza dell’amore, del Regno di Dio e della sua salvezza " (40).
" La guarigione è chiesta non come un fine in se stessa, bensì nel quadro del pentimento e della salvezza. La vita - quella vera, l'eterna - non finisce con la morte dell'uomo. Qualunque sia l'esito della malattia, la guarigione o la morte, l'uomo ha bisogno di pentirsi e ha bisogno del perdono divino.
Questa è la vera guarigione" (41).
La Chiesa, con il sacramento dell’Euchélaion, non intende prendere il posto del medico o della scienza; ma intende semplicemente rimettere l'uomo sofferente e angosciato nell'amore e nella vita di Dio che è il senso della nostra esistenza su questa terra (42).
In tal modo la Chiesa può ridare la salute all'ammalato o perlomeno ridargli coraggio, un aumento di forze, la necessaria sopportazione delle malattie, l'accettazione delle sofferenze in unione con le sofferenze del Cristo, per completarne misteriosamente la Passione a beneficio della intera umanità, nella propria carne (cf. Col 1, 24) .
" In Cristo, tutte le cose hanno un senso: la gioia come la sofferenza, la salute come la malattia, la vita come la morte. Tutto può essere un cammino verso la Vita. L'uomo viene chiamato, aiutato ad andare incontro a Dio con fiducia, come un uccello si slancia nell'aria o un pesce nell'acqua, e a continuare a cantare la sua Gloria, sia quaggiù se ricupera la salute, sia nella vita che verrà.
L'uomo viene chiamato a cantare la Gloria di Dio e anche a dire: "abbi pietà di me, peccatore", in un atteggiamento di sottomissione alla volontà del Signore, con fiducia e con umiltà aspettando tutto dalla misericordia divina ". (43).

 

ANALISI MISTAGOGICA DEL RITO DELL’UNZIONE DELL’OLIO SANTO DA CELEBRARSI, IN CHIESA O IN CASA, DA SETTE SACERDOTI.

La parola greca Euchélaion deriva dal sostantivo euchê: preghiera e dal sostantivo élaion: olio, significa dunque: preghiera sull'olio, preghiera con l'olio, preghiera e olio.
Si può prendere la terza accezione come rappresentativa del sacramento, che è composto di preghiera e di olio.
Il rito dell'unzione nella Chiesa Bizantina è uno dei più lunghi e complessi, paragonandolo agli altri riti dei sacramenti, se invece lo si considera nel suo complesso esso appare armonioso e, benché lungo, adatto alla necessità del momento: la guarigione attraverso la intercessione e l'Unzione della Chiesa intera, rappresentata dal numero sette, il numero dei presbiteri celebranti, il numero delle unzioni, il numero delle preghiere sull'ammalato, il numero delle pericopi dell'Apóstolos e dell’Evangelo.
La struttura è la seguente:
- Preghiere introduttive con l’incensazione
- Recita dei salmi 142 e 50 con alcuni tropari
- Canone (lunga serie di inni divisi in 9 odi)
- Litania diaconale e consacrazione dell'olio
- 7 brani di Epistole – 7 di Vangeli - ciascuno seguito da una Litania breve - 7 preghiere sull'ammalato – 7 unzioni con la medesima preghiera
- Imposizione dell’Evangelo sul capo dell’ammalato
- Preghiera di remissione dei peccati
- Conclusione.

Analizziamo il rito e i contenuti.
La rubrica dice: " Su di un tavolo vengono posti: il Santo Evangelo, un piatto con del grano con in mezzo una lampada vuota e una bottiglia di olio che poi verrà versato nella lampada insieme a dell’acqua o del vino. Nel grano saranno infissi, mediante bastoncini, sette batuffoli di cotone che serviranno per le unzioni dei malati o del malato. I sacerdoti, indossato l’epitrachílion e il felónion (stola e casula), tenendo in mano una candela accesa, si dispongono attorno al tetrapódhion (tavolo). Il sacerdote che presiede incensa il tavolo tutt’intorno, la chiesa o la casa e il popolo. Poi, rivolto a oriente, davanti al tavolo, dice la benedizione solita dei riti non eucaristici:
"Benedetto il nostro Dio, in ogni tempo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amín" ".
Seguono le preghiere comuni: il Trisájion , la preghiere alla Trinità e il Padre nostro. Il salmo 142 e i tropari penitenziali, quindi il salmo 50 e il Canone.
Soffermiamoci sul Canone. L’acrostico dato dalla prima lettera di ogni tropárion, eccettuati i Theotokía di ogni ode, dice che è composizione di Arsenio. Le Odi sono otto (mancando come al solito la seconda), di cinque tropari ciascuna.
Tutta la composizione poetica si impernia sul concetto di olio e di misericordia che in greco hanno la stessa radicale. Sono degni di nota alcuni elementi interessanti presenti nei tropari: la fede sull’origine divina del sacramento: "Nella tua compassione, o amante degli uomini, hai ordinato agli apostoli di compiere la tua sacra unzione suoi tuoi servi infermi…" (Ode I). "Tu che hai ordinato che gli infermi chiamassero i tuoi divini sacerdoti per essere sanati, o Filántropo, con la preghiera e l’unzione coll’olio, salva con la tua misericordia quest’infermo" (Ode IV); l’unzione dell’olio è un sigillo-sfragís, cioè qualcosa di permanente che conferma e rende visibile l’azione invisibile della divina grazia (cf. Ode VI ), " Il tuo sigillo, o Salvatore, è spada contro i demoni e fuoco che consuma le passioni delle anime per mezzo della preghiera dei sacerdoti…" (Ode VII) ; l’unzione è una visita del Signore all’infermo: "O, Salvatore, ci siamo riuniti per amministrare con fede l’unzione dell’olio a questo tuo servo, che ti preghiamo di visitare " (Ode VIII); l’olio sanando, conduce l’ammalato alla riconoscenza (cf. Ode VIII).
Terminato il Canone e le Lodi, il Diacono canta la litania, nella quale si chiede la santificazione dell’olio e dell’ammalato. Quindi il Sacerdote versa nella lampada olio e vino. La rubrica dice che si può mettere nella lampada acqua al posto del vino. Noi propendiamo per il vino, non tanto perché così usa fare la Grande Chiesa (di Costantinopoli) ma per il significato che il Signore ha dato ad esso nella parabola del buon Samaritano, che sarà subito dopo proclamata (cf. Lc 10, 25-37). Poi recita la prima preghiera di santificazione dell’olio.
La prima preghiera della consacrazione dell’olio è molto chiara riguardo la finalità del sacramento: l’olio santificato dal Signore diventerà per coloro che ne saranno unti con fede: guarigione e liberazione da ogni sofferenza, da ogni malattia del corpo, da ogni macchia della carne e dello spirito e da ogni altro male, perché in questo siano glorificate le sante persone del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Segue il canto di alcuni tropari a Cristo, a S. Giacomo, a S. Nicola, a S. Demetrio, a S. Panteleímon, ai santi anárgiri Cosma e Damiano, a S. Giovanni Apostolo, alla Madre di Dio.
Terminato il canto dei tropari si iniziano le letture e le unzioni. La prima lettura è la pericope di S. Giacomo: 5,10-16 letta dal diacono e la pericope del Vangelo di Luca: 10, 25-37 letta dal primo presbitero. Dopo la piccola ektenía il primo presbitero recita la prima preghiera di guarigione.
C’è da dire che a prima vista la prima parte di questa preghiera sembra una ripetizione della prima preghiera di benedizione dell’olio. Non è così! La prima preghiera di benedizione dell’olio, infatti, è una preghiera impetratoria, di supplica, come avviene per i doni posti sull’altare che aspettano di essere consacrati: si chiede la santificazione dell’olio " perché diventi olio santificato per la guarigione e la liberazione da ogni sofferenza ". Mentre la seconda preghiera è epicletica in quanto si chiede al Padre di inviare lo Spirito affinché consacri l’olio e questo diventi pneumatoforo cioè: portatore dello Spirito, ripieno dello Spirito, e dunque sia lo Spirito a ungere l’ammalato per mezzo dell’olio. Nella prima preghiera si ricorda la funzione dell’olio santo, nella seconda, invece, si ricorda l’azione dello Spirito che è il vero agente, non solo in questo, ma in tutti i sacramenti. Lo stesso Simeone di Tessalonica insiste sulla doppia orazione di benedizione perché, afferma: "è ciò che ritroviamo in tutti gli altri "Misteri"" (44). Noi sosteniamo, dunque, che le due preghiere siano recitate entrambe e che ad esse si diano due diversi significati.
La rubrica dice che questa preghiera può essere interrotta dopo le parole "del Regno dei cieli" , dall’ekfónisis: "Poiché a Te appartiene il regno…". Qui non siamo d’accordo perché la preghiera è una stupenda anamnesi delle meraviglie che Dio ha compiuto per la salvezza dell’uomo, ed è dunque un luogo privilegiato per un’ottima mistagogia sull’amore misericordioso di Dio e sulla sua paterna provvidenza. Essa rispecchia la preghiera della santificazione delle acque il giorno dell’Epifania.
"O Santo dei santi, eterno Iddio, che hai mandato il tuo Figlio unigenito a guarire ogni malattia ed ogni infermità delle anime e dei corpi nostri, manda il tuo Santo Spirito e santifica quest’olio, e fa che sia per il tuo servo (…), che con esso viene unto, di piena liberazione dai peccati e di conseguimento del Regno dei Cieli. Tu infatti sei Dio grande ed ammirabile, che mantieni fede al testamento ed usi misericordia con chi ti ama; che concedi la liberazione dai peccati per mezzo del tuo Figlio Gesù Cristo, e ci hai rigenerato dal peccato; che illumini i ciechi e rialzi i caduti; che ami i giusti ed hai compassione per i peccatori; che ci hai liberati dalle tenebre e dall’ombra della morte e hai detto a quelli che erano in catene : Uscite! E a quelli che erano nelle tenebre: Venite alla luce! Infatti è brillata nei nostri cuori la luce della conoscenza del tuo Unigenito, da quando per noi è apparso sulla terra ed ha vissuto tra gli uomini.
A quanti l’hanno accolto ha dato la potestà di divenire figli di Dio; ha concesso la figliolanza per mezzo del lavacro della rigenerazione, e ci ha sottratti dalla tirannia del demonio; poiché non ha voluto purificarci coll’aspersione del sangue, ma con l’unzione dell’olio ci ha dato la figura della sua croce per farci gregge di Cristo, sacerdozio regale, nazione santa, e ci ha purificati coll’acqua e santificati con lo Spirito Santo. Tu, Sovrano Signore, dà la grazia per questo tuo ministero, come la desti al tuo servo Mosè, e a Samuele, da te amato, e a Giovanni, il tuo eletto, e a tutti quelli che a Te sono stati accetti di generazione in generazione. Così fa che anche noi diveniamo ministri del Nuovo Testamento del tuo Figlio, per l’unzione santificante di quest’olio. Divenga, o Signore, quest’olio, olio di allegrezza, olio di santificazione, veste regale, corazza di potenza, allontanamento di ogni azione diabolica, sigillo non soggetto ad insidie, gaudio del cuore, letizia eterna, affinché quelli che vengano unti con quest’olio della rigenerazione, siano temibili ai nemici, e risplendano nella gloria dei tuoi santi, senza macchia o ruga, e siano accolti nel tuo riposo eterno e ricevano il premio della celeste chiamata. Poiché a te appartiene, o Cristo Dio nostro, l’avere misericordia di noi e salvarci, e noi rendiamo gloria a te: Padre, Figlio e Spirito Santo, ora e sempre e nei secoli dei secoli. Amin".
Terminata questa preghiera mistagogica di guarigione, il primo sacerdote recita la preghiera comune dell’unzione: " Padre Santo, medico delle anime e dei corpi…" ungendo l’ammalato a forma di croce sulla fronte, sulle narici, sulle guance, sul mento, sul petto, sul palmo e sul dorso delle mani, sui piedi e se è possibile su tutto il corpo. I vari Eucologi a riguardo non sono d’accordo. Noi crediamo che tutto il corpo dovrebbe essere unto e non solo le parti dei cinque sensi, essendo state unte, queste, il giorno del santo Battesimo.
Questa preghiera sarà ripetuta da ogni sacerdote, mentre unge l’ammalato, dopo la lettura del Santo Evangelo.
Terminata l’unzione si proclama nuovamente la parola di Dio: l’Epistola dal diacono e l’Evangelo dal sacerdote. Ecco qui di seguito gli altri brani scritturistici:
II Rm 15, 1-7 e Lc 19,1-10
III 1Cor 12, 27-13, 8a e Mt 10, 1.5-8
IV 2Cor 6, 16-7,1 e Mt 8, 14-23
V 2Cor 1, 8-11 e Mt 25, 1-13
VI Gal 5,22-6,2 e Mt 15, 21-28
VII 1Ts 5, 14-23 e Mt 9, 9-13.

Finite le unzioni, se l’infermo è in grado di camminare si pone in mezzo ai sacerdoti, altrimenti questi si pongono attorno al suo letto. Il primo dei presbiteri pone l’Evangelo aperto sul capo dell’ammalato e gli altri impongono le mani, quindi recita la preghiera del perdono: "O Re santo".
Terminata questa preghiera l’infermo bacia l’Evangelo e quindi ha luogo il congedo.
Perché si pone l’Evangelo sul capo dell’ammalato? Il perché è contenuto nella preghiera che si recita accompagnandone il gesto: "O Re santo, pieno di pietà e di misericordia, Signore Gesù Cristo, Figlio e Verbo del Dio vivente… non impongo la mia mano peccatrice sulla testa di questi… ma stendi la tua mano forte e potente, che è in questo tuo santo Evangelo". E’ dunque il Signore che sana e perdona, tramite il ministero della Chiesa e la sua presenza misteriosa nel libro degli Evangeli (45).
Alla fine della nostra trattazione, possiamo chiederci se è sempre conveniente usare il Rito dell’Olio degli Infermi completo. Diremmo di si, se esistono le condizioni di vera preghiera e non di affettazione e di corsa. Se i sacerdoti hanno il dovere, al pari degli Apostoli, della preghiera e della predicazione (cf. At 6,4),non si vede la ragione di non celebrare l’Euchélaion come la Chiesa comanda. Tuttavia, vista la prolissità della celebrazione, volendo amministrare il sacramento più spesso e in casa dell’ammalato, si potrebbe optare per un rito più abbreviato, salvaguardando però la liturgia integrale almeno una volta all’anno come è consuetudine delle Chiese Ortodosse, che celebrano, alla sera del mercoledì santo, l’Euchélaion per tutti i fedeli, affermando che tutti siamo malati nell'anima e nel corpo, e che la grazia risanatrice dello Spirito, per l'unità psico-fisica dell'essere umano, agisce su tutte le infermità. Le malattie del corpo alle volte possono mancare, ma le malattie dell'anima sono sempre presenti. Di qui la necessità di sottoporre il corpo all'unzione perché l'anima riceva la guarigione.

CAPITOLO VII

LA MISTAGOGIA DELLE NOZZE

L’unione dell’uomo con la donna intesa come amore reciproco, convivenza, condivisione e procreazione, è stato un legame voluto da Dio e da lui stesso benedetto fin dal principio (cf. Gn 1, 26-27. 2, 18-24).
Tale legame, con tutte le sue problematiche e con tutte le sue componenti, fu recepito dai cristiani non solo come "volontà di Dio", ma anche come "sacramento", istituito da Cristo durante le nozze di Cana, nell'atto di trasformare l'acqua in vino "buono" (cf. Gv 2, 1-11). E, ancora, come immagine dell’unione di Cristo con la sua Chiesa, come afferma S. Paolo in Efesini 5, 20-33: "Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!".
Il Matrimonio cristiano allora è:
- l’esplicazione della volontà di Dio ("I due saranno una carne sola", "L’uomo non separi ciò che Dio unisce" e "Crescete e moltiplicatevi");
- il conferimento dello Spirito Santo, che dà agli sposi la capacità di santificarsi nella vita di coppia;
- la manifestazione del "mistero" dell’unità: Cristo-sposo e Chiesa-sposa.

Il Mistero del Matrimonio cristiano esprime poi un altro aspetto del piano d’amore di Dio, nascosto in Lui ma rivelatoci in Cristo: la fedeltà amorosa di Cristo nei confronti dell'umanità, sua sposa, redenta dal suo sangue; il suo "SI" eterno, immutabile e irremovibile nei confronti di essa.
La celebrazione delle nozze nel rito bizantino esprime tutte queste realtà, nell’ambito di una tradizione ricchissima.
Analizzeremo anche questa volta i riti, i gesti, le preghiere, le letture per trarre le nostre conclusioni mistagogiche, scopo del nostro lavoro.

ANALISI MISTAGOGICA DEL RITO DEL FIDANZAMENTO

I fidanzati si presentano davanti alle porte della chiesa, l’uomo a sinistra e la donna a destra del sacerdote, che va loro incontro col libro dell’Evangelo.
Il sacerdote fa loro baciare il sacro libro significando così che è lo stesso Cristo che li accoglie nella sua casa. Quindi consegna una candela accesa ai fidanzati e ai testimoni e cantando l'inno alla Madre di Dio: Axion estìn (E' degno veramente proclamarti beata...), si avvia verso il soléa.
Lì si ferma e intona la dossologia solita dell'ufficiatura non eucaristica (l’altra: quella eucaristica sarà intonata all'inizio del rito dell'incoronazione, per la connessione del Matrimonio con l'Eucaristia).
Segue una litania di supplica con diverse intenzioni legate alla circostanza: il Fidanzamento, per tanti versi simili a quelle che saranno dette nel rito della Coronazione.
Seguono due brevi preghiere, forse le più antiche, tra quelle del matrimonio a noi pervenute.
La prima preghiera supplica Dio che sia lui stesso a benedire i suoi servi fidanzati, Lui che ha raccolto in unità le cose divise, e che ha benedetto Isacco e Rebecca facendoli eredi della promessa.
La seconda preghiera chiede a Dio la benedizione del fidanzamento e ricorda l’immagine Cristo-sposo e Chiesa-sposa, come si è sopra accennato.
Dopo le due brevi preghiere il sacerdote fa loro congiungere le mani e quindi consegna loro l’anello quale caparra del "futuro" matrimonio.
Che l’anello sia caparra lo dice lo stesso verbo greco: "arrhavonízetai" cioè "si fidanza dando l'arra" ossia il pegno dell’anello quale impegno dell’amore. In altre parole i fidanzati dandosi l'anello si impegnano l’uno con l’altra per il matrimonio e la fedeltà coniugale.
Dopo aver loro consegnato l’anello, il sacerdote glieli scambia per tre volte, e dopo di lui anche i testimoni presenti, quindi recita una lunga preghiera dove si ricorda il significato dell'anello, potestà, glorificazione, fedeltà alla parola data, dignità : "con un anello fu data potestà a Giuseppe in Egitto (Gn 41,42), con un anello fu glorificato Daniele nella città di Babilonia (Gn 6,17), con un anello si svelò la verità di Tamar (Gn 38, 17-26), con un anello il nostro Padre celeste ridiede la dignità di figlio a colui che l'aveva perduta (Lc 5, 2) ".
La preghiera supplica Dio affinché confermi la parola che i fidanzati si scambiano, stabilendoli nell'unione santa che viene da Lui, perché è Lui che benedice e santifica ogni cosa. E' questo l’elemento tipico di ogni celebrazione cristiana: l’invocazione del Signore, affinché con la sua celeste benedizione, trasformi la realtà comune in realtà trasfigurata, celeste, cioè trasformata secondo le esigenze del Regno di Dio.
La preghiera infine fa riferimento alla mano (destra) del Signore che per mezzo di Mosè guidò a salvezza il popolo attraverso il Mar Rosso.
L’anello del fidanzamento nella destra degli sposi (46), è il segno della protezione di Dio attraverso il mare della vita.
La preghiera infine si conclude con l’augurio che la loro vita sia sempre sotto la protezione dell’Angelo del Signore, che cammini davanti a loro tutti i giorni della loro vita.
Il semplice atto dello scambio dell’anello viene così trasformato dalla liturgia bizantina, in un legame essenziale che unisce Dio con la nuova coppia, e il pegno tra i due fidanzati trova il suo modello ultimo nella fedeltà di Dio alla sua promessa in favore del suo popolo.
A questo punto dovrebbe seguire il congedo, ma dovendo continuare, il sacerdote non congeda nessuno e intona il Salmo 127 che è il proemio del rito della Coronazione.

ANALISI MISTAGOGICA DEL RITO DELLA CORONAZIONE

Se il rito del fidanzamento si è svolto davanti al soléa, allora al canto del salmo si entra dentro e ci si pone davanti all'altare appositamente preparato.
Se il rito si è svolto al nartece allora, cantando il salmo, si entra in chiesa e ci si pone sempre e comunque davanti all'altare preparato nel soléa.
Sull’altare vi è l’Evangelo, le corone, un pane (o una fetta di esso), una coppa di vetro col vino, il velo per gli sposi e un tricerio per simboleggiare la presenza della Trinità.
Terminato il canto del salmo, che ha come antifona - ritornello: "Gloria a Te, Dio nostro, gloria a Te!", il sacerdote dà inizio al rito con la dossologia della liturgia eucaristica: "Benedetto il Regno del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Ora e sempre e nei secoli dei secoli". "Amìn".
Ci si chiederà perché questa formula, usata solo per le celebrazioni eucaristiche: Divina Liturgia, Vespri con Liturgia, o Presantificati, viene usata per due altri sacramenti: il Battesimo e il Matrimonio.
La risposta è semplice: perché questi due sacramenti sono legati all'Eucaristia, come le su citate Liturgie.
Il matrimonio è legato all’Eucaristia sia per contenuto: l’offerta di due persone, perché Dio le trasformi in una sola realtà come il pane e il vino offerti, che diventano unica realtà del corpo del Signore Gesù; sia perché era celebrato nel contesto della Liturgia, o se questa non veniva celebrata, ai due erano dati i doni eucaristici presantificati.
Questa non è una nostra invenzione, molti codici liturgici, infatti, parlano della celebrazione delle nozze in questi termini, poi, purtroppo, caduta in disuso.
Dopo la dossologia iniziale, segue la solita litania di pace, con intenzioni di preghiere adatte all'incoronazione e poi tre preghiere di diversa lunghezza ma di identico contenuto.
Checché ne dicano liturgisti e teologi, esse sono tre identiche preghiere di cui va detta una sola a scelta del sacerdote perché, tutt’e tre, al pari delle anafore, contengono una prefázio, una anámnêsis e una epíclêsi, quindi, dette tutt'e tre, a nostro modo di vedere, significa sposare tre volte gli sposi!
Dopo le preghiere segue la velazione degli sposi. Il sacerdote stende un largo velo sulla testa dei due sposi coprendoli, e ciò a significare che Dio stesso, per mezzo del suo Spirito, li copre con la sua ombra e li rende fecondi. Le radici scritturistiche della velazione le troviamo in Luca 1,35a: " Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'altissimo "(47).
Il rito della velazione è in uso solo presso le popolazioni albanesi di rito bizantino della Sicilia, mentre è scomparso da tutto l’oriente cristiano.
Dopo la velazione segue l'incoronazione.
L’incoronazione ha radici veterotestamentarie (cf. Is 61,10 e Ct 3,11), e pagane. Ma essa è passata nella civiltà cristiana con significati ben precisi. Nella nostra cultura dunque chi porta la corona e perché?
I Martiri: perché con il martirio hanno raggiunto la forma più perfetta di santità ("Nessuno ha un amore più grande – più perfetto - di colui che dà la vita per i suoi amici" Gv 15, 13).
I Vescovi: essi sono perfetti nel governo della Chiesa e nell'amministrazione dei Sacramenti.
I Re: al pari dei vescovi essi sono perfetti nel governo delle Nazioni.
Gli Atleti: i vincitori sono perfetti nello sport in cui hanno gareggiato, dunque incoronati.
I Poeti: perfetti nell'arte della poesia e dell'espressione, sono incoronati di gloria immortale .
Per quanto riguarda il velo e le corone nuziali sono i S. Padri a parlarne, soprattutto S. Paolino da Nola nel suo cantico sul Matrimonio. Ma le corone sono viste dai Padri in maniera diversa, alcuni le rigettano come tradizione pagana (Tertulliano), altri danno come simbologia la vittoria sulle passioni (Giovanni Crisostomo), altri ancora affermano che le corone non devono essere poste sul capo dal Vescovo ma dai padri di famiglia ( Gregorio di Nazianzo) ecc.
Qualunque sia l’interpretazione che ne danno i Padri, per noi, facendo riferimento a chi porta la corona e perché, la corona indica la perfezione, la perfezione dell'uomo nella donna e della donna nell'uomo, perfezione a livello psicofisico.
In altre parole il marito è la gloria della moglie e la moglie del marito. Il marito trova il suo perfezionamento a tutti i livelli nella donna e la donna nell'uomo. Dunque si portano a vicenda sul capo, perché l’uno è la gloria dell’altra e viceversa.
Il celebrante quindi prende una corona dall’altare e tracciando un segno di croce sullo sposo dice: " Il servo di Dio (N.) si incorona della serva di Dio (N.), nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
Il greco dice stéphetai che significa adorna il suo capo con la corona, per indicare che l’altra parte (la donna), è ciò che gli mancava per essere perfetto e che ora possiede, gloriandosi di portarla sul capo.
Lo stesso avviene per la sposa.
Dopo l’incoronazione il sacerdote canta un versetto di invocazione, epicletico, che richiama il Salmo 8, augurando che sia Dio a incoronarli:
"Signore Dio nostro, incoronali Tu di gloria e di onore". L'uomo, creato a immagine e somiglianza di Dio (maschio e femmina), nell'unità famigliare riceve da Dio gloria e onore facendo risplendere nella coppia la luce del piano di Dio.
Mentre il sacerdote canta il versetto su citato scambia le corone sulla testa degli sposi tre volte e dopo di lui anche i testimoni.
Seguono due letture: Ef 5, 22-33 e Gv 2, 1-1 1, che si adattano e spiegano il matrimonio cristiano.
" L'Epistola agli Efesini parla del grande mistero della comunione coniugale, in relazione all'unione fra Cristo e la Chiesa e dei sentimenti che devono animare gli sposi in una comunità di amore e di uguaglianza, in ruoli distinti, consigliando di stare sottomessi gli uni agli altri nel timore del Signore " (48).
Il Vangelo di Giovanni ricorda l’episodio delle nozze di Cana a cui è invitato anche Gesù, la Madre sua e i suoi discepoli.
La trasformazione dell'acqua in buon vino indica la trasformazione che avviene nella vita degli sposi ma anche la provvidenza che il Signore ha nei confronti della coppia umana. Non bisogna sottovalutare neanche l'intervento della S. Madre di Dio, della sua intuizione e della sua mediazione.
Finita la lettura della Parola, seguono alcune preghiere litaniche e il Padre nostro. Il sacerdote quindi benedice la coppa comune e, dopo aver loro dato da mangiare un po’ di pane, porge loro la coppa del vino cantando il versetto del Salmo 115, 13: "Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore".
Un unico pane e un’unica coppa di vino, per indicare l'unità, la concordia, la comunione di vita e la gioia. Un unico pane, un unico calice, un’unica realtà: tutto è tra loro comune ed entrambi hanno pari dignità di fronte al Signore, a se stessi e al mondo.
Anticamente dopo il Padre nostro si dava l’Eucaristia, oggigiorno, se le nozze si celebrano la mattina, qualche sacerdote, un po’ timidamente e arbitrariamente, ha inserito il rito della Comunione.
Terminato il rito del calice comune, nella tradizione bizantina di Sicilia, il calice di vetro viene spezzato per indicare l'indissolubilità del matrimonio e la fedeltà: in quel bicchiere dopo che hanno bevuto gli sposi nessuno più deve bere. Il sacerdote quindi, con gli sposi e i testimoni, girano tre volte attorno all'altare cantando tre tropári, gli stessi che si cantano durante le ordinazioni, invertendo l'ordine: il primo, durante le ordinazioni, si canta per ultimo.
Il primo tropárion così recita: " Isaia, danza, poiché la vergine ha concepito nel suo seno e ha partorito un figlio, l’Emmanuele, Dio e Uomo, Oriente è il suo nome, e noi magnificandolo, proclamiamo beata la Vergine ".
L'invito alla danza è motivata dalla realtà dell'incarnazione profetata da Isaia. Ciò che il profeta ha previsto si è avverato.
Anche il matrimonio è espressione di questa incarnazione del Verbo, infatti come il Logos si unisce alla Umanità, pur rimanendo Logos, così l’uomo e la donna si uniscono pur rimanendo tali. Ecco perché il tropárion qui si canta per primo.
Seguitando a girare intorno all'altare si canta il secondo tropárion che si riferisce ai martiri vittoriosi e incoronati, affinché supplichino il Signore di aver pietà delle anime nostre.
Il terzo tropárion è una dossologia a Cristo, vanto degli Apostoli ed esultanza dei Martiri il cui annunzio è stata la Trinità consustanziale.
Questo rito richiama il giro attorno alla vasca battesimale, rievoca la dimensione eterna del sacramento a cui sono chiamati gli sposi, ricorda la gioia di appartenere a Cristo e di girargli intorno esultanti; rammenta, infine, l'impegno di testimoniarlo dinanzi all'assemblea.
Terminata la "danza nuziale" il sacerdote toglie le corone augurando allo sposo di essere magnificato come Abramo, benedetto come Isacco e fecondo come Giacobbe, camminando nella pace e adempiendo nella giustizia i comandamenti di Dio; alla sposa augura di essere magnificata come Sara, felice come Rebecca e feconda come Rachele, di rallegrarsi del suo sposo e di osservare la Legge di Dio secondo il suo beneplacito.
Le corone vengono consegnate a uno della famiglia che ha cura di portarle nella nuova casa dove andranno ad abitare gli sposi e di rimetterle in un luogo decoroso, essendo il segno del loro amore (49).
Quindi gli sposi dinanzi all'assemblea si danno il bacio e il sacerdote dopo aver invocata ancora la Trinità affinché li benedica e faccia riuscire ogni loro iniziativa e ogni loro impresa, li congeda nella pace, perché di essa hanno bisogno, più di ogni altra cosa.
"Dopo il congedo e gli auguri, gli sposi, accompagnati dalla preghiera della Chiesa, "procedono in pace" nella loro vita, certi della presenza del Signore, in base alla sua promessa: "Dove due o tre sono uniti ne mio nome, Io sono in mezzo a loro" (Mt 18,20)" (50).
La vita di coppia, infatti, non è sempre facile, implica un forte combattimento e una rinuncia continua contro il proprio egoismo, fonte di tutti i peccati, e questo sarà possibile se in mezzo a loro c’è la presenza del Signore.
La vera gioia si ottiene attraverso la scoperta della croce: " Dona loro, o Signore, la gioia che provò la beata Elena (imperatrice), quando trovò la preziosa croce" (2 preghiera ). La vera felicità e la perfetta santità, consistono nella morte quotidiana a se stessi per vivere dell'altro.
Quale migliore conferma a queste parole di quello che scrisse il papa Gregorio Magno nella Regola pastorale?: "Si devono ammonire i coniugi affinché tutto ciò che in loro talvolta dispiace, lo sopportino a vicenda. Sta scritto infatti: "portate i pesi gli uni degli atri, e così adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2). Ma la legge di Cristo è l'amore, e per amore egli ci ha elargito i suoi ricchi doni e ha portato con animo sereno i nostri mali.
Noi adempiamo, dunque la legge di Cristo imitandolo, quando elargiamo con benignità i nostri beni e sopportiamo con pietà i mali dei nostri.
Si ammoniscano dunque (gli sposi) che ciascuno di loro badi non tanto a ciò che sopporta dall'altro, quanto a ciò che fa sopportare all’altro. Se infatti considera i pesi che fa portare all'altro, porta più facilmente i pesi che l'altro gli fa sopportare" (51).

CAPITOLO VIII

LA MISTAGOGIA DEL SACRO ORDINE

L'incarico di continuare a nutrire il santo popolo di Dio con la Parola e i Sacramenti, dopo l'ascensione di Gesù, dal Signore stesso è stato affidato agli uomini da lui scelti e mandati nel mondo a perpetuare l'opera da lui iniziata e voluta dal Padre.
Per questo motivo dopo la sua risurrezione il primo dono che egli fa ai suoi, è il dono dello Spirito Santo per la remissione dei peccati, ossia per la salvezza del mondo (52).
Tutti i sacramenti hanno in vista la salvezza e la salvezza è data dall’abbattimento del muro di inimicizia che ci separava da Dio. Abbattuto il muro che ci separava da Dio, Gesù ha voluto che i benefici della sua morte e risurrezione continuassero ad essere perpetuati fino al suo ritorno.
Perpetuare la salvezza, distribuirla, è compito degli uomini che Dio sceglie e mette da parte affinché l’unico Sacerdote agisca nei sacerdoti a favore del popolo santo di Dio.
La riscoperta del carattere cristiano e apostolico del sacerdozio universale dei fedeli non costituisce un ostacolo al sacerdozio ministeriale ma piuttosto un impulso a favore dei fratelli consacrati a servizio totale della Chiesa.
Il sacerdozio ministeriale è un dono di Dio alla Chiesa e per la Chiesa in vista della salvezza come afferma anche il Concilio (cf. OT 2, 6, 12; PO 11; AG 23, 29 ).
La concezione bizantina del ministero sacerdotale nei suoi tre gradi superiori (episcopato, presbiterato e diaconato), s'inserisce nel contesto della riflessione patristica che ci ha offerto un'ampia e documentata letteratura.
Basti citare, tra i più significativi, il Sermo de sacerdotio di S. Efrem, l'Oratio secunda di S. Gregorio di Nazianzo, il De Sacerdotio di S. Giovanni Crisostomo.
Inoltre i testi delle preghiere esprimono tutta la realtà a cui l'essere umano è chiamato: la testimonianza che deve dare, la fatica che comporta una vocazione abbracciata con amore e portata a compimento con serietà, incarnata nella realtà del Cristo Offerente e Offerto, e soprattutto il premio riservato in cielo a coloro che hanno ben amministrato.
La definizione bizantina del "Sacerdote", così come si evince dai riti dell'ordinazione, attualissima nel richiamo alla Parola di Dio, teologicamente fondata e pastoralmente feconda, chiarifica la realtà e il ruolo specifico di chi è scelto e ordinato, incaricato e mandato (Eb 5,1).
L'uomo di Dio(1Tm 6,11) che coopera alla missione salvifica (1Cor 3,9), dispensando i divini misteri (1Cor 4,1) e annunciando la riconciliazione in Cristo di cui è ambasciatore (2 Cor 5,18-20) è stato conquistato da Cristo (Fil 3,12) e segregato per il Vangelo (Rm 1,1), in vista di un compito santo (At 13,2).
L'ordine sacro, infatti, più che un mezzo di santificazione personale, necessario alla salvezza, (come il santo battesimo che introduce alla nuova vita in Cristo), è una funzione a carattere sociale, a vantaggio degli altri.
Si tratta di un servizio (di una diaconia), prestato con umile fedeltà a Cristo e ai fratelli (Christus totus - Cristo totale), con i quali condivide la gioia cristiana dei redenti: scelto dal Signore e inviato dalla Chiesa, di cui è figlio insieme ai fratelli, è l'uomo per gli altri.
Sua missione fondamentale e specifica, al di là di ogni pur nobile impegno o di preoccupazioni giuridico-amministrative, è donare Dio agli uomini, mediante la parola annunciata e vissuta, e portare gli uomini a Dio, mediante i sacramenti, che concretizzano e rendono visibile, nella celebrazione e nei gesti, la Parola stessa di Dio; ed è Dio che opera sempre la salvezza a prescindere dalla santità o dalla cattiveria del ministro.
Le preghiere d'ordinazione non cessano di richiamare l’attenzione sull’adeguamento del ministro col proprio ministero, tuttavia se per nostra disgrazia questo non avviene, la divina grazia supplisce a tutte le nostre deficienze.
A proposito, S. Agostino afferma che: la vita nuova sgorga dalla fecondità della Verità e non dalla sterilità del ministro, e che nel ministro di Dio, non di se stesso o di qualche umana autorità, santo o peccatore, stimato o biasimato, accolto o respinto, non bisogna fermarsi o attaccarsi eccessivamente, nel bene o nel male, alla persona, ma si deve guardare piuttosto all'incarico ricoperto, alla funzione rappresentata, al servizio svolto a favore del popolo di Dio, in nome di Cristo, sotto il quale i molti pastori che si succedono nel tempo si riducono a uno solo, a Cristo unico pastore (53).
Il servizio della Parola, nella sua accezione più ampia, quale annuncio ed evangelizzazione per generare la fede (catechesi), l’istruzione e l’omelia liturgica (mistagogia) per consolidarla, la celebrazione dei Misteri, l’educazione alla preghiera, la formazione e la direzione spirituale, per intensificare la vita dei credenti, sono i primi e più importanti doveri pastorali.
Vedremo con quanta attenzione le preghiere di ordinazione si soffermino su questi delicatissimi obblighi. Ma il distintivo del servizio pastorale e la suprema norma di condotta dei ministri di Dio rimane la carità.
Tutti i doveri, per svariati che possano essere, si riducono all'amore: un amore senza limiti e senza risparmio, ricco di umana tenerezza e traboccante di gioia, aperto a tutti, attento ai vicini e premuroso verso i lontani, particolarmente delicato verso i più deboli: i piccoli e i semplici del Vangelo, gli erranti e i peccatori, cui rivela l’infinita misericordia di Dio con parole rassicuranti di speranza (cfr. la seconda preghiera d’ordinazione del Vescovo).
Secondo l'ammonizione di S. Paolo (Rm 13,8) è l’unico debito mai pienamente saldato: interpella continuamente e reclama sempre nuove ed esigenti risposte, ispirando tutti i gesti del ministro.
"Pietro, mi ami tu più di costoro?", "Si, o Signore, tu lo sai che ti amo!", "Pasci il mio gregge!" (cf. Gv 21, 15-17 ).
Quando il Risorto affida a Pietro il compito pesante di pascolare il suo gregge, vuole il suo amore perché lo sa che dove maggiore è l’amore, minore è la fatica (54).

ANALISI MISTAGOGICA DEI RITI D’ORDINAZIONE

Tre sono i gradi gerarchici del sacerdozio nel rito bizantino: l’Episcopato, il Presbiterato e il Diaconato.
Ma prima di entrare nella "gerarchia" bisogna ricevere due "ordini minori": il Lettorato e il Suddiaconato.
All’interno della gerarchia sacerdotale vi sono delle mansioni conferite sempre con l’imposizione delle mani.
Ciò può far pensare che si tratti di "ordinazioni". Non lo sono, sono solo delle benedizioni che si danno per svolgere una "missione" entro l’ambito sacerdotale (ad es. l’arcidiaconato, il protopresbiterato, l’archimandritato, ecc. ) .
In questo studio non tratteremo delle chirotesíe (ordini minori e mansioni) ma solo delle chirotoníe (55).
Le ordinazioni "maggiori" avvengono con una struttura che è uguale per tutt'e tre. Si tratta di una struttura semplice e logica.
Notiamo:
- la presentazione del candidato
- il triplice giro attorno all’altare
- l'inginocchiamento davanti all'altare
- l’imposizione della mano del vescovo sulla testa del candidato
- una preghiera anamnetico-epicletica, una supplica litanica e una preghiera di petizione e ringraziamento
- la presentazione al popolo con la relativa vestizione.

Questa struttura è sempre la stessa. Variano però i momenti di ordinazione: il vescovo prima delle letture, il presbitero prima dell’anafora, il diacono prima della comunione.
Varia il modo di stare in ginocchio: il vescovo con due ginocchia e coll’Evangelo sulle spalle, il presbitero con due ginocchia, mentre il diacono con un solo ginocchio destro.
E' prescritto che gli ordinandi tengano la fronte appoggiata sull'altare; è prescritto che il vescovo ordinante oltre alla mano, imponga anche la parte finale dell'omofórion.
Variano ancora, e necessariamente, le preghiere per il contenuto ma non per struttura.
Variano infine anche le vesti liturgiche, ma non il modo con cui vengono date.
Non varia il modo di presentazione se non perché l’ordinando se deve essere ordinato diacono viene presentato da due diaconi, se deve essere consacrato presbitero da due presbiteri, se vescovo da due vescovi.
Questi "padrini" accompagnano l’ordinando attorno all’altare e gli fanno baciare gli angoli mentre il coro canta i tropari che si cantano durante le nozze.
I riti d'ordinazione dunque avvengono così:
Giunto il tempo dell'ordinazione, il candidato viene presentato da due "padrini" i quali gli fanno fare tre metánie (grandi prostrazioni) per terra.
Ogni prostrazione è accompagnata da un verbo imperativo: "Kéleuson"! ossia: "Degnati o santo vescovo di accettare questo candidato per l’ordinazione"(56).
Dopo le tre prostrazioni il candidato con i "padrini" entra nel santuario e gira attorno all'altare baciandone, come abbiamo detto gli angoli. Il vescovo ordinante intanto si è seduto dinanzi all’altare.
Quando il candidato passa dinanzi a lui, gli bacia la mano destra e l’epigonátion.
Il significato del giro l’abbiamo spiegato come entrata nella dimensione eterna.
Tuttavia nel battesimo e nel matrimonio il giro si effettua dopo il conferimento del sacramento, qui invece prima della consacrazione dell’ordine. Perché?
Il motivo di questa "anticipazione" è forse questo: l’altare indica e simboleggia il Cristo.
Il battezzato gli gira attorno dopo che è rinato in Lui; gli sposi dopo che sono diventati una sola realtà in Lui; l’ordinando, invece, prima, per indicare che intende mettersi a servizio di Cristo e del suo altare. Questa intenzione è espressa dal bacio dell’altare stesso.
Egli baciando l’altare mette in evidenza due realtà: l’amore verso il Cristo che intende servire come ministro, e la dipendenza da Cristo stesso.
In linguaggio antropologico, questo rito è paragonato ai riti di corteggiamento: si gira attorno alla persona che si ama danzando, manifestandole così il proprio amore (57).
Anche i tropari si adattano a questa interpretazione: il primo invoca i martiri che hanno amato il Signore fino alla morte, il secondo invoca Cristo gloria degli Apostoli e vanto dei martiri, dunque anche dei suoi ministri, il terzo invoca il profeta Isaia affinché avvenga nell'ordinando quasi una nuova incarnazione del Verbo, così come il profeta la previde per la Santa Vergine.
Segue dunque l’ordinazione vera e propria. Il Vescovo traccia tre segni di croce sulla testa dell’ordinando, quindi lo inginocchia, gli pone l’omofórion e la mano sulla testa (se l'ordinando è per l’episcopato, anche l’Evangelo) e quindi a voce alta e chiara esprime la formula di elezione:
" La Divina Grazia, che guarisce ogni malattia e supplisce ogni mancanza (= limitatezza, deficienza, insufficienza umana), elegge ... (nome), reverendissimo (Suddiacono a Diacono; oppure Diacono a Presbitero, oppure Presbitero a Vescovo).
Preghiamo, dunque, per lui, affinché su di lui scenda la Grazia del Tuttosanto Spirito ".
A questa richiesta del Vescovo si risponde col solito: Kyrie eléison cantato tre volte dal clero e tre volte dal popolo.
Notiamo anche qui due elementi fondamentali per la concezione sacramentaria della Chiesa Bizantina:
- E’ la Divina Grazia che elegge e promuove.
- Lo Spirito Santo è dono della preghiera di tutta la Chiesa. Tutta la Chiesa, cioè, è coinvolta nella richiesta dello Spirito santificatore.
Segue la prima preghiera anamnetico-epicletica, quindi la litania di supplica e dopo la seconda preghiera di petizione e ringraziamento.
Quindi il Vescovo fa rialzare l'ordinato e presentandolo al popolo lo riveste degli abiti propri, dicendo per ogni indumento: Axios ossia: "E' degno!". Si risponde: "E' degno!".
Alcuni interpretano questa affermazione del vescovo come un interrogativo, quasi che il vescovo chiedesse l’approvazione del clero e del popolo: " E' degno – cioè - l’ordinato di essere rivestito di tale o tal altro indumento sacro e di esercitare il ministero? ".
A cui si potrebbe anche rispondere: " No, non è degno! ".
Questa è un’interpretazione assurda e irriverente!
Come si può pensare che un vescovo, una volta che ordina una persona e la consacra definitivamente, chieda poi l’approvazione del clero e del popolo? E' come se un battezzato, per rivestire l'abito bianco dovesse chiedere il consenso della comunità.
Come si può pensare che un vescovo ordini qualcuno senza conoscerlo? Non solo andrebbe contro il buon senso ma anche contro la legislazione della Chiesa!
Bisogna invece interpretare quell’affermazione come una affermazione e non come una domanda.
Il vescovo afferma una realtà avvenuta: la consacrazione di un individuo, e il clero e il popolo confermano la parola del vescovo, non l’affermano.
Il vescovo afferma e non domanda e il popolo conferma e non afferma!
Terminata la vestizione, il vescovo dà l’abbraccio di pace all'ordinato. Quindi se l’ordinato è diacono si scambia il bacio coi diaconi presenti, se presbitero coi presbiteri presenti, se vescovo coi vescovi presenti.
Poi prende il primo posto: fra i diaconi se diacono, fra i presbiteri se presbitero, fra i vescovi se vescovo.
Segue quindi la Divina Liturgia, da dove era stata interrotta.

ANALISI MISTAGOGICA DELLE PREGHIERE DI ORDINAZIONE

Ordinazione di un Diacono

Nella prima preghiera d’ordinazione di un diacono, si esprimono questi concetti:
- Si invoca il Signore Dio affinché mandi il suo Santo Spirito per il servizio dei Misteri .
- Si supplica perché il candidato abbia una fede forte e una coscienza pura nel servizio.
- Si fa l’epiclesi: "donagli la Grazia (lo Spirito Santo) che hai donato al diacono Stefano primo martire".
- Si prega ancora che il Signore renda degno il diacono di concludere l’opera iniziata, perché coloro che hanno ben servito si meritano una buona ricompensa.
Dopo la prima preghiera segue una litania di supplica, detta dall’arcidiacono, in cui si prega per il neo consacrato diacono, per la sua salvezza, perché svolga la sua diaconia nella purezza e in maniera irreprensibile.
Quindi il vescovo nuovamente prega per l’ordinato:
- Affinché si ricordi che nell’Evangelo c’è scritto che chi vuol essere il primo deve essere diacono (servo) di tutti.
- Affinché il Signore riempia di tutta la fede il neo diacono, di amore, di forza, di santificazione, per l’intervento dello Spirito Santo, grazie al quale si compie l’opera della salvezza.
- Affinché il Signore tenga l’ordinato lontano da ogni peccato, perché possa presentarsi irreprensibile davanti al tribunale nel giorno del giudizio.
La preghiera termina con una dossologia.
Segue la vestizione.
Gli impone l’orárion (la stola diaconale) sulla spalla sinistra dicendo ad alta voce e affermando: "’Axios!": "E' degno!".Quindi gli consegna il ripídion (flabello) affermando ancora: "E’ degno!" Lo bacia e lo pone al primo posto fra i diaconi.

Ordinazione di un Presbitero

Per ordinare un presbitero, la prima preghiera esprime questi concetti:
- Dopo la solita prefazio in cui si ricordano, in poche righe, i magnalia Dei e i suoi piani (lo stesso avviene nella prima preghiera del diacono e del vescovo), avviene l'epiclesi:
"Rendi degno il tuo servo della grande grazia del tuo Spirito, rendilo perfetto nell'opera del sacerdozio".
- Poi si prega il Signore che il candidato gli possa piacere in tutto il ministero presbiterale che Lui, il Signore, per mezzo dell'imposizione delle mani del vescovo, gli ha concesso.
Segue anche qui la litania, detta però dal protopresbitero.
Le intenzioni di preghiera sono: Per la salvezza e per un sacerdozio puro e irreprensibile dell’or ora consacrato presbitero. Quindi il vescovo conclude con la seconda preghiera e la dossologia.
I contenuti di questa seconda preghiera, che caratterizzano la consacrazione presbiterale, sono espressi nella domanda per la confermazione dell’elezione presbiterale con il conferimento totale (plêroma) del dono dello Spirito Santo affinché:
- sia degno di amministrare l’altare;
- sia degno di annunciare il Vangelo del Regno di Dio;
- sia degno di rivelare in maniera sacra la Parola divina di verità;
- sia degno di offrire a Dio doni e sacrifici spirituali;
- sia degno di rinnovare il popolo di Dio con il lavacro della rinascita,
- riceva la ricompensa nel giorno del giudizio.

Come si vede la preghiera contiene tutti gli elementi che caratterizzano la vita del presbitero.
Segue la vestizione. Il vescovo gli toglie l’orárion (stola diaconale) dalla spalla sinistra e gliela impone su ambedue le spalle dicendo: "’Axios!" : "E’ degno!".
Quindi lo cinge con la cintura e poi, dandogli il felónion (la casula) ancora afferma: " E’ degno! ". E tutti, clero e popolo rispondono e confermano: " E’ degno! ".
Il vescovo bacia il neo presbitero e lo pone alla sua destra, primo fra i presbiteri.
Non bisogna infine tralasciare un significativo e tremendo gesto compiuto dal vescovo verso il neo consacrato.
Dopo l’epiclesi della Liturgia, egli prende l’amnós (l’agnello, cioè l’ostia grande) e lo consegna al neo presbitero dicendogli:
"Ricevi questo deposito e custodiscilo fino alla parusia del Signore nostro Gesù Cristo, quando egli ti chiederà di renderne conto".
La consegna dell’Eucaristia nelle mani del neo presbitero è il segno più grande e terribile (phryktós, afferma S. Giovanni Crisostomo), come abbiamo già detto, perché esprime quello che il sacerdote è: depositario della grazia e suo amministratore, egli dovrà renderne conto.
La parola italiana deposito o pegno, non esprime il greco di parakatathêkês; così come l’imperativo "custodiscilo" non esprime il greco: phylaxon.
Il primo termine indica qualcosa di prezioso, di valore inestimabile che viene consegnato affinché fruttifichi. Di un deposito vivo, vivificante e fruttificante.
Il verbo, invece, indica "custodire gelosamente e con ogni cura, perché ciò che è stato affidato sia protetto e fatto fruttare pur conservandolo intatto".
Indica anche l’amore verso qualcosa che si affida e l’amore con il quale questo qualcosa viene custodito e salvaguardato.
Il sacerdote tiene nelle sue mani il Divino Agnello fino al momento dell'elevazione, pregando il Kyrie eleison e il Salmo 50.

Ordinazione di un Vescovo

Nell’ordinare un vescovo, i contenuti della prima preghiera sono questi:
- E’ Dio che pone nella Chiesa i gradi gerarchici, li pone per mezzo della rivelazione ( in questo caso viene nominato l’apostolo Paolo) per il servizio dei Divini Misteri.
- E’ Dio Padre, che il celebrante supplica affinché mandi lo Spirito Santo, per mezzo dell’imposizione delle mani sue e dei vescovi concelebranti, su colui che è stato giudicato degno di aver imposto sul suo collo il giogo evangelico.
- Lo Spirito Santo lo rafforzi per mezzo della sua discesa, della sua potenza e della sua grazia, come ha reso forti gli apostoli e i profeti.
- Possa, l’eletto, avere un episcopato irreprensibile, essere rivestito di ogni dignità, essere santo e degno di pregare per la salvezza del popolo, ed essere esaudito.
Segue la litania di supplica detta, questa volta dal più anziano dei vescovi consacranti.
Si prega sempre per la salvezza del neo vescovo e perché possa avere un episcopato puro e irreprensibile.
Quindi il primo vescovo consacrante conclude la litania con la seconda preghiera e la dossologia.
I concetti di questa seconda preghiera esprimono il programma del vescovo, sono quasi un piano di vita:
- Dio ha disposto che occupi il "trono" un uomo, con le nostre stesse debolezze e passioni, non un angelo.
- Il nuovo vescovo sia imitatore di Dio, Pastore buono.
- Guida dei ciechi.
- Luce per coloro che sono nelle tenebre.
- Precettore per gli ignoranti.
- Maestro per i piccoli.
- Fiaccola luminosa nel mondo.
- Capace di armonizzare e fondere nell'unità gli animi.
- Capace di soffrire per l’Evangelo.
- Degno della gloria futura.

Quindi lo rialza e lo presenta al popolo e lo riveste del Sákkos (Dalmatica episcopale) e dell’Omofórion (pallio) dicendo sempre l’affermazione: "’Axios! ", "E’ degno! ".
Segue l’abbraccio di pace e quindi la Divina Liturgia prosegue da dove si era interrotta e il nuovo vescovo, se non celebra il Patriarca, tiene il primo posto.
Questi, dunque, i riti e le preghiere delle ordinazioni. Riti e preghiere semplici ma profonde per il contenuto teologico e mistagogico.
Riti e preghiere che ci richiamano la fede vissuta e pregata, la fede che dà senso a tutto ciò che si fa, perché ogni celebrazione è la celebrazione del Signore morto e risorto per la remissione dei nostri peccati; la celebrazione della nostra speranza insieme a tutti i Santi.

CONCLUSIONE

Alla fine di questo breve trattato sulla mistagogia nella Chiesa Bizantina nella celebrazione dei suoi Misteri, abbiamo cercato di approfondire, nella prima parte, attraverso i tre approcci: semantico, storico e patristico, il significato dei nomi Catechesi e Mistagogia, la prassi dei riti dell’Iniziazione Cristiana nella Chiesa antica e quindi l’apporto catechetico e mistagogico dei Santi Padri.
Nella seconda parte invece, abbiamo esaminato dal punto di vista mistagogico il significato dei riti e delle azioni che caratterizzano i Misteri sacramentali e abbiamo desunto che Cristo istituendoli ha voluto santificare i suoi fratelli e questi, accettandoli e arricchendoli di significati simbolici, li hanno tradotti nel loro vissuto come l’eredità più grande e preziosa (insieme alla sua Parola), che potevano ricevere dal loro Signore, un’eredità conservata gelosamente, amata, rispettata e fatta fruttificare a favore di tutti e per sempre.
Ne è venuta fuori un’immagine, forse inconsueta, ma certamente interessante per i tanti aspetti evidenziati. I Sacramenti, come vita della Chiesa e del fedele, sono apparsi nella loro splendida cornice di fede e di tradizione di cui la nostra Piana va fiera, benché senta il problema del passaggio dalla teoria alla prassi, perché il segreto della santificazione non è tanto quello di sapere ma di attuare nella vita il Signore morto e risorto, celebrandolo dei suoi Misteri.
Abbiamo analizzato così l’Iniziazione cristiana (battesimo-cresima-eucaristia), considerandola come un unico sacramento che inserisce per sempre il fedele in Cristo e nella Chiesa, lo abilita alla testimonianza e lo dichiara idoneo alla recezione della santa Eucaristia che lo divinizza e lo rende concorporeo e consanguineo del Signore Gesù.
Poi abbiamo volto l’attenzione al Mistero della confessione o della conversione, grazie al quale i fedeli che macchiano o deturpano l’abito bello della grazia, ritornano a far splendere la loro veste luminosa attraverso la confessione della loro incoerenza e della grande misericordia di Dio.
Quindi abbiamo esaminato la cura amorevole della madre Chiesa verso i suoi figli malati. Essa non è lontana da coloro che soffrono, ma, quale buon samaritano, si fa prossima con la preghiera universale, simbolizzata dal numero settenario, e la cura con l’olio, simbolo non solo della misericordia di Dio ma anche del soccorso materiale, istituendo in ogni tempo, luoghi per il sollievo della sofferenza stessa.
Poi abbiamo contemplato come l’unione tra l’uomo e la donna, immagine di Dio creatore, diviene sacramento dell’unione tra Cristo e la Chiesa, grazie al Mistero della Coronazione, cioè del perfezionamento sacramentale dei sessi e delle persone. Infine abbiamo considerato come il Signore continua a prendersi cura dei suoi fratelli attraverso il mistero del Sacerdozio.
"Abbiamo scoperto – in questo modo - che alla radice - tutti i sacramenti - sono altrettanti aspetti d’un unico mistero, quello di Cristo, che è pure il mistero del suo Corpo risorto, il mistero della sua Chiesa, il mistero della presenza di Dio in mezzo all'Assemblea dei credenti e per essa nel mondo… manifestazioni della Pentecoste, opere dello Spirito Santo, che confermano la Parola di Cristo, "facendoci partecipi" delle ricchezze insondabili nascoste in Lui e unendoci misteriosamente al Corpo del Risorto per associarci all’opera che egli compie per il mondo" (58).
Vogliamo, in conclusione, poter dire con S. Paolo che non abbiamo inteso far da padroni sulla fede della nostra Chiesa, abbiamo bensì inteso essere amministratori della multiforme grazia di Dio, ponendo a servizio degli altri il dono ricevuto (cf. 1Pt 4,10) per collaborare alla gioia dei nostri fedeli (cf. 2 Cor 1, 24) consci che solo uno è il Legislatore e il Giudice (Gc 4,12): "Colui che in tutto ha il potere di fare molto più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che già opera in noi, a Lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le generazioni nei secoli dei secoli. Amìn" (Ef 3, 20-21).

G L O S S A R I O

NB: I termini greci contenuti nel presente lavoro sono stati traslitterati in due modi diversi, il primo: secondo la pronuncia "bizantina" o "greco-moderna" per i termini più usati nell’uso liturgico quotidiano; l’altro, per i termini meno usati, secondo la pronuncia cosiddetta "classica". Così, ad esempio, abbiamo scritto Amín e non Amen, Víma e non Béma.

Agiasmatárion: Libro liturgico contenente i riti e le preghiere per la celebrazione dei Sacramenti.

Akoluthía: Indica l’ordine da seguire per la celebrazione di una determinata ufficiatura, o la stessa ufficiatura. Es: "Akoluthia dell’Esperinos", cioè Ufficiatura del Vespro, o Modo di celebrare il vespro.

Amartía: E’ il termine che indica il peccato in sé, come dimenticanza, trasgressione e ribellione alla divina legge.

Amnós: Significa "Agnello" e indica il pane eucaristico di forma quadrata, corrispondente all’Ostia grande del rito romano.

Anámnêsis: E’ l’attualizzazione dell’azione salvifica del Signore, cioè della sua vita morte e risurrezione, ogni qualvolta se ne fa memoria, cioè si celebra la Divina Liturgia.

Apoftégma E’ il nome greco di un "detto" o un insegnamento di una persona autorevole per saggezza, ad esempio di un anziano dato ad un suo discepolo. Celebri sono gli apoftégmi o i detti dei Padri del deserto.

Ekfónisis: E’ la parte conclusiva di una preghiera che viene generalmente cantata a voce forte per distinguerla dalla parte recitata misticamente (non sottovoce, come purtroppo si è soliti fare).

Ekténia: E’ una serie di intercessioni o invocazioni per i vari bisogni dei fedeli, a cui si risponde col Kyrie eléison.

Epigonátion: E’ una parte delle vesti liturgiche del vescovo e di alcuni prelati a forma romboidale, su cui è dipinta una spada, portata all’altezza del ginocchio (da cui il nome: epí-sopra e gónaton-ginocchio. Anticamente conteneva i fogli dell’omelia.

Epíklêsis: E’ la preghiera rivolta al Padre, perché nel nome di Gesù invii la Spirito Santa per la consacrazione: dell’individuo, del pane e del vino, dell’acqua, dell’olio, ecc.

Epitrachílion: E’ il nome della "stola", cioè di quell’indumento liturgico composto da due bande di stoffa che scendono dalle spalle (da cui il nome: epí-sopra e tráchilos-collo). E’ l’insegna distintiva della dignità sacerdotale, comune ai presbiteri e ai vescovi.

Eukológion: E’ il libro che raccoglie tutte le preghiere e i riti per i sacramenti e sacramentali.

Felónion: E’ la veste liturgica indossata dai presbiteri e qualche volta anche dai vescovi, corrispondente alla casula del rito romano.

Kolimvíthra: Corrisponde alla vasca battesimale. Può essere fissa nel battistero o mobile, come nelle nostre chiesa.

Lex orandi – Lex credendi: La legge di colui che prega è la legge di colui che crede. Cioè un cristiano non può pregare diversamente da come crede. Il fedele comprende il mistero salvifico alla luce dello Spirito Santo nella Chiesa e di conseguenza, prega secondo la comprensione che ha del mistero stesso. In questo caso possiamo dire che la spiritualità è il dogma vissuto, mentre la celebrazione è il dogma manifestato.

Litania: Nel rito bizantino sono chiamate così le preghiere che caratterizzano abitualmente la serie di petizioni diaconali dette anche: synaptí, ektenía, étisis e iriniká. Anticamente venivano recitate durante le processioni, da cui il nome.

Magnália Dei: Sono le grandi opere che Dio ha compiuto e compie a favore del suo popolo: la creazione, la liberazione dalla schiavitù, l’Incarnazione del suo Figlio, la sua opera redentrice, i miracoli, ecc.

Megalinárion: Si tratta di ritornelli di tropári della nona ode del Mattutino, che si ripropongono nella liturgia eucaristia in onore della Madre di Dio, dopo la sua commemorazione o in onore dei santi celebrati prima dell’ekfónisis della prece eucaristica. Sono detti megalinárion/a perché iniziano con Megalíni : Magnifica il Signore, anima mia".

Metánoia: Con questo termine indichiamo il cambiamento di mentalità dal peccato alla grazia e l’inchino profondo o la prostrazione che si compie davanti all’altare o a un’icona, accompagnati dal segno della croce.

Myron: E’ l’unguento ricavato dall’olio e dalle essenze profumate che il vescovo consacra durante la divina liturgia del giovedì santo, detto anche Crisma. Con esso vengono unti i battezzati, l’altare, le chiese e le reliquie dei martiri.

Nartéce: E’ la parte che precede l’ingresso nella navata della chiesa. Era destinato ai catecumeni e ai penitenti. In alcune chiese è situato il fonte battesimale: la kolimvíthra. E’ detto anche prónao.

Omofórion: Paramento liturgico proprio del vescovo. E’ costituito da una lunga banda di stoffa, ornata di croci, che viene indossato sopra il sákkos e le cui estremità cadono una davanti al petto e l’altra dietro le spalle. Fuori dalla liturgia pontificale il vescovo usa un piccolo omofórion che, poggiato sulle spalle, scende sul davanti come una stola. Corrisponde al pallio dei metropoliti latini e raffigura la pecorella che il buon Pastore porta sulle spalle.

Orárion: Lunga e stretta banda di stoffa, indossata dal diacono sulla spalla sinistra. Corrisponde alla stola diaconale dei latini, benché questa molto più corta.

Prefazio: E’ la preghiera di introduzione della prece eucaristica, recitata dal celebrante prima del canto del "Santo, Santo, Santo…". Ma è anche la parte introduttoria delle preghiere delle nozze, della benedizione delle acque, ecc.

Ripídion: Significa ventaglio o flabello. E’ uno strumento liturgico, attualmente usato dal diacono dopo lo svelamento dei doni eucaristici. E’ di forma circolare e ha dipinto da entrambe le parti un serafino dalle sei ali, da cui il nome di exaptérigon. Anticamente serviva per scacciare le mosche dai santi doni.

Sákkos: Abito liturgico proprio del vescovo. Viene indossato al posto del felónion. Assomiglia alla tunicella dei latini.

Sêmeion: In questo lavoro è usato col valore di "significato".

Sinassi: Riunione comunitaria per una celebrazione (Divina Liturgia, Messa), o per un’ufficiatura (celebrazione del Mattutino o del Vespro).

Soléa: E’ un gradino a semicerchio che lega il santuario, o Vima, dove si trova l’altare, col presbiterio. Nel presente lavoro, come nel linguaggio liturgico corrente, indica tutta l’area del presbiterio.

Stichárion: E’ una lunga tunica di stoffa bianca o a colori, corrispondente al camice latino. Oggigiorno è di foggia uguale per i vescovi e i presbiteri, varia per i diaconi e gli altri membri del clero.

Théosis: Corrisponde alla parola italiana Divinizzazione, Diventare Dio, grazie all’opera redentrice del Signore Gesù, gratuitamente data nella Spirito Santo e liberamente accettata dall’uomo.

Theotokíon: Composizione poetica (tropárion, vedi sotto) dedicata alla Madre di Dio.

Theotókos: Letteralmente: Madre di Dio - Genitrice di Dio, ossia madre dell’umanità della Persona divina del Verbo incarnato e dunque veramente partorito da una donna. Il titolo, attribuito alla S. Vergine dal Concilio di Efeso (anno 431), è il più antico e venerando dei titoli della Santissima Vergine.

Trisájion: Si tratta dell’invocazione "Santo Dio, Santo forte, Santo immortale, abbi pietà di noi", che si richiama alla visione di Isaia (6,3), e che apre fuori dal tempo pasquale, salvo qualche eccezione, tutte le ufficiature della chiesa bizantina.

Tropárion: Breve composizione poetica della innodia liturgica, con precise leggi ritmiche e melodiche. Il suo nome deriva dal greco trópos, cioè prototipo, perché costituiva il modello per la composizione di altri inni della stesso metro. Nell’ufficiatura si aggiungono altri nomi per specificarne il compito: anastásimon cioè: tropário della risurrezione, apolytíkion cioè tropário di congedo, martitikón cioè tropário dei martiri, ecc.

Typikón: Libro liturgico contenente le regole secondo cui si svolgono le cerimonie religiose, fornendo e completando le indicazioni contenute nelle rubriche.

Vima: Luogo dove è posto l’altare, separato dal resto della chiesa dall’iconostasi, cioè da

quella parete in muratura o legno su cui sono poste le sante icone.

 

NOTE

  1. GREGORIO DI NAZIANZO, In lode di Basilio, 43-48, PG 36, 560 a – IDEM, Sulla Pasqua, 4-5, PG 35, 397 b - LEONE MAGNO, Omelia sul Natale del Signore, PL 54, 190-193.
  2. Cf. GIOVANNI CRISOSTOMO, Commento al Vangelo di Matteo, PG 5,1. In questo brano il santo dottore insegna che i fedeli dovevano meditare a casa il brano dell’Evangelo letto e meditato la domenica in chiesa, affinché la meditazione mistagogica li nutrisse per l’intera settimana, fino all’ascolto del brano della successiva domenica. Ciò conferma che la mistagogia era duplice:
  1. IDEM, Omelia sulla 1 Tm, PG 5,3.
  2. Per quel che riguarda la mistagogia delle feste dell'anno liturgico e delle altre realtà quali: la celebrazione della Divina Liturgia, il culto della Madre di Dio e dei Santi, la venerazione delle Icone, la preghiera liturgica delle Sante Ore e quella personale esicasta, ecc. esistono validi sussidi a cui ricorrere, tuttavia lasciamo aperto uno spiraglio di speranza per un nostro futuro lavoro.
  3. Eccetto qualche sporadico caso di adulto "extracomunitario" che viene al battesimo, non si può parlare di "Istituto del Catecumenato" nell’Eparchia di Piana degli Albanesi.
  1. Cf. DANIELOU J. – DU CHARLAT R. , La catechesi nei primi secoli, Torino 1969, pag. 43.
  2. PAOLO VI , Evangelii nuntiandi, 41: " L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri, o, se ascolta i maestri, lo fa perché sono testimoni".
  3. FEDERICI T. , La Mistagogia della Chiesa, in Mistagogia e Direzione Spirituale, Roma 1985, pag. 163.
  4. Ibidem.
  5. IPPOLITO: " Tra i Catecumeni vengono battezzati per prima i bambini, di cui prendono le veci, quando si deve rispondere, i genitori o un altro parente" (Ordinamento ecclesiastico, 40,42-46,8).
  6. AGOSTINO: " Il bambino è reso fedele non da un atto volontario della fede, simile a quello dei fedeli adulti, ma dal sacramento della stessa fede (cioè il Battesimo). Poiché, allo stesso modo che il padrino risponde che egli crede, così – il bambino – si chiama fedele per il fatto che riceve il battesimo" (Lettera I a Bonifacio, 98,7-10).

    PSEUDO - DIONIGI L’AREOPAGITA: " Al padrino, che garantisce di educare il fanciullo nella vita sacra, il vescovo impone di pronunciare le rinunce e le sacre professioni" (La gerarchia ecclesiastica, 7,11).

    Le citazioni sopra riportate sono state estratte dal IV volume de La Teologia dei Padri , Città Nuova, Roma 1975, pagg. 146, 152, 154.

  7. Cf. DANIELOU J. – DE CHARLAT R., o.c., pagg. 65-70.
  8. CIRILLO DI GERUSALEMME, Le Catechesi, Alba 1977, pag. 17. I brani citati sono stati estratti da questa edizione.
  9. Cf. PASQUATO O., Catechesi ecclesiologica nella cura pastorale di Giovanni Crisostomo in : Ecclesiologia e catechesi patristica, Roma 1982, pagg. 137- 172.
  10. Cf. GIOVANNI CRISOSTOMO, Le catechesi battesimali, Padova 1988. I brani citati sono stati estratti da questa edizione.
  11. Cf. PASQUATO O., o.c., pag. 166.
  12. Cf. GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi VII, 20 e Catechesi X, 21, pag. 18.
  13. Cf. IDEM, Catechesi X, 21, pag. 18.
  14. " Quando riceveste l’esorcismo battesimale, veniste come macinati", Discorso 272.
  15. Cf. GIOVANNI CRISOSTOMO, Catechesi, VII, 20, pag. 18.
  16. GOAR J., Euchologium sive Rituale Graecorum, Venetiis 1730, rist. Graz 1960, pag. 296
  17. CIRILLO DI GERUSALEMME, II Cat. Mist. , o.c..
  18. Ibidem.
  19. IDEM, III Cat. Mist., o.c.
  20. Il girare attorno indica la dimensione eterna di cui il cerchio è il simbolo. Cf. L’omelia di un antico autore sulla Pasqua (PG 59, 723-724): "L’anno poi è simbolo del mondo, perché è come il cerchio che nel suo girare, ritorna costantemente su se stesso senza trovare termine in nessun punto". E ancora la gioia: cf. il Salmo 25(26),6: "Lavo nell’innocenza le mie mani e giro attorno al tuo altare, Signore.
  21. IRENEO DI LIONE, Commento al Salmo 64, 14-15, CSEL 22,246.
  22. POEMEN, in: Vita e detti dei padri del deserto, Roma 1997, n° 43, pag. 383.
  23. TEONA, in: Idem, pag. 220.
  24. MORTARI L., nota 42 . pag. 383, in: Vita e detti, o.c.
  25. GELSI D., La riconciliazione, in Ephemerides Liturgicae, anno XCVII, 1983, pag. 339.
  26. NICODEMO L’AGHIORITA, Exomologhêtárion, Venezia 1868, pag. 58.
  27. FORTINO E., La penitenza nella chiesa bizantina, Roma 1987, pag.23
  28. NICODEMO, Ibidem, pag. 87.
  29. CATECHISMO CHIESA CATTOLICA, Città de Vaticano 1992, n° 1460, pag. 378.
  30. FORTINO, Ibidem, pag. 23.
  31. Le idee sul peccato visto come alienazione si ritrovano, con qualche differenza, in: FANULI A., Il Cristo che mi piace, Torino 1972, pagg. 9-19, e FORTINO E., La penitenza, o.c. pagg. 7-11.
  32. GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelia III sulla penitenza, in: La vera conversione, Roma 1980, pag. 122.
  33. CIRILLO DI ALESSANDRIA, Commento al Vangelo di Marco 6,13, in Enchiridion patristicum a cura di M.J. Rouët de Journel, n°2102, Roma 1965.
  34. Cf. AA.VV., Dio è vivo, o.c., pag. 305.
  35. Succede oggigiorno per l’unzione dei malati, ciò che accadeva ai tempi del Crisostomo per l’iniziazione sul letto di morte. Ecco come il santo vescovo descrive la scena: "…il grande lamento e il gemito di chi viene iniziato; i bambini che lo circondano piangendo, la moglie che si graffia le guance, gli amici addolorati, i servi in lacrime; tutta la casa ha l’aspetto di un giorno invernale e cupo… In mezzo a tale sgomento e scompiglio entra il sacerdote, più terrificante della stessa febbre e per i parenti dell’infermo più inesorabile della morte. Si pensa infatti che la venuta del sacerdote provochi maggior disperazione che non la voce del medico, il quale dichiara la fine del malato, e ciò che è argomento di vita eterna sembra diventare simbolo di morte". (Catechesi 2, 1), cit. pag. 19-20, cfr. nota 15.
  36. RAVASI G., Secondo le Scritture, anno B, Asti 1995, pag. 231.
  37. Cf. AA.VV., Dio è vivo, o.c., pag. 305.
  38. Cf. Ibidem.
  39. Idem, pag. 306.
  40. Cf. SIMEONE DI TESSALONICA, De sacro ritu sancti olii, PG 155, 515-536.
  41. Lo stesso avviene quando in Chiesa si presenta qualche fedele per chiedere una particolare benedizione per qualche necessità. Il Sacerdote impone la stola e l’Evangelo sul capo del fedele, leggendo una pericope che riguarda il potere dei discepoli sulle malattie e sui demoni.
  42. Anticamente e presso alcuni popoli orientali, l’anello si porta alla destra.
  43. Alludendo all’azione divina dello Spirito Santo, simbolizzata dal velo, in un manoscritto della biblioteca del Seminario di Piana degli Albanesi, abbiamo trovato che questo doveva essere di colore purpureo.
  44. FORTINO E., Il matrimonio nella chiesa bizantina, Roma 1986, pag. 24.
  45. Alcuni hanno l'abitudine di incorniciare queste corone, ponendo al centro di esse due icone: in quella dell'uomo l'icona del Cristo, e in quella della donna l'icona della Madre di Dio Nelle Chiese Ortodosse e in qualche chiesa Cattolico-Bizantina le corone non le portano gli sposi, ma sono della chiesa dove si celebra il rito. Presso gli Italo-albanesi invece le corone sono di proprietà degli sposi. Non valgono niente, pecuniariamente parlando, perché sono fatte di foglie di alloro e fiori finti, ma per gli sposi valgono tantissimo perché sono cariche di simbolismo e segno della benevolenza del Signore che le ha posto sul loro capo.
  46. FORTINO E.,Idem, pag. 27.
  47. GREGORIO MAGNO, Regola Pastorale 3,27. Riportato in La Teologia dei Padri, Roma 1975, pag.345.
  48. Rimettere i peccati non significa confessare bensì, nella concezione bizantina, remissione dei peccati coincide con la concezione la salvezza globale dell’uomo.
  49. Cf. AGOSTINO, Discorso 46, 29; NBA 29, 772.
  50. IDEM, Discorso 340,1, PL 38, 1483-1484. Cfr. la nota 51.
  51. Dicesi chirotesía una benedizione data con la mano stesa sul capo per conferire una mansione; mentre si definisce chirotonía l’imposizione della mano per conferire il sacramento dell’Ordine Sacro nei suoi tre gradi: diaconato, presbiterato ed episcopato.
  52. Il verbo kélevson, nel greco liturgico, non significa "comanda", bensì "degnati" o "permetti". Corrisponde al latino ecclesiastico: "Iube, Domne, benedicere", cioè: "Degnati, Signore, di benedire", oppure: "Dà il permesso per la benedizione". Il verbo, con questo significato, è riportato in un Apoftegma del padre Teodoro di Ferme: "Il padre Teodoro si trovò un giorno con dei fratelli a Scete. Mangiando, essi prendevano educatamente i bicchieri in silenzio senza dire: ‘’Permetti’’ (Kélevson). E il padre Teodoro disse: ‘’I monaci hanno perso le loro buone maniere, non dicono più: -Permetti-’’". Vita e detti, o.c., pag. 210.
  53. Cf. AGOSTINO, Discorso 340, 1, PL 38, 1483-1484: "Prima veniva richiesto l’amore e poi imposto l’onere, perché dove maggiore è l’amore, minore è il peso della fatica".
  54. AA.VV., Dio è vivo, o.c., pagg. 308-309.

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