VIII. Maria nel Dialogo ecumenico
CAPITOLO X
MARIA NELLE CHIESE DELLA RIFORMA
E NEL DIALOGO ECUMENICO CON LA CHIESA CATTOLICA
1. Maria nel pensiero di Lutero
2. Maria nelle chiese della riforma
3. Il vero ecumenismo e Maria
4. La mariologia e le istanze ecumeniche
5. Maria nel dialogo ecumencio: il documento di Dombes
1. Maria nel pensiero di Lutero
1.1. Sfondo storico del pensiero su Maria
Lutero ha consegnato il suo pensiero su Maria ad una serie di scritti tra cui emergono il Commento al Magnificat (1520-1521), la spiegazione dell’Ave Maria (1522), circa ottanta prediche, alcune lettere, discorsi conviviali e passaggi occasionali. Tutto questo materiale per essere ben compreso deve essere focalizzato nel preciso sfondo storico che lo ha originato ed essere letto alla luce dell’orizzonte teologico di Lutero.
Lo sfondo storico, la ragione estrinseca della sua protesta, è l’abuso della venerazione di Maria: rosari, pellegrinaggi, consacrazione e invocazioni vengono valutati come un atteggiamento sviato mentre quasi eretica risuona per Lutero la convinzione molto diffusa nel tardo medioevo che Maria avesse nel giudizio finale una funzione di mediatrice in favore dei poveri peccatori anche nei confronti di suo Figlio: Cristo veniva considerato solo come un giudice adirato mentre Maria la propiziatrice delle anime, il loro conforto e il loro rifugio. Riproponendo Cristo come il fratello misericordioso che ci è stato donato dal Padre, viene a cadere il significato di Maria come più importante soccorritrice, cioè la Vergine perde la sua funzione soteriologica anche se rimane un’importante figura nella storia della salvezza. Questo spiega l’interesse teologico ma anche polemico e riformatorio di Lutero per il tema mariano.
1.2. Centralità della theologia crucis
La paura del giudizio e di Cristo stesso che reclamava il ricorso a Maria come conforto e rifugio, risultava qualcosa di inquietante e pericoloso perché metteva in gioco il volto di Dio e il ruolo salvifico di Cristo. Era necessaria una rettifica della devozione mariana in termini teocentrici e cristocentrici e Lutero vi pose mano, guidato dalla una profonda esperienza di fede che si trasforma nella sua teologia: la theologia crucis. Essa è in Lutero e nel luteranesimo non una delle possibili vie da percorrere, ma il cuore stesso di tutto il messaggio cristiano, l’evangelo di Dio ad ogni creatura di ogni luogo e di ogni tempo. Dio non è un oggetto che si riconosce attraverso logici procedimenti razionali, ma un soggetto irraggiungibile che quando decide di rivelarsi lo fa in maniera sorprendente, oltre ogni aspettativa della mente umana. La croce è il luogo di questo folle rivelarsi di Dio, la via ambigua e sovversiva per andare a Dio data da Dio stesso, via imbarazzante e certamente non euforica. Per Lutero è chiaro: non la ragione, ma la croce è la via data all’uomo per un incontro con Dio secondo il metodo di Dio. La croce è il segno visibile, la nuda res da comprendere e da cui prendere il via per una reale e autentica conoscenza di Dio.
Le conseguenze di questo modo di porsi dinanzi al problema dell’itinerarium in Deum, sono di tre tipi:
1. La teologia o è theologia crucis o non è teologia: viene quindi azzerata la teologia naturale ereditata dal medioevo perché vera teologia può essere solo quella che parte da Dio stesso. Dio è l’inconoscibile, l’invisibile, l’indicibile, l’ineffabile oltre ogni possibile discorso e rappresentazione umana. E’ lui stesso che decide di farsi vicino all’uomo, di rispondere al suo desiderio di conoscerlo, al suo bisogno, alla sua domanda e lo fa facendosi simile a lui, homo cum homine, Deus in forma servi in Gesù Cristo, tramite la croce. Dio dunque manifesta la sua maestà e la sua forza in tutto ciò che è umanità, debolezza, stoltezza, sofferenza, persecuzione, infermità; la sua forza e la sua sapienza si manifestano in quel flagellato e sottoposto alla morte, all’ira divina, al peccato. Questo modo di manifestarsi di Dio è chiamato da Lutero "felix et iucundus lusus Dei", un felice e giocondo gioco di Dio, uno scherzo salutare però perché solo questa conoscenza di Dio porta salvezza;
2. Dalla theologia crucis nasce l’homo theologicus opposto all’uomo naturale che ha la presunzione di pervenire con la luce della ragione al Dio che salva, che pensa di autoriscattarsi, di autoredimersi, di autosalvarsi in ragione della sua decisione etica e del suo retto operare. L’homo theologicus accoglie la giustificazione che gli viene dall’esterno come grazia purissima; si ritiene un peccatore ripudiato e meritevole d’ira da parte di Dio eppure dal medesimo Dio guardato con occhi di misericordia in Gesù Cristo e come tale reso giusto e salvato; si converte definitivamente aderendo con piena fede a Cristo in cui assume la sua vera forma sorretto e guidato dalla sua Parola e dallo Spirito Santo; diviene sempre più conforme a Cristo, un Cristo in lui, da lui stesso modellato sul servo umiliato da Dio, sul Redentore beffeggiato, deriso, ferito e crocifisso, un Cristo che lo invia nella quotidianità della vita priva di privilegio, al servizio di Dio e del prossimo. L’homo theologicus è dunque un uomo cristico, chiamato in quel luogo e in quel tempo ad un esserci in sintonia con la spoglia parola evangelica resa viva dallo Spirito Santo, l’esegeta interiore del Verbo. Il discorso vale negli stessi termini per la Chiesa che viene da Lutero inchiodata sulla croce, per farne una realtà dimessa, umiliata, esposta al soffio dell’insicurezza, della povertà, dell’errore e perfino del peccato, una ecclesia crucis contrapposta all’imperante ecclesia gloriae;
3. Corollario scontato della theologia crucis è il Solus. Solo Dio prende l’iniziativa, a lui solo è dovuta la gloria, solo Cristo è l’unico mediatore e non esistono altre mediazioni sopra o accanto a lui. Questo manifestarsi di Dio nel Figlio mediatore è assolutamente gratuito e libero, è sola grazia a cui si accede con la fede soltanto, grazia che non presuppone merito, fede che non genera pretesa di meriti, né idee di cooperazione alla salvezza. L’homo theologicus è il luogo povero attraverso cui Dio solo opera la sua sola salvezza non contristata dal consenso del credente.
1.3. Maria microcosmo della theologia crucis e modello del credente
E’ dunque considerandolo dentro lo sfondo storico che lo ha originato, partendo dalla theologia crucis e alla luce del Solus, che va inquadrato e compreso il pensiero di Lutero su Maria. Una lettura attenta del Commento al Magnificat ci pone, infatti, immediatamente e inesorabilmente di fronte a un approccio a Maria che traduce ed esemplifica fedelmente la theologia crucis, chiave ermeneutica di tutto il pensiero di Lutero. Ecco alcuni punti di comprensione:
- Dio non si manifesta nella gloria, ma nella croce; Dio polo positivo incontra il suo polo negativo che è l’uomo e lo riscatta. E’ proprio nella nullità, piccolezza e indegnità di Maria che Dio esprime la sua gloria, la sua ricchezza, la sua bontà e la sua grazia. Ricca della grazia, Maria si rivolge a Dio nella fede e lo riconosce suo unico salvatore e signore, origine di ogni dono e benevolenza. Maria è una semplificazione cosciente di questo dirsi di Dio all’uomo e di questo dirsi dell’uomo a Dio. Il Magnificat è l’indice cantato e consapevole del corretto stare di Dio al cospetto di Maria e in lei in ogni creatura, ed esplicitazione gioiosa del corretto stare di Maria e in lei di ogni creatura, al cospetto di Dio.
- Maria è la chiave di lettura di una relazione che sorge quando la creatura: si riconosce in tutta umiltà davanti a Dio e riconosce allo stesso tempo che tutto è grazia; comprende che Dio si rivela agli ultimi e ai "poveri"; sa che nessun vanto esiste da parte dell’uomo e nessuna pretesa di collaborazione può essere da lui avanzata; vede che non si è nati dal sé, ma dall’evento dell’auto-manifestarsi di Dio il cui sguardo, mentre apre alla sua stupita e dossologica conoscenza di misericordia che fa grazia, dischiude contemporaneamente alla lettura umile di se stessi.
- Alla luce, dunque della theologia crucis e del Solus, Maria diventa exemplar e typus di un rapporto con Dio sottratto ad ogni possibile concorrenza o dualismo antagonistico: da un lato sta Dio, il tutto, dall’altro sta Maria, il nulla a cui viene semplicemente chiesto di lasciare a Dio lo spazio di operare. La risposta di Maria (e di ogni uomo di fede) sta soltanto e tutta nell’obbedienza che si arrende alla volontà di un Dio amato incondizionatamente, radicalmente libera di ogni logica di merito, solo gloriosa di essere povera al suo servizio, solo gioiosa di essere il luogo umile e dimesso del quale Dio ha bisogno per poter esercitare la sua attività creatrice.
1.4. Culto, invocazione e imitazione di Maria alla luce del Solus
In Maria coincidono dunque perfettamente gli opposti della theologia crucis e del Solus: è nullità, costituita grandezza dal potente e misericordioso sguardo di Dio, esemplare perfetto dell’opera gratuita di Dio nell’uomo e della totale rispondenza dell’uomo a Dio. L’essere exemplar e typus, comporta una qualche venerazione o devozione nei suoi riguardi? In Lutero si può riscontrare l’intenzionalità della venerazione – devozione nei confronti dell’umile Madre di Dio, accompagnata però sempre da un costante discernimento critico del riformatore, là ove essa sembri violare il Solus.
1.4.1. Venerazione personale e culto liturgico
L’ambito dell’onore, della lode, della esaltazione di Maria a motivo della sua grandezza di sempre vergine Madre di Dio non è sottaciuto da Lutero ma anzi garantito e coltivato. Si onora Maria per le opere di Dio in lei, si loda in Maria la grazia di Dio. Maria perciò non può essere oggetto di un culto autonomo che distoglierebbe lo sguardo da Dio. Lutero tollera le feste della Purificazione e dell’Anunciazione e, per non turbare il popolo, quelle della Natività di Maria e dell’Assunzione, mentre non menziona e di fatto abolisce quella dell’Immacolata Concezione per ragioni bibliche (la Scrittura non ne parla); per ragioni cristologiche (sposta l’interesse dal Cristo su Maria) e per ragioni liturgico – pastorali (non bisogna celebrare il mistero di Maria ma con Maria).
1.4.2. Invocazione
L’onorata, la non-eclissata dal quadro liturgico, la ri-dimensionata, può essere anche invocata? A proposito di questo, alcuni autori distinguono due periodo nella vita di Lutero: Lutero pre-riformatore(1516 – 1522) e Lutero riformatore (1523-1546) in cui delineano il passaggio da un’ammissione di una qualche invocazione a Maria al suo totale rifiuto. Per Lutero comunque, i santi e Maria, in sostanza pregano per noi e possiamo chiedere loro che lo facciano, ma da Maria e dai santi nulla di più è lecito attendersi che l’intervento della loro preghiera. E’ quindi per Lutero una deformazione e un abuso, una falsa attribuzione di potere e di forza, ogni invocazione che pretende e s’attende da Maria e dai santi quello che solo Dio può elargire e solo Cristo avvocato unico può mediare. La "mediazione" di Maria è una semplice intercessione perché solo a Dio sale ogni preghiera e solo da Dio, per mezzo del nostro unico mediatore di salvezza, scende a noi ogni grazia. Lutero, senza ombra di dubbio, abolisce il termine "mediatrice" in obbedienza all’unico mediatore Gesù Cristo e quello di "avvocata" che potrebbe far pensare che Maria possa ottenerci qualcosa con la sua azione. Da questo, segue come logica conseguenza, anche il rifiuto del rosario, della salve regina, dei pellegrinaggi ai santuari mariani, perché essi denotano una fiducia decentrata, oltre alla presunzione di acquistare meriti e indulgenze.
1.4.3. Imitazione
L’onorata che prega per noi, la non – lodata in sé e la non – invocata come avvocata, è però un modello da imitare. Maria è, infatti l’immagine consolante della grazia del farsi vicino di Dio con uno sguardo colmo di benevolenza smisurata; è l’immagine della verità della creatura come humilitas, perché nella sua nullità riconosciuta e detta, l’uomo riconosce e dice la propria; l’immagine della nullità credente che visitata dalla grazia e resa consapevole della sua humilitas, risponde alla visita con totale disponibilità nel rendimento di grazie, nella lode, nella avvertita consapevolezza del non merito, nella più assoluta e incondizionata fiducia in Dio.
1.5. Conclusioni
- Lutero non vuole eliminare Maria dall’orizzonte ecclesiale, quanto piuttosto rivisitare e riformare un discorso globale su di lei e lo compie con una decisa virata in senso teologico: collocare al centro dell’esperienza cristiana l’evangelo del Padre, per il Figlio, nello Spirito Santo;
- Questo comporta per lui l’impossibilità di un discorso autonomo su Maria e la riscoperta della sua relazione creaturale ed ecclesiale con noi;
- L’onore che le viene reso è dovuto non a sue specifiche qualità di potere ma solo a Dio che l’ha ricolmata di grazia;
- Si può pregare Maria ma solo come un intervento di intercessione, cioè lei non media alcuna salvezza presso Dio per noi, perché l’unico salvatore e mediatore degli uomini e Cristo Gesù.
La radicale riforma "mariana" di Lutero è tesa a salvaguardare il primato e l’unicità di Dio e di Cristo in rapporto alla dossologia e alla salvezza. In definitiva, anche nei riguardi di Maria, Lutero ha lottato contro lo spostamento, imperante al suo tempo, della theologia crucis all’antropologia gloriae.
2. Maria nelle Chiese della Riforma
2.1. Le Chiese riformate di fronte a Maria
Il riferimento a Maria di queste Chiese è problematico, articolato e conosce alterne vicende che vanno dalla posizione sostanzialmente positiva, come abbiamo appena visto, di Lutero e di altri padri della Riforma come Zwingli e Calvino, alla fase polemica antimariana durata fino al Vaticano II, ad un atteggiamento chiaramente più positivo e costruttivo dei nostri giorni. Il momento attuale sembra essere caratterizzato da questi dati evidenti:
- Si è affermato che il Consiglio Ecumenico delle Chiese, ha volutamente ignorato il dibattito sulla Madre del Signore. In realtà, già nel 1937, dietro insistenza del teologo ortodosso Bulgakov, la Conferenza di Edimburgo elaborò un testo positivo a suo riguardo. L’argomento venne poi approfondito da una commissione mista di teologi delle quattro Chiese (ortodossa – riformata – anglicana e cattolica) e i contributi furono pubblicati nel 1951 nel capitolo "Mariology" della rivista "Faith and Order". L’anno dopo, nel 1952, Max Thurian presentò una relazione alla Conferenza di Lund che però non pervenne ad un testo ufficiale. Nel 1975 la Conferenza di Nairobi trattò il "Significato della Vergine Maria nella Chiesa";
- Nel 1982 le Chiese luterane tedesche pubblicarono un documento su Maria e le dichiarazioni ecumeniche circa la venerazione della Vergine, espresse dai gruppi misti di teologi partecipanti ai Congressi mariologici – mariani internazionali;
- Mentre il Concilio Vaticano II stabiliva un correttivo del modo di fare mariologia, richiamata efficacemente alle fonti bibliche e al quadro storico - salvifico, i teologi protestanti si cominciavano ad interrogare sulle ragioni dell’occultazione del tema mariano nella teologia protestante indicandole. Come vedremo dopo, nel momento storico – critico che liquida la concezione verginale di Cristo e nel puritanesimo che elimina il discorso femminile in mariologia;
- Il teologo W. Borowsky elabora un metodo ecumenico, secondo lui valido per cominciare a dialogare su Maria, distinto in tre aree: area comune costituita dalla Maria biblica; area del pluralismo in cui vengono collocati i due più recenti dogmi mariani; area del dissenso che riguarda i titoli e il culto di Maria. Secondo Borowsky, partendo dalla terza area, si dovrebbe via via giungere alla prima.
I contenuti mariologici, dunque, subiscono un positivo sviluppo: dal rifiuto della cooperazione di Maria alla salvezza in K. Barth e W. Wilchens, si comincia a ritiene oggi possibile una positiva presenza di lei nell’efficace unità e solidarietà salvifica che lega la Chiesa ormai perfetta in cielo e la Chiesa pellegrinante sulla terra, come vedremo esaminando l’importante documento mariologico del gruppo ecumenico di Dombes.
2.2. Punti dottrinali di convergenza e di divergenza con la Chiesa cattolica
2.2.1.Punti di convergenza
I punti di convergenza, con molte sfumature, si possono così riassumere:
a) Maria è pura e semplice creatura. Anche per il Cattolicesimo Maria rimane, nonostante i "privilegi" che le vengono riconosciuti, "una di noi", una "nostra sorella", sebbene sia la creatura eccelsa, nella quale Dio ha fatto grandiose e autentiche meraviglie (Cf Lc 1,48-49);
b) Maria è una donna credente perché, nonostante la vicinanza fisica con Gesù, fu nella sua vita una "pellegrina di fede". Ella compì nella fede, il passaggio dalla "maternità biologica" al discepolato di Gesù, giungendo ad essere membro della comunità escatologica fondata da suo Figlio: l’aver creduto è per Lei il primo e fondamentale titolo di gloria.
c) Maria è la madre verginale di Cristo, perché lo ha concepito verginalmente. Per K. Barth la verginità di Maria è l’espressione esterna e personale della "sola gratia", dell’esclusione dell’uomo peccatore nell’origine di Gesù. Maria però fu, secondo i Protestanti, solo uno strumento meramente passivo nelle mani di Dio, perché il concepimento verginale avvenne in Lei ad esclusiva opera di Dio, il Solus che opera.
d) Maria è modello e tipo del vero cristiano, proprio partendo dal suo essere la prima credente e la prima discepola di Gesù. Naturalmente tra Maria e Gesù esiste una infinita differenza perché nessuno può essere paragonabile al Verbo Incarnato, modello supremo alla cui sequela tutti i cristiani sono chiamati.
e) Maria è figura e personificazione della Chiesa, anch’essa chiamata all’obbedienza della fede.
2.2.2. Punti di divergenza
Essi vertono sia sul piano dottrinale che su quello cultuale e devozionale:
a) Per il principio del Solus, unico autore della salvezza dell’uomo, le Chiese della Riforma ritengono le creature e quindi anche Maria, strutturalmente incapaci di cooperare in qualche modo all’opera di Dio, impastati come sono soltanto di peccato;
b) Per il principio di sola Scriptura nessun teologo protestante applica in senso letterale alla Madre del Signore i testi biblici perché "non bisogna comprendere la Bibbia in modo diverso da come suona". A conferma di questo molti di loro sottolineano con vigore il senso "antimariano" dei testi di Mt 12,46-49; Mc 3,31-35; Lc 2,50; 11,25-28; Gv 2,4;
c) Rifiuto totale e incondizionato dei dogmi mariani proclamati dalla Chiesa negli ultimi due secoli;
d) Impossibilità di una qualsiasi forma di cooperazione attiva di Maria alla salvezza e quindi rigetto della sua intercessione e mediazione;
e) Rifiuto delle forme devozionali e cultuali anche liturgiche mariane, strettamente collegato con la negazione di un possibile ruolo attivo della Vergine.
2.3. Maria nella liturgia cattolica e riformata
2.3.1. Maria nella liturgia cattolica
Il luogo naturale e il più idoneo per venerare la Madre del Signore è, per la Chiesa cattolica, la liturgia e le varie celebrazioni sono esse stesse, molte volte e sotto diversi aspetti, memoria cultuale di Maria. Nella liturgia, infatti:
- la venerazione di Maria confluisce e quasi si annulla nel culto che rendiamo alla SS. Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, dove alle nostre deboli voci si associa quella pura e limpida di lei, per glorificare Dio con noi;
- la pietà mariana si immerge nella celebrazione del mistero pasquale e si pone in attesa del dono dello Spirito poiché ogni genuina celebrazione liturgica è attuazione della Pasqua del Signore ed effusione di grazia dello Spirito;
- la memoria di Santa Maria trova la sua più felice inquadratura perché nella celebrazione annuale dei misteri di Cristo e della salvezza, dall’Avvento alla Pasqua, essa ritorna ora come annuncio profetico in parole, figure e fatti nell’Antico Testamento; ora come presenza attiva della madre accanto al Figlio in avvenimenti di immensa portata salvifica (Incarnazione - Natale – Epifania – Pasqua – Pentecoste); ora come proiezione dinamica verso le realtà ultime che in lei si sono già compiute;
- la pietà mariana incontra la divina Parola e quindi è proprio la liturgia lo spazio prolungato per la proclamazione e l’interpretazione dei testi biblici riguardanti Maria di Nazaret;
- Maria non è celebrata isolatamente ma in comunione con tutti i santi nella quale ella appare in collegamento vitale con i progenitori, i martiri, le vergini e gli innumerevoli discepoli che lungo i secoli hanno reso testimonianza a Cristo. In questo ambito la Vergine si mostra via via figlia di Adamo, sorella nostra, madre dei discepoli così che la sua figura acquista le giuste proporzioni, la sua immagine risulta sottolineata in ciò che ha di unico ed esclusivo e il suo rapporto con la Chiesa viene evidenziato con varietà di aspetti;
- la pietà mariana acquista anch’essa una dimensione escatologica. La liturgia è infatti proiezione verso le realtà ultime, è attesa del Signore che è venuto viene e verrà e la Vergine appare in essa come la Santa Maria di questo triplice avvento: attese infatti la venuta del Messia; attese la venuta dello Spirito; attese la venuta gloriosa del Signore che per lei si attuò nell'assunzione in anima e corpo al cielo.
Vista la straordinaria capacità della liturgia di collocare in un quadro efficace e significativo le espressioni di venerazione a Santa Maria, si comprende l’esortazione conciliare, approfondita poi da Paolo VI, a promuovere il culto specialmente liturgico verso la Beata Vergine e non si può comprendere invece la disattenzione verso la liturgia di molti operatori pastorali che pure intendono favorire la pietà mariana.
2.3.2. Maria nella liturgia riformata
I Protestanti dicono che nella liturgia, Maria ha il posto che le attribuisce l’evangelo, quello di essere cioè in mezzo alla comunità dei credenti. Maria appare come la testimone dell’eccelsa grazia di Dio verso ogni creatura: testimone, esempio di fede, colei che indica la via del discepolato, che sta dalla parte della Chiesa riunita per l’adorazione dell’unico Dio. Maria dunque credente come noi, una di noi, con noi nella comunione dei santi. Non una Maria che riceve la nostra preghiera, che intercede per noi, in quanto lei stessa si trova nella nostra posizione di creatura, bisognosa di quella salvezza che, anche per lei, Madre del Salvatore, è unicamente nel Figlio. Dunque anche nella liturgia riformata c’è posto per Maria, riconosciuta con il Concilio di Efeso Theotokos, titolo che non ha fatto mai problema alla teologia protestante perché situato nel suo giusto contesto che è quello cristologico. La motivazione, infatti, che ha portato alla definizione di questo titolo concerneva la definizione della natura di Cristo e non di Maria; l’intento non era quello di glorificare la Vergine, ma di esprimere con un termine chiaro la realtà divina e umana di Cristo. Per le Chiese riformate parlare di Maria nella liturgia, significa sostanzialmente evocarne la figura di testimone e sorella nella fede, al seguito delle scarne testimonianze bibliche: Maria madre di Gesù, testimone fra gli altri testimoni, con le peculiarità che gli evangeli le attribuiscono. Le scelte di fondo della liturgia riformata si fondano, quindi, essenzialmente e unicamente sul dato biblico: solo la S. Scrittura è il metro non solo per la dottrina ma anche per la liturgia. La preminenza del dato cristologico nella liturgia riformata, specificum della confessione luterana, porta a parlare anche di Maria ma in termini propriamente confessionali, al cui fondo sta il chiaro rifiuto della sua stilizzazione quale "mediatrice" nella storia della salvezza. Il luogo liturgico centrale di Maria nella liturgia riformata è soprattutto il Natale. Maria è presente anche nella musica sacra luterana, nei corali tradizionali, nei canti del Magnificat di Lutero e in alcune composizioni di autori contemporanei.
2.3.3. Linee teologico – liturgiche per il dialogo ecumenico
Le primitive formulazioni delle professiones fidei nate in ambito liturgico – battesimale e riconosciute da tutte le Chiese, annoverano Maria Vergine Madre. La liturgia può, dunque, essere un locus fecondo per un proficuo dialogo ecumenico su Maria. Ella non può essere isolata dal Figlio Salvatore e di conseguenza nemmeno dai dati storico – salvifici e dal memoriale celebrativo. Questo comporta un sereno accostarsi alla pietas mariana. Lo scambio, infatti, tra il sensus fidelium, il sensu fidei e il consensus ecclesiae corre parallelo all’interscambio tra le tre leges: credendi, orandi, vivendi. Maria, associata per volere della SS. Trinità alla storia della salvezza e indicata da Gesù quale madre dei suoi fratelli e delle sue sorelle, è presente sia nelle verità di fede credute, confessate e professate, sia nella pietà dei fedeli delle prime generazioni cristiane. Questo orienta verso l’unità da costituirsi nel Figlio Unigenito di Dio, unigenito anche di Maria. Sulle molteplici connessioni implicate negli asserti enunciati si può avviare un fruttuoso dialogo ecumenico. Tanto più ci si soffermerà sull’adorazione dovuta al Figlio Salvatore, altrettanto maggiormente si potrà potenziare la venerazione alla Madre che, a sua volta, come alle origini, arricchirà organicamente la professio, confessio, celebratio dei divina mysteria di tutte le Chiese.
3. Il vero Ecumenismo e Maria
3.1. Chiamati all’unità
La divisione dei cristiani è un problema cruciale per la testimonianza evangelica nel mondo. Ne va, infatti, della fedeltà al Signore e della credibilità stessa dell’annuncio della divina salvezza. La fedeltà all’unico Signore dell’umanità esige l’unità di tutti i cristiani cioè la comunione con Dio e tra di loro (Cf. Gv 15,1-17).
L’appello all’unità dei cristiani, risuona, di conseguenza, con sempre maggiore vigore nel cuore dei credenti, perché è Cristo stesso che chiama all’unità i suoi discepoli i quali, se vogliono veramente ed efficacemente combattere la tendenza del mondo a rendere vano il mistero della Redenzione, devono professare uniti la verità sulla croce. E’ come una sfida che si pone a tutti e che nessuno può rifiutare, perché nessuno può rifiutarsi di fare il possibile per abbattere, nel nome di Dio, i muri di divisione e di diffidenza, gli ostacoli e i pregiudizi che rendono difficoltoso l’annuncio del vangelo della salvezza. Pur non nascondendosi il peso di ataviche incomprensioni ereditate dal passato, di fraintendimenti e pregiudizi, i cristiani devono vincere l’inezia e l’indifferenza che spesso scaturiscono dalla insufficiente conoscenza reciproca; devono purificare la memoria storica considerando insieme il loro doloroso passato; devono incontrarsi in un pacato e limpido sguardo di verità vivificato dall’amore di Dio e sostenuto dalla sempre rinnovata disponibilità al dialogo, proprio in vista dell’annuncio del vangelo agli uomini.
La necessità di dover tutti lavorare per raggiungere l’unità anche visibile, è solennemente confermata anche dalla "Charta oecumenica" firmata dai rappresentanti delle Chiese nel mese di aprile del 2001 a Strasburgo. Essa contiene un accorato appello perché tutti responsabilmente diventino promotori di riconciliazione in Europa, vivendo l’esperienza ecumenica come un luogo fruttuoso di incontro, superando i pericoli che impediscono il dialogo come il sospetto, l’inezia e l’impazienza.
La ricerca dell’unità ha per scopo l’eliminazione di tutte quelle difficoltà introdotte nella vita dei cristiani – divergenze di fede e divergenze dottrinali – che hanno sconvolto l’armonica articolazione del Corpo di Cristo che è la Chiesa, unità dei battezzati che credono nel suo nome. E’ la ricerca in piena carità della piena comunione nella verità tutta intera, pur nella diversità e molteplicità dei doni provenienti dallo Spirito Santo, che rendono l’unità feconda e dinamica offrendole varie potenzialità di crescita e di espressione.
3.2. Il vero volto dell’ecumenismo
Il vero ecumenismo non risiede tanto o soltanto nelle dichiarazioni congiunte delle Chiese quanto, piuttosto, in quella predisposizione spirituale che tutti i cristiani devono avere di voler camminare insieme in novità di vita. Bisogna, cioè, trovare nell’ecumenismo la propria unificazione interiore, un allargamento di orizzonti, una dilatazione dell’anima e dell’esistenza. Non si tratta chiaramente di emarginare quello in cui non si è d’accordo, rischiando una perdita di identità, quanto di arricchire questa identità scendendo alle radici per recuperare tutto dalla storia e tutto dal mistero che la precede e origina. L’esperienza ecumenica si qualifica allora come una esperienza spirituale, un cammino ecclesiale fatto di condivisione e solidarietà in cui si diventa capaci di leggere e capire l’altro in vista di una possibile comunione, senza temere che il dialogo sia un pericolo o un condizionamento. Il dialogo (dia – logos) in questa prospettiva, non rimane più un incontro e uno scambio nel "logos" dell’uomo o una astratta verità, bensì si trasforma in un autentico riconoscersi nel "Logos" del Padre, nella sua Parola di verità, in quel "Logos" che proprio per dialogare con noi ha posto la sua dimora tra gli uomini (Gv 1,14). Dialogare "ecumenicamente" diventa un entrare in "comunione" con Cristo Signore, con Colui nel quale il Padre ha aperto un "dia – logos" con gli uomini, perché essi si intrattengano " dia – logando" con Lui e tra di loro. L’unità della Chiesa dipende perciò dalla nostra unione con Dio e dalla nostra umiltà nell’accoglienza dell’altro in quanto altro unito a noi, perché come afferma S. Paolo: "In verità noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo" (1Cor 12,12). Il papa conferma questa prospettiva:
"Solo la sincera comunione con Dio genera vera unione tra i cristiani perché sollecita ogni discepolo ad essere attento e docile nei confronti della volontà dell’unico Maestro. Ciò non può non incidere sulle relazioni dei cristiani fra di loro, giacché la volontà di Gesù è precisa: Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io vi ho amati (Gv 15,12)".
3.3. Maria, Mater unitatis
Al vertice di questa esperienza di dialogo nella fede con Dio e con i fratelli in Cristo, il papa vede Maria che, per questo, viene chiamata "Mater unitatis". Maria è non solo la madre ma l’icona di questa Chiesa in dialogo, il simbolo dell’umanità trasformata dalla grazia, il modello e la sicura speranza per quanti muovono i loro passi verso la Gerusalemme celeste. Il titolo attribuito a Maria, muove dall’episodio di Gv 19, 25-27 sulla duplice consegna del discepolo prediletto a Maria e della madre al più giovane dei discepoli. Giovanni sottolinea qui non un evento di natura privata, ma la maternità di Maria nei riguardi del popolo della Nuova Alleanza, dei dispersi figli di Dio radunati nella vera e nuova Gerusalemme che è la Chiesa, della quale la Vergine, madre per eccellenza, è la figura più eminente. Il discepolo accoglie Maria tra i beni preziosi ricevuti dal Signore, cioè la riconosce come elemento fondamentale della sua vita spirituale e della sua fede. Questa pienezza di comunione tra madre e discepolo è preannunziata dal racconto della tunica senza cuciture del Signore, simbolo della Chiesa santa una e indivisa di 19, 23-24, unione esplicitata poi in 19, 25-27. E’ Maria, dunque, che ha il compito, per volere del Signore, di conservare unita quella Chiesa che le è stata affidata sul Calvario. Questa unione si manifesta anzitutto nella fedeltà alla Parola del Signore, nella fede in lui. Il papa sottolinea per questo il ruolo di Maria nel cammino della fede, parte essenziale e condizione indispensabile dell’unità visibile dei cristiani. La fede della Chiesa è soprattutto fedeltà alla Parola:
"la Chiesa è un seme vivente di Dio che vuole svilupparsi e arrivare a maturazione. Per questo ha bisogno di Maria: nella Chiesa può esserci fecondità solo se essa si sottomette a questo segno, cioè se diventa terra santa per la Parola" come e con Maria.
"Perché dunque non guardare a lei tutti insieme come alla nostra madre comune, che prega per l’unità della famiglia di Dio e che tutti "precede" alla testa del lungo corteo dei testimoni della fede nell’unico Signore, il Figlio di Dio, concepito nel suo seno verginale per opera dello Spirito Santo?".
Accanto a lei, nonostante ancora i dolorosi effetti delle separazioni, ci possiamo sentire tutti veri fratelli e vere sorelle di quel popolo messianico, chiamato ad essere un’unica famiglia di Dio sulla terra. Si può affermare che oltre alle discussioni teologiche, necessarie per raggiungere l’accordo nella fede, oltre ai contatti altrettanto necessari per una vera conoscenza reciproca, i cristiani delle varie confessioni, grazie a Maria, possono sempre più lucidamente vedere che la via dell’unità passa attraverso una comune e piena adesione all’esigenza fondamentale della fede da lei espressa esemplarmente alle nozze di Cana: "Fate quello che Lui vi dirà" (Gv 2,5). La fede di Maria, diventa modello e incitamento alla fratellanza dei discepoli che cercano l’unità nel Signore e che, se si pongono assidui e concordi in un atteggiamento di preghiera con Lei come la Chiesa nascente (At 1,14), possono veramente raggiungerla. Le Chiese si devono porre oggi la domanda: come è possibile che noi, uniti nella confessione di Cristo unico Signore e unica sorgente di vita, possiamo restare divisi riguardo a sua Madre? Tutte, quindi, sotto l’impulso dello Spirito devono avvertire la necessità a non eludere ma affrontare con serio impegno di studio e ricerca il significato della figura della Vergine nella vita della Chiesa.
3.4. Maria, Vergine del silenzio evangelico
Dato che tutte le Chiese possono riconoscere nella Maria biblica la "Mater unitatis", bisogna evitare il rifiorire disordinato di una malfondata pietà mariana lontana dalla Scrittura che esaspera gli animi, anziché rappacificare le tensioni che rimangono tra le Chiese. Lo stesso Giovanni Paolo II afferma:
"C’è da augurarsi che tra i frutti di questo anno di grazia (il Giubileo) accanto a quello di un più forte amore per Cristo, ci sia anche quello di una rinnovata pietà mariana. Si, Maria deve essere amata e onorata, ma con una devozione che, per essere autentica, deve essere ben fondata sulla Scrittura e sulla Tradizione, valorizzando anzitutto la Liturgia e traendo da essa sicuro orientamento per le manifestazioni più spontanee della religiosità popolare; deve esprimersi nello sforzo di imitare la Tuttasanta in un cammino di perfezione personale; deve essere lontana da ogni forma di superstizione e vana credulità accogliendo in questo senso, in sintonia con il discernimento ecclesiale, le manifestazioni straordinarie con cui la Beata Vergine, usa non di rado concedersi per il bene del popolo di Dio; deve essere capace di risalire sempre alla sorgente della grandezza di Maria, facendosi incessante Magnificat di lode al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo".
Secondo il pontefice, quindi, un vero approccio a Maria, deve fondarsi sulla Scrittura e sulla Grande Tradizione e deve evolversi in linea con l’imitazione. Queste puntualizzazioni sono necessarie perché
"per il suo carattere ecclesiale, nel culto alla Vergine si rispecchiano le preoccupazioni della Chiesa stessa, tra cui spicca l’ansia per la ricomposizione dell’unità dei cristiani. La pietà verso la Madre del Signore diviene, così, sensibile alle trepidazioni e agli scopi del movimento ecumenico, cioè acquista essa stessa un’impronta ecumenica"
La pietà mariana, dunque, lungi dall’essere motivo di divisione, deve diventare una forza promotrice dell’unione dei cristiani, sorgente di gioia e di preghiera per tutte le Chiese.
Il ritorno alle genuine fonti bibliche e alla Grande Tradizione e cioè la salutare riscoperta della Vergine nella S. Scrittura e delle forme di venerazione delle prime comunità cristiane, ha un molteplice e salutare effetto: corregge, infatti, la Maria della idealizzazione, perché restituisce alla Chiesa una donna del nostro mondo, figlia di Israele, donna di un villaggio qualsiasi e donna credente, inserita nella carovana dei "poveri" di JHWH; corregge la Maria della sovraesposizione, restituendo alla Chiesa la testimone dell’annunciazione e della natività, eventi che avvengono nel silenzio e restano consegnati alla riflessione della contemplazione (Lc 2,19), dove le parole dell’uomo sono rare e scarne, ma sufficienti a trasmettere la grandezza del mistero ad ogni generazione e la testimone della pentecoste della Chiesa, dove a regnare e l’essere insieme assidui e concordi nella preghiera (At 1,14); corregge la Maria della sostituzione, perché riconsegna alla Chiesa la Vergine dei primi concili e dei simboli di fede, della liturgia e dei padri, posta sempre accanto al Figlio e al suo servizio, che mai distoglie o separa da lui; corregge la Maria della strumentalizzazione e riconsegna alla Chiesa una Maria che non può avere un senso anticattolico o antiprotestante ed essere il simbolo delle contrapposizioni ideologiche, ma che ha il significato di una "Donna" buona e santa attorno alla quale un Dio sorprendente invita il suo popolo a danzare di gioia (Lc 1,39-45) come già per la città amata (Sof 3,17-18), un Dio che onora gli amici del Figlio (Gv 12,16), un Dio il cui Spirito dischiude Elisabetta e con lei tutte le generazioni credenti al "benedetta" – "beata", perché in Maria tutto è evento di grazia e tutto è evento di fede.
4. La Mariologia e le istanze ecumeniche
4.1. L’impegno ecumenico, imperativo della Mariologia
L’impegno ecumenico della Chiesa Cattolica che sotto il pontificato di Giovanni Paolo II ha assunto un forte impulso, vale anche per la Mariologia. Esistono, come appena visto, tra la Chiesa Cattolica e le Chiese della Riforma, non poche discordanze di dottrina intorno alla figura di Maria nell’opera della salvezza, ma le Chiese sono invitate a proseguire nel dialogo avviato per eliminare tali discordanze e per guardare a Lei tutti insieme come alla Madre comune. E’ necessario che i cultori di Mariologia siano sensibili alle esigenze del Movimento ecumenico suscitato dallo Spirito del Signore per far progredire il processo verso l’unità dei discepoli di Cristo, senza temere che esso sia un pericolo per la salvaguardia del patrimonio della Chiesa Cattolica sulla Madre del Signore, perché il genuino ecumenismo non svende né altera il deposito della fede, ma si propone, attraverso la ricerca comune e il dialogo sincero, di aiutare i fratelli e le sorelle delle altre confessioni cristiane a conoscere l’integra rivelazione divina su Maria di Nazaret e spinge noi a riflettere sulle loro perplessità circa la presentazione storica e culturale dell’immagine della Beata Vergine. Nella ricerca mariologica, dunque, devono essere rispettate queste norme fondamentali:
a) Evitare atavici pregiudizi ed eliminare parole, giudizi ed opere che non rispecchiano con equità e verità la condizione del fratelli separati, e che rendono più difficile il dialogo con essi;
b) Intraprendere con convinzione la via del dialogo, dato che esso è una necessità dichiarata e una priorità della Chiesa;
c) Astenersi dal falso irenismo e cioè presentare con chiarezza la dottrina mariologica sia quella sancita dalla Chiesa con solenne giudizio e sia quella insegnata dal Magistero ordinario universale;
d) Procedere ad un uso sorvegliato e corretto dei termini e delle formule, purificando quindi il linguaggio per evitare disagio nei fratelli che non sono in piena comunione con la Chiesa e usando di conseguenza una terminologia che esprima la dottrina con esattezza ed efficacia, senza dare addito a false interpretazioni;
e) Evitare ogni tendenza, vera o apparente, a presentare la figura di Maria isolata dalla compagine ecclesiale. Questa esigenza, espressa soprattutto dalle comunità evangelica e anglicana, non è peraltro estranea alla genuina tradizione cattolica e non impedisce di mettere in luce i tratti esemplari ed irripetibili della santa e gloriosa Theotokos.
4.2. Approccio ecumenico alla Mariologia
4.2.1. Scheda storica
Il 21 novembre 1964 è caratterizzato da un duplice evento che risulta fondamentale per il nostro discorso: l’approvazione della Costituzione Dogmatica "Lumen Gentium" con il Cap. VII su "La Beata Maria Vergine Madre di Dio nel mistero di Cristo e della Chiesa" e l’approvazione del Decreto sull’Ecumenismo "Unitatis redintegratio". Essi sono i punti di riferimento di un dialogo che ha coinvolto, come vedremo più avanti, anche Maria e la mariologia. Da allora è iniziato un cammino le cui tappe salienti possono essere così riassunte:
- Prima tappa (1964-1974): è segnata da parte evangelica da un diffuso e variegato contatto con i cattolici ma da un "no" al Cap. VIII della "Lumen Gentium" anche se si comincia a far strada la convinzione di non negarsi agli inviti espliciti di esprimere il proprio originale pensiero su Maria. Da parte cattolica il periodo è contrassegnato da un diffuso "silenzio" su Maria dovuto alla crisi della Mariologia pre-conciliare e alla difficoltà di ristrutturarla in base alle nuove disposizioni conciliari;
- Seconda tappa (1974-1987): questo periodo che arriva fino all’Eciclica "Redentoris Mater", è caratterizzato dal consolidarsi di un dialogo "faccia a faccia", fatto anche di gesti concreti di indubbio significato, culminati in una serie di studi biblico – teologici in chiave di testimonianza in cui vengono sottolineati i criteri dell’assoluta parità dei dialoganti sul piano dei rapporti interpersonali e del riferimento alla S. Scrittura come base di partenza per l’intelligenza di Maria, con la conseguenza di considerare la sua figura biblica il principio fondante e ispirante di ogni discorso.
- Terza tappa (1987 - ): è la fase attuale che vede il 12-13 marzo 1988 il Convegno su: "Maria nostra sorella: le Chiese evangeliche di fronte al rilancio della mariologia", preceduto dalla pubblicazione del volume: "Gli Evangelici e Maria", in cui vengono riassunte le ragioni del "no" protestante all’anno mariano. Cominciano ad essere posti sul tappeto le questioni fondamentali della mariologia: Perché Maria da "modello" di fede è diventata "oggetto" di fede? Perché Maria da "Donna di preghiera" è diventata "Donna pregata" che "intercede" per noi? Perché Maria da "Colei che accoglie la salvezza" è diventata col suo "Fiat" anche "Colei che dona salvezza"? I nodi da sciogliere sono, quindi, di natura dogmatica e cultuale, ritenuti dagli Evangelici imposizioni non legittime. Questi nodi, sebbene fondamentali e irrisolti, non hanno però bloccato il dialogo ecumenico ma lo hanno avviato verso l’essenzialità. Nelle profonde divergenze ancora esistenti, rimane per tutti valida la considerazione che Maria, "Donna biblica" è per tutti una benedizione donata alle Chiese perché "modello di fede", "immagine della Chiesa e del credente", inserita al giusto posto nella Comunione dei Santi.
4.2.2. Nel contesto della Teologia ecumenica
Il ripreso dialogo su Maria, per essere valido e poter serenamente continuare, deve essere contestualizzato nell’alveo della Teologia ecumenica, frutto del Movimento ecumenico, nato con la convinzione che vana sarebbe la predicazione se Cristo rimanesse diviso nella Chiesa. Questa teologia vede il suo percorso concretizzarsi: non in ciò che divide, ma in quello che unisce; non nella via del "ritorno", ma in quella della "diversità" riconciliata; non nella formulazione controversiva, ma in quella propositiva; non nelle posizioni "difensive", ma in quelle "dialogiche; non nel discorso marginale ma nel discernimento dell’essenziale. Nella prospettiva dell’unità, la teologia ecumenica: ha per fondamento la "carità" reciproca che si esprime nella dimensione orante e nella dimensione profetica che incalza le Chiese a far seguire decisioni concrete e rapide al nuovo status che sta chiarendo come non poche differenze irriducibili di ieri, appartengono oggi di fatto all’area della tolleranza gnoseologica; ha un carattere critico e propositivo che ricorda costantemente alle Chiese la loro condizione di infedeltà e l’urgenza di uscirne; ha una dimensione dossologica per cui si ringrazia Dio per l’unità che già esiste e si invoca la piena comunione; ha un profondo senso comunitario per cui si cammina insieme come amici ritrovati; ha un’orientazione storica, per cui l’intento è quello di trasmettere al mondo la Buona Novella di un’umanità chiamata da essere l’icona della Trinità santa.
4.2.3. Il posto di Maria nella Teologia ecumenica
Situare la Mariologia in questo contesto significa, per i Protestanti, fare un discorso su Maria che parte da questi punti fondamentali: "sola gratia", "sola fides", "soli Deo" e cioè:
- Maria è il punto focale della grazia, la chiave per comprendere la grazia;
- Maria è l’immagine del credente, è l’esempio di una fede stupita, riconoscente e gioiosa, è l’insieme armonico di un’umile catecumena e nello stesso tempo di una teologa della liberazione dell’uomo;
- Maria è il frammento che ricapitola e porta a compimento la dedizione incondizionata di Dio all’uomo e riassume la dedizione incondizionata dell’uomo a Dio nella grazia e nel crogiolo dell’oscurità;
- Maria è colei che rende gloria a Dio autore di ogni grandezza, donatore della grazia. Egli è il liberatore dell’oppresso, l’orientatore di chi cerca un senso, il guardiano di chi invoca misericordia, la vita nella morte, Colui che ama gli amici del Figlio e li onora. Egli, perciò, ama e onora in primo luogo Maria ed esprime Egli stesso una dossologia ricca di pathos verso Maria, invitando le generazioni alla sua lode. E’ lo Spirito di Dio, come già si è detto, che coinvolge Elisabetta e Giovanni nella danza divina intorno a Maria, l’Arca in cui dimora la sua Presenza, una danza intercala dalla lode di Maria ("Tu beata" – "Tu benedetta") che è un lodare con Dio, spinti da Dio dove nello stesso tempo è Dio ad essere sommamente glorificato.
4.3. E’ possibile una Mariologia ecumenica?
E’ possibile oggi una Mariologia vincolante in campo ecumenico? J. Moltmann afferma che non siamo ancora pronti per sviluppare una vera Mariologia ecumenica, ma questo non significa che non possiamo tentare di descrivere almeno le condizioni entro le quali dovrà essere elaborata. Se dunque il tempo di questa Mariologia è ancora lontano, tutti comprendono e lavorano oggi per renderla possibile. Nel mondo della Riforma sta avvenendo un graduale passaggio riguardo a Maria e alla sua tematizzazione che è la mariologia: Si passa dall’assenza e l’occultamento ad accenni significativi di disoccultamento e di risveglio. Questa ripresa parte dal riesame dei motivi che hanno determinato il disgelo mariologico.
4.3.1. L’occultamento di Maria
Esso ha raggiunto il suo apice a partire dal XVIII secolo sollecitato da diverse cause, tra cui il nesso mariologia – controriforma, l’illuminismo teologico e il puritanesimo. Prima del Vaticano II la posizione comune dei Riformati era che la Chiesa cattolica non avesse risposto veramente alle problematiche della Riforma e rimaneva, quindi, non – riformata, convincimento che si rafforzò enormemente con le definizioni dogmatiche dell’infallibilità papale (1870), dell’Immacolata Concezione (1854) e dell’Assunzione al cielo (1950), definizioni che secondo la Riforma, non avevamo sufficiente fondamento nella S. Scrittura. Maria viene chiamata in causa e vista come un’arma usata dalla Chiesa cattolica in chiave antiprotestante. L’occultamento di Maria diviene, di conseguenza, un segno distintivo della Chiesa riformata in senso anticattolico, una risposta protestante non solo alla dogmatica ma anche alla dottrina, alla cultualità e alla pietà mariana del Cattolicesimo. Si comprende quanto fondamentale sia per il dialogo ecumenico liberare Maria e la mariologia da questa carica di antagonismo tra le Chiese. Fuori da questi schemi, infatti, la Riforma si sforza oggi di passare dalla deligittimazione teologica della mariologia (Barth) a un "si" a Maria e alla sua tematizzazione, per il semplice fatto che la Madre del Signore è nei Vangeli, mentre la Chiesa cattolica, con la sua mariologia conciliare, ha cercato di definire e determinare i confini veri della mariologia cattolica. Un'altra causa dell’occultamento di Maria è fondata sull’illuminismo teologico che ha letto il concepimento verginale di Cristo come una leggenda e un mito eziologico sorto in ambiente ellenistico per spiegare il titolo di "Figlio di Dio", una realtà deturpante, dato che la fede in Cristo Dio e Salvatore, sussiste, come afferma Moltmann, indipendentemente dalla sua nascita da una Vergine e non trova quindi nessuna conferma in questa motivazione. J. Gabus e B. Schlink, sottolineano come questa progressiva rimozione del nome di Maria dall’evento dell’Incarnazione e la diminuita riflessione sul segno – verginità, hanno chiaramente finito per emarginarla nell’ambito protestante. Se a questo si aggiunge la rimozione dell’archetipo femminile ad opera del tipico puritanesimo protestante, si comprende come risultasse naturale questa impressionante eclissi di Maria nella Riforma.
4.3.2. Risveglio e Accoglienza di Maria
Uno dei motivi che spiegano il risveglio di interesse per Maria nel Protestantesimo è, ovviamente, il motivo ecumenico. E’ risaputo come proprio la mariologia e il papato sono due punti sui quali la fede evangelica e quella cattolica divergono profondamente, per cui il dialogo rischia di rimanere un monologo o un dialogo tra sordi. Il movimento ecumenico però chiama oggi le Chiese a oltrepassare gli stessi confini del dialogo nella prospettiva dell’accoglienza reciproca e della comunione. La figura biblica di Maria è già ora parte di questa comunione, mentre lontani da essa rimangono il culto e i dogmi mariani. P. Ricca afferma lapidariamente: "Maria ci unisce, ma la mariologia ci divide".Un altro motivo di risveglio dell’interesse per Maria è legato al fenomeno e alla teologia femminista per la quale Maria è tornata alla ribalta all’interno del grande dibattito sul ruolo della donna nella religione. Anche se, in linea di massima, la teologia femminista critica aspramente la Maria della tradizione e della devozione popolare, essa ha tuttavia contribuito a risvegliare ampiamente l’interesse dei protestanti per lei.
4.3.3. possibili obiettivi per una mariologia ecumenica
Dialogare in modo ecumenico sulla tematica mariologica, facendolo onestamente e approfondendo le radici del culto mariano o le ragioni del suo rifiuto, è una cosa oggi molto ardua. Questo spiega perché solo ultimamente la mariologia è cominciata ad entrare nei colloqui ecumenici ufficiali e, quando se ne è parlato, si è giunti solo ad un consenso tra specialisti, di scarsa rilevanza per le Chiese da loro rappresentate. Per poter giungere ad una vera mariologia ecumenica che risulti, cioè, vincolante per tutti in campo ecumenico, bisognerebbe anzitutto prendere coscienza con imparzialità degli elementi antiecumenci che caratterizzano certi aspetti della mariologia o di relazione con la mariologia. Pur non essendo quindi ancora giunto il tempo di una mariologia ecumenica, l’obiettivo attuale dovrebbe essere almeno quello di descrivere le modalità generali entro le quali dovrà essere elaborata. Queste modalità potrebbero essere le seguenti:
- deve realizzarsi all’interno di un processo di comunione tra le Chiese, anzi deve esprimere questa comunione;
- deve maturare anche all’interno del dialogo con Israele, evidenziando lo stretto legame tra il mistero di Israele e quello della Chiesa;
- deve essere elaborata soprattutto in vista degli ultimi e dei poveri;
- deve oltrepassare i confini del semplice ecumenismo e delle Chiese, per respirare con i polmoni dell’universalismo ed essere un elemento di salvezza per gli uomini.
4.3.4. possibili criteri per una mariologia ecumenica
Tenendo presente quello che finora si è detto, i Protestanti delineano questi criteri come fondamentali per una autentica mariologia ecumenica:
- non può essere autonoma perché Maria non è un soggetto teologico autonomo e quindi deve essere integrata nella cristologia, nella pneumatologia, nella ecclesiologia e nella liturgia;
- non potendola staccare nemmeno dall’antropologia, deve comprendere i segni dei tempi e perciò deve essere inculturata e pienamente inserita nel cosmo;
- deve essere fondata biblicamente perché il punto di partenza di ogni discorso mariologico non può non essere che la Maria della testimonianza neotestamentaria, comprendendo che "solo nel pieno recupero e nella piena esplicitazione del discorso biblico su Maria è possibile una mariologia ecumenica con il contributo protestante";
- deve rispettare il canone della confessionalità, deve essere cioè vincolante per tutti nella sostanza ma fedele all’orizzonte della propria peculiare esperienza ecclesiale, negli sviluppi e nella prassi concreta;
- deve sottolineare come chiave di lettura preferenziale di Maria la sua esemplarità, ritenuta coralmente da liturgia, monachesimo e teologia il terminus a quo di ogni discorso su di lei.
5. Maria nel dialogo ecumenico: Il Documento di Dombes
5.1. Il gruppo ecumenico di Dombes
Il gruppo di Dombes si è costituito nel 1936, 26 anni dopo la nascita del Movimento ecumenico fondato nel 1910 a Edimburgo in Scozia, 12 anni prima dell’istituzione del Consiglio Mondiale delle Chiese nel 1948 ad Amsterdam e 22 anni prima dell’inizio del Concilio Ecumenico Vaticano II nel 1962 a Roma. Questi dati bastano a dimostrare come il gruppo di Dombes sia stato un pioniere nella storia dell’ecumenismo, un motore trainante nelle ricerche teologiche, il primo gruppo storico in assoluto tra protestanti e cattolici. Dombes è un minuscolo altipiano situato a 300 metri sul mare, pieno di fanghi glaciali e stagni paludosi che ne fanno una delle zone più povere e insalubri della Francia. Proprio in questa zona fu fondato un monastero trappista, denominato "Notre Dame des Dombes", nella diocesi di Lione e nel dipartimento di Ain. All’origine del movimento c’è il sacerdote lionese Paul Couturier, vissuto con l’ideale dell’unità delle Chiese (1887-1956). Fu lui il rinnovatore della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani, l’ideatore dell’"ecumenismo spirituale" e del "monastero invisibile", il primo a capire che bisognava rinnovare l’ecclesiologia tradizionale in uno statuto dinamico e carismatico della Chiesa per avviarla sulla strada della "conversione" e della "comunione". Nel 1936, dopo aver tentato inutilmente con gli Anglicani, Couturier inviò ai pastori protestanti di Lione il suo articolo "Psicologia dell’Ottava", accompagnandolo con un appello alla preghiera comune. Da questo invito scaturì un breve incontro orante tra cattolici e protestanti, al n° 30 della salita della Boucle a Lione. Il primo vero contatto ecumenico dalla durata di tre giorni si svolse nella trappa di Notre Dame des Dombes dal 18 al 22 luglio 1937 e vi parteciparono tre preti cattolici e tre pastori protestanti. Il secondo incontro si tenne nel 1938 a Erlenbach e vennero studiati i temi: "Rivelazione, Scrittura, Sacramenti e Redenzione". Il terzo incontro del 1939 si tenne nuovamente a Dombes e aprì il primo tentativo di dialogo sulla Chiesa perché ebbe per tema: "La Chiesa una". La cellula originaria di Dombes si sciolse a causa della Seconda Guerra Mondiale per ricostituirsi rinnovata nel 1942 con una più qualificata presenza di teologi da ambo le parti. Nel 1947 le rispettive Chiese autorizzarono la pubblicazione dei documenti degli incontri, ma solo per uso privato. Tra i presidenti del gruppo dopo la morte del fondatore avvenuta nel 1956 si annoverano De Saussure e Max Thurian che poi, nel 1987 divenne prete cattolico. Attualmente il gruppo di Dobes è composto da circa 40 persone.
Questi alcuni dei documenti dal grande valore ecumenico pubblicati dal gruppo di Dombes:
- 1971: Verso una stessa fede eucaristica? (Accordo dottrinale);
- 1972: IL significato dell’Eucaristia. (Accordo pastorale):
- 1973: Per una riconciliazione dei ministeri. (Elementi di accordo);
- 1976: Il ministero dell’episkopé (Riflessione e proposte);
- 1980: Lo Spirito Santo, la Chiesa e i Sacramenti;
- 1985: Il ministero di comunione nella Chiesa universale
- 1997-98: Maria nel disegno di Dio e nella comunione dei santi.
5.2. Maria nel disegno di Dio e nella Comunione dei santi
Questo è il titolo dato dal gruppo di Dombes al documento su Maria pubblicato nel 1998. Il sorprendente documento apre di nuovo il cammino del dialogo ecumenico tra protestanti e cattolici su uno dei temi più controversi che, in certi momenti, è sembrato destinato a un binario morto. Molti commentatori vi hanno visto infatti un notevole contributo positivo per il cammino di avvicinamento circa la questione mariana.
Il documento si sforza di leggere il ruolo di Maria nell’economia della salvezza e cerca di scrivere una storia comune della sua presenza all’interno della professione di fede della cristianità. Uno degli aspetti più seri e onesti del lavoro e quindi più significativi è la valorizzazione del patrimonio comune che, al di là delle profonde divergenze tra le diverse confessioni, vede il permanere in tutte di un dato costante: il fondamento e la testimonianza della S. Scrittura.
Il gruppo ha potuto lavorare con serenità perché ha saputo cogliere la differenza tra ciò che richiede la fede e ciò che consente la devozione a Maria e perché ha considerato questo documento come parte di un più ampio progetto che prevede lo studio di punti dottrinali controversi e la conseguente formulazione di proposte per l’autentica conversione ecclesiale. L’itinerario e l’evoluzione della pietà e della devozione mariana che viene preso in considerazione spazia dalle origini del cristianesimo fino al Vaticano II e si prolunga ai nostri giorni.
5.3. Chiave di lettura del documento
5.3.1. Teologia orante
Il Magnificat posto in testa al documento, ne costituisce la nota più profonda e un’indicazione ben precisa per accostarsi alla sua lettura nella giusta prospettiva. Infatti solo persone piene di Spirito e di Cristo come la Vergine del Magnificat, possono operare una teologia veramente ecumenica nell’atteggiamento, nella destinazione e nel metodo: l’atteggiamento di chi si vede costretto interiormente all’ecumenismo ed è convinto di dover percorrere un cammino di reciproca apertura che rende capaci di ripensare le cose da capo senza risentimenti; l’elaborazione di chi sa di dover dire niente di più e niente di meno di quanto al momento si può dire; la stesura di un pensiero (ecumenismo dottrinale) concepito in un contesto orante (ecumenismo spirituale) e consegnato alle Chiese in vista della loro conversione (ecumenismo dei fatti).
5.3.2. Una precisa metodologia
E’ quella già delineata nel documento: "Per la conversione delle Chiese" che può essere considerato il manifesto di un metodo che ingloba il presente, il passato e il futuro: si parte dalla domanda del presente (hic et nunc), si ridiscende nel passato con lo sguardo attento alle lezioni della storia e della S. Scrittura (ante), si risale, ricchi di esperienza e di saggezza propositive, nell’oggi in vista del futuro (post). Applicato al documento sulla Vergine, il metodo usato si esplicita così:
- hic et nunc: il documento vuole essere all’ascolto del proprio tempo per rispondere alle urgenze che vi si manifestano, un oggi che parte da una riconosciuta e negativa consapevolezza: Maria è motivo di conflitto tra le Chiese cattolica e protestante, un conflitto che investe l’ambito dottrinale, cultuale e affettivo, il sentito e il vissuto; un conflitto alimentato dal rifiorire disordinato di una malfondata pietà mariana che esaspera gli animi anziché rappacificare le tensioni; un conflitto di cui Maria, che non è stata mai causa di separazione tra le Chiese, è diventata vittima ed espressione esacerbata di altri fattori di disunione, perché ridotta a emblema e bersaglio delle ragioni di divisione. Il gruppo riconosce di dover dire basta al nominare invano il nome di Maria, alla sua umiliazione causata dall’insipienza e dal peccato dell’uomo, una realtà insostenibile, tale da sollecitare la riapertura del dossier sulla Madre del Signore in ambito ecumenico per un radicale cambiamento;
- ante: si tratta, in questa prospettiva, di rivisitare il passato per una lettura ecumenica della storia e della Scrittura (Cap. I – II) con un criterio comune di discernimento degli argomenti controversi (Cap. III);
-post: la finalità di tutto questo è la conversione delle Chiese (Cap. IV) che sola può aprire un futuro diverso, in modo che Maria non sia più una pietra d’inciampo. E’ questa speranza di unità su una questione controversa la molla di tutto il documento che vuole essere anche l’avvio di altri lavori che porti le Chiese ad un effettivo rappacificamento.
5.3.3. Tra il nunquam satis e il satis est
I principi seguiti nell’elaborazione del documento sono stati quelli dell’unità nell’essenziale e della gerarchia della verità ritenuti un irrinunciabile criterio ermeneutico di tutto il dialogo ecumenico. Lo stesso documento dichiara nell’introduzione al n° 10: "Il gruppo ha lavorato con maggiore serenità dal momento che sapeva distinguere tra ciò che la fede richiede e ciò che la devozione permette. Questa distinzione fondamentale struttura tutto il documento".
5.3.4. Il titolo: una convinzione e un invito
Il titolo dato al documento: "Maria nel disegno di Dio e nella Comunione dei santi", risponde alla domanda centrale della collocazione della Vergine ed è una imprescindibile chiave interpretativa per capire il documento stesso, considerato come un piano cartesiano sul quale si intersecano un’asse verticale e una orizzontale: Maria nel disegno di Dio che cerca di situare la Vergine nel mistero della salvezza in virtù della sua vicinanza al Figlio di Dio che diventerà anche il suo; Maria nella Comunione dei santi che vuole cogliere il posto che essa occupa nella Chiesa del cielo e in quella della terra nella compagnia dei santi, dato che lei, Madre di Dio, è anche sorella di tutti i credenti. Maria è dunque inserita nel mistero dell’Incarnazione ma anche in quello dell’universalità della Redenzione. Il documento riconosce che le Chiese si sono divise su Maria solo nel momento in cui lei è stata isolata sia da Cristo che dalla Comunione dei santi con la conseguenza di una eccessiva concentrazione della devozione su di lei. Il profondo collegamento che il Vaticano II ha fatto della mariologia cattolica con la cristologia e l’ecclesiologia, è stato accolto in maniera positiva dai protestanti che a loro volta ammettono che una retta confessione di Cristo esige anche una parola su Maria, proprio in nome dell’Incarnazione. Una Maria così compresa, cioè inserita nel mistero trinitario e nella Comunione dei santi e rivisitata con questo criterio comune, cessa di essere motivo di divisione, nonostante il permanere delle divergenze. Senza la falsa illusione che ormai tutto sia a posto, dato che qui non si tratta di svendere il proprio patrimonio di fede, sorge tuttavia la convinzione che il documento abbia ripreso un cammino verso una sinfonia fatta di note diverse ma non discordanti, partendo dalla conversione del cuore, come si afferma chiaramente al n° 22:
"Confessiamo Signore di essere colpevoli quando sbagliamo per eccesso o per difetto a proposito della Vergine Maria, invece di unirci alla sua confessione di lode che realizza in lei e in noi l’impensabile dei nostri spiriti e l’impossibile dei nostri cuori".
5.4. La lezione della storia
Convinto che è impossibile un futuro diverso dal presente senza la rivisitazione del proprio passato, il gruppo di Dombes scende in esso con animo critico, per interrogarlo e lasciarsi interrogare e per coglierne la salutare lezione.
5.4.1. Il primo millennio
Il primo millennio è diventato un luogo comune dell’ecumenismo contemporaneo e il documento, seguendone la tendenza, ingloba in esso la lezione della Chiesa antica e, a grandi linee, quella dei primi sette concili, privilegiando tre fonti di apprendimento: l’una normativa (i Simboli), la seconda in sostanziale continuità esplicativa con i primi (la letteratura patristica), la terza poi (gli apocrifi) assunta ad esempio di una mariologia fondata sul sentimento e sull’immaginazione che può degenerare contraddicendo il dato biblico e la retta confessione di fede. Questo significa che già nel primo millennio si dà una linearità spezzata. I Simboli presi in considerazione sono il Simbolo Apostolico e il Simbolo Niceno – costantinopolitano dove si trova rispettivamente "nacque da Maria vergine" e "si è incarnato nel seno della Vergine Maria", dati scarni ma che confessano la presenza di Maria nel Simbolo, parte integrante del credo costitutivo delle Chiese. Per il titolo "Theotkos" il documento si richiama al Concilio di Efeso del 431. I riferimenti mariologici dei Simboli e dei Concili riassumono il sensus ecclesiae e confermano che semper, ubucumque e ab omnibus, Maria è confessata come vergine Madre di Dio. Questa constatazione storica è inesorabilmente una valutazione teologica, infatti la presenza della Vergine nei Simboli non è ornamentale o solo formale, ma Maria vi è come colei che sa, come la testimone della vera identità di Colui che è nato da lei, come un mistero consegnato proprio nei titoli di "vergine" e "Madre di Dio". Maria resta dunque nel quadro degli enunciati biblici e cristici, per cui il discorso su di lei è un capitolo di Cristo e della Cristologia: con il titolo "vergine" testimonia il mistero dell’incarnazione e con quello "Theotokos" che il nato da lei è il Verbo divino.
Il documento segue quindi un excursus equilibrato sulla letteratura patristica, della quale viene sottolineata la sostanziale continuità con la testimonianza dei simboli e dei Concili. La loro elaborazione "mariana" è una riflessione cristologica in linea con il dettato del Credo e del "dogma mariano" di Efeso. Viene anche riconosciuta l’esistenza della "lode" (Akatistos) e dell’invocazione (Sub tuum praesidium) di Maria, sobria in Occidente e altamente lirica in Oriente e viene notato il sorgere delle prime feste mariane che restano valide perché discrete e non invadenti. Esse, infatti, sono strettamente legate al mistero di Cristo e svolgeranno sempre, anche in futuro, un ruolo critico nei confronti di una pietà popolare mariana disattenta al riferimento cristologico. Proprio il riconosciuto legame con una liturgia legata al Simbolo e alla Scrittura permette, infatti, una lode e un’invocazione non deviate e non devianti, un’armonia minacciata dalle "fantasie" degli apocrifi, e della falsa devozione come dimostrerà anche la lezione del secondo millennio.
5.4.2. Il secondo Millennio
La prima riflessione riguarda la posizione di Maria nella Chiesa medievale, nella quale si può già scorgere il germe della divisione perché è caratterizzata da un processo di enfatizzazione su diversi livelli, come l’attribuzione a Maria di titoli che intendono sottolineare il potere della Vergine nel mitigare il volto severo di Cristo giudice, come se lei e non il Redentore fosse il vero depositario della misericordia divina e il suo sempre maggiore distacco dalla Communio sanctorum per avvicinarla al Signore in termini quasi paralleli. Il documento nota la fedeltà del monachesimo anche nella pietà mariana al principio della centralità di Cristo ma è lacunoso e poco oggettivo nel considerare la mariologia della liturgia orientale solo come mariologia della tradizione ortodossa e non come testimonianza della mariologia comune prima della Riforma.
La Riforma operata da Lutero, Zwingli e Calvino perverrà in un crescendo continuo all’occultamento totale di Maria come risposta radicale al suo esagerato presenzialismo nel versante cattolico, in una spirale di sempre più profonda divisione e incomprensione che finisce per usare sempre Maria come visibile linguaggio della frattura insanabile tra il Cattolicesimo e il Protestantesimo. All’affermazione dell’uno de Maria numquam satis, risponderà sempre più marcatamente il satis est dell’altro. Le conseguenze sono una serie di negazioni dei Protestanti di fronte alle affermazioni della Mariologia cattolica: no ai dogmi dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione perché dottrine prive di fondazione biblica; no ai titoli di mediatrice, avvocata, corredentrice e altri ancora perché una comprensione abusiva di Maria in ordine alla salvezza; no a ogni preghiera rivolta a Maria perché si prega con e come Maria ma non Maria; no ad eccessiva sottolineatura della maternità spirituale perché l’onore reso al Maria si esprime massimamente sulla linea dell’imitazione e non sul suo attivismo soteriologico.
Il documento ha voluto con forza sottolineare al n° 71, che le Chiese della Riforma, "oggi come ieri, si proibiscono di dare a Maria un posto diverso dal suo……esse si levano con forza contro ogni tentativo di esaltare Maria, di stabilire una parallelismo tra lei e Cristo, come pure fra lei e la Chiesa". Non rimane al gruppo che registrare anche nel documento una distanza sempre più marcata che si arresta soltanto con il Concilio Vaticano II. In concomitanza con le presi di posizione del Concilio sulla mariologia, anche nel Protestantesimo, a partire dagli anni ’60, si assiste ad una ripresa della riflessione su Maria, fino a poter cominciare a parlare di una mariologia ecumenica. Il gruppo di Dombes ha recepito la lezione del secondo millennio: Maria ridotta a sintesi delle divisioni delle Chiese, sta al loro cospetto come colei che le notifica chiaramente, per cui sciogliere il nodo mariologico è sciogliere le ragioni dottrinali stesse della separazione.
5.5. La testimonianza della Scrittura e la confessione della fede.
Il documento parte da una visione mariologica d’insieme che lega indissolubilmente Credo e Scrittura, una visione che si manifesta nella liturgia. Si tratta, quindi, di rivisitare il dato biblico, esplicativo del "Credo", in forma piena e simultaneamente dottrinale e meditativa. Al n° 83 il gruppo di Dombes chiarisce che l’intento del documento non è principalmente esegetico, biografico e storico, ma quello di meditare con una Lectio divina sul dato biblico per vederne il riflesso nel dogma e scoprirne i risvolti esistenziali.
Il dato biblico presenta Maria come un’autentica creatura, una figlia di Israele pienamente inserita nella storia del suo popolo, una madre che ha condiviso le gioie e i dolori della maternità, nella quotidianità dei giorni come nelle circostanze eccezionali dell’esistenza. Attraverso il suo itinerario umano, Maria si è aperta alla Parola di Dio, ed è stata chiamata da lui alla fede e a diventare discepola, dal fiat dell’annunciazione all’esultanza del Magnificat allo sconfortante silenzio del Calvario. Il Magnificat canta la lode di Dio che l’ha ricolmata di grazia, che le ha dato un posto singolare ed unico nella creazione, che l’ha scelta come madre del Figlio suo. A questa chiamata Maria ha acconsentito pienamente(82-83). Il Simbolo che ci fa professare la nascita verginale di Cristo per mezzo di Maria, raccoglie il cuore di questo messaggio evangelico perché ci insegna come Maria, vergine, madre e serva, ci precede tutti nella fede nel Verbo incarnato (89). Chinandosi sulla greppia del presepe, le Chiese adorano il neonato bambino che, nella fragilità, nella povertà e nell’abbassamento, è il Signore della gloria. Quando i concili ecumenici del V secolo chiamano Theotokos la madre di questo bambino divino, la serva del Signore che lo ha messo al mondo, non lo fanno per glorificare lei, ma anzitutto per confessare che colui che secondo la carne è nato da lei è il suo Signore e il suo Dio (92).
Cattolici, luterani e calvinisti del gruppo di Dombes, sono quindi concordi nel sì alla verginità di Maria e alla sua verità di Madre di Dio come eventi di altissimo significato cristologico, nascosti nella lettura di una Scrittura accostata dallo Spirito. Le Chiese riconoscono insieme che la creatura di nome Maria è la prescelta del Padre a divenire la madre del Signore, la vergine Theotokos, la prima della comunione dei santi, come registra il canone romano: partiti da ciò che unisce (il Simbolo), inoltrati in ciò che divide (la storia del secondo millennio), rituffati nel mare originario della Scrittura, esse hanno visto riemergere un’importante consapevolezza: la Madre della Chiesa indivisa, quella della Scrittura e del Simbolo, vergine Madre di Dio, tipo della Chiesa, è la Madre delle Chiese confessionali. In lei protestantesimo, cattolicesimo e ortodossia si riconoscono. Da questa piattaforma comune è possibile affrontare i punti ancora controversi esprimendo su di essi quello che onestamente si può dire: né di più, né di meno, ma il cammino è avviato.
5.6. Questioni controverse e conversione.
Le questioni controverse, trattate dal Cap. III "Controversia e conversione", sono quattro: 1. La cooperazione di Maria alla salvezza; 2. La verginità perpetua di Maria; 3. I dogmi cattolici dell’Immacolata Concezione e dell’Assunzione; 4. L’invocazione di Maria e dei santi, questioni che il gruppo affronta alla luce del principio della giustificazione per grazia mediante la fede, della "gerarchia della verità" e dell’adagio in necessariis unitas, in dubiis libertas. Alla luce di questi principi e ad ogni questione il gruppo si chiede se le divergenze sono di natura tale da impedire la comunione ecclesiale o se, visti nella giusta prospettiva, non potranno finire anch’esse in una convergenza comune.
5.6.1. Cooperazione di Maria alla salvezza e conversione
La questione, che in Maria si riassume in maniera emblematica, verte sul rapporto Dio - uomo, specificatamente sull’apporto dell’uomo all’iniziativa divina. E’ dunque una questione che coinvolge non soltanto Maria ma tutta la concezione luterana e cattolica dell’uomo. Il gruppo è cosciente di trovarsi davanti alla questione cardine della divergenza, esemplificata in una donna di nome Maria. Per ricucire lo strappo, il gruppo parte dalla nozione biblica di "alleanza" nella quale si coniugano insieme l’istanza protestante del primato di Dio e la giustificazione per grazia e l’esigenza cattolica della libera risposta umana. Il documento riconosce il paradosso dell’alleanza: è unilaterale da parte di Dio e diventa bilaterale per essere effettiva. In altre parole vuol dire che la grazia che chiama, si fa grazia che permette di rispondere. Notiamo in sintesi quali sono le argomentazioni:
- In principio vi è la decisione sovrana di Dio, il suo libero dono di grazia e di salvezza;
- In mezzo vi è sempre la decisione sovrana di Dio che unilateralmente suscita tramite lo Spirito, la risposta umana;
- In mezzo vi è ancora la decisione sovrana di Dio di consegnarsi unilateralmente all’eventualità dello scacco, del non - riconoscimento e della non - accoglienza, essendo un Dio estraneo all’imposizione e alla costrizione;
- Vi è, infine, la risposta dell’uomo responsabile e sovrana. Questa risposta è: passiva, corrispondente al momento dell’incontro e dello stupore; attiva quando è convertita dallo Spirito in accoglienza, in ricezione, in rendimento di grazie. Il Dio che chiama unilateralmente, insomma, è il Dio che per grazia rende idonei all’obbedienza della fede e rende capaci di iniziare il compito ricevuto da lui che lui, e solo lui, porterà a compimento.
Applicato a Maria questo discorso significa: mediante il fiat, Maria aderisce al progetto di Dio con tutto il suo essere. E’ il suo un sì nella grazia che diventa cooperazione a far sì che il dono salvifico di Dio divenga carne e storia. A questo Maria dedica tutta se stessa e tutta la sua vita, come serva libera, consapevole, amante, gioiosa e sofferente del suo Dio e del Figlio suo nello Spirito Santo. Naturalmente la cooperazione di Maria nulla aggiunge alla salvezza, la quale rimane sempre una decisione-evento del Dio trinitario che ella serve però con un sì libero e consapevole. Questa cooperazione, infatti, è un servizio reso per il compimento della salvezza e si distingue per il suo oggetto, perché la Vergine ha svolto, al proprio posto, un ruolo unico, nella grazia e per la fede, principalmente al momento della nascita, della morte di Gesù e anche alle Nozze di Cana (116). Quello che succede a Maria, succede comunque a tutti gli uomini: non c’è salvezza se questa non viene ricevuta, se non incontra una risposta nell’azione di grazie (112). La conversione dei membri del gruppo è evidente e concorde: la Maria della divisione, taciuta dagli uni come reazione al protagonismo soteriologico degli altri, crea unità attorno alla risposta "dell’amore all’amore". Una conversione insieme di atteggiamento e dottrinale.
5.6.2. I due dogmi mariani, la verginità "perpetua" e l’invocazione
Ecco i punti salienti di convergenza e di divergenza su queste questioni:
a) L’accordo sui dogmi della Concezione Immacolata e l’Assunzione al cielo verte sul fatto che in essi si proclama compiutamente il principio della sola gratia e sul fatto che, alla luce della gerarchia della verità, celebrano e proclamano davvero il Santo, il Risorto e la sua opera. I Protestanti riconoscono che in questi due dogmi nulla è contrario al vangelo e ritengono che sia del tutto legittimo da parte cattolica considerarli dogmi di fede perché in realtà parlano di Cristo e dell’uomo: L’Immacolata è l’icona dell’umanità ricondotta alla sua vocazione originaria; l’Assunta è l’icona escatologica della Chiesa. Essi, tuttavia, non accettano i due dogmi come appartenenti alla fede della Chiesa perché, dicono, non attestati dalla Scrittura, separano Maria dai comuni mortali, possono indurre a immaginare un parallelo con Cristo nato senza peccato e asceso al cielo e sono stati formulati dalla Chiesa cattolica senza un consenso universale. Nel segno della conversione, il gruppo ritiene che questi due dogmi non generano divergenze separatrici per cui è possibile un ritorno alla piena comunione, nel mantenimento di una libertà rispettosa delle posizioni del partner (Protestanti) e, nel rispetto del contenuto dei dogmi (Cattolici) (163 e 150).
b) L’identico discorso vale per la verginità perpetua e la presenza di Maria nella lode e nella preghiera cristiana. La parte cattolica riafferma l’urgenza di una purificazione del culto mariano da certe escrescenze non conformi al dato biblico e alla Tradizione ecclesiale, mentre la parte protestante si chiede di che tipo può essere l’onore che deve essere reso alla santa e beata Vergine (164), ripensando ad un ritorno alle origini della propria tradizione, con il recupero della memoria dei santi e di santa Maria nel culto domenicale e nei tempi forti liturgici, quali Avvento – Natale – Pasqua – Pentecoste e la restaurazione di alcune feste tipicamente cristologiche ma con forte presenza mariana, come l’Annunciazione, la Visitazione e la Presentazione al tempio, processo, questo, effettivamente in atto.
5.7. Conclusioni
Il documento conclude chiedendosi se le divergenze tra cattolici e protestanti siano tali da impedire la comunione ecclesiale. La risposta dei membri al n° 166 del documento del gruppo di Dombes è consolante:
"...tenuto conto delle proposte di conversione che completano il nostro percorso, non consideriamo più separatrici le divergenze rilevate. Al termine della nostra riflessione – storica, biblica e dottrinale, non troviamo più incompatibilità irriducibili, nonostante reali divergenze teologiche e pratiche. Quello che il Simbolo di fede ci trasmette viene unanimemente accettato: insegna che Gesù, "concepito per opera dello Spirito Santo, è nato dalla Vergine Maria". Abbiamo anche ricevuto la testimonianza della Scrittura. Abbiamo considerato Maria al cuore dello sviluppo della vita di Cristo nel suo Corpo che è la Chiesa. Questa considerazione è legittima, giacché è fondata sull’articolo di fede inserito nel Simbolo degli apostoli sotto il nome di "comunione dei santi".
Non ci si può nascondere, tuttavia, che rimangono ancora molte domande cruciali che non investono soltanto l’argomento Maria ma la concezione stessa del dogma, della Chiesa, della cooperazione alla salvezza, ecc. Infatti:
- E’ veramente possibile, sulla base della gerarchia della verità, chiedere un assenso di fede parziale?
- E’ veramente possibile leggere come tradizioni diverse, mutuamente non obbliganti, affermazioni relative alla perpetua verginità, alla partecipazione attiva di Maria alla storia della salvezza, la sua partecipazione piena, corporea, alla gloria del Figlio risorto?
- Maria non è il catalizzatore di un contenzioso profondo che tocca la stessa tradizione, il suo rapporto con la Scrittura e, a seguire, la soteriologia, l’antropologia, l’ecclesiologia?
Il documento di Dombes, pur non perfetto, ci invita di sicuro a fuggire dalla tentazione di ipotizzare ulteriori controversie dogmatiche e rimane un esempio di come continuare a camminare insieme con Maria, che da segno di divisione è ridiventata sorella e compagna di viaggio.