II. Maria e la S. Scrittura
CAPITOLO II
"IL BAMBINO CON MARIA SUA MADRE" IN MT 2.
1. Testo, tradizione, ambiente culturale ed ecclesiale di Mt 2, 1-23.
2. Stretta unione del "bambino con Maria sua madre" nella dignità e nella missione.
Matteo racconta così l’incontro dei Magi: "Ed entrati nella casa videro il bambino con Maria sua madre e prostratisi lo adorarono, e aperti i loro tesori gli offrirono i doni: oro, incenso e mirra" (Mt 2,11).
A questa espressione "il bambino con Maria sua madre" che nello stesso capitolo 2, leggermente variata ricorre quattro volte (vv. 13 – 14 – 20 – 21), non è stata dedicata dagli esegeti molta attenzione. Uno degli studi più significati è quello di Nellessen pubblicato nel 1968 con il titolo tedesco: "Das Kind und seine Mutter". Anche in tempi recenti si è ritenuto secondario il "Maria sua madre" in confronto al "neonato re dei Giudei" (2,3) e degli stessi Magi e il re Erode. Per far emergere dall’ombra "Maria sua madre" esaminiamo il posto che la frase ha nella struttura del testo, nella tradizione, nell’ambiente culturale ed ecclesiale della Chiesa mattiana e scopriremo, alla fine, delle sorprendenti conclusioni.
1. Testo, tradizione, ambiente culturale ed ecclesiale di mt 2, 1-23
1.1. La Madre del re-Messia nella struttura narrativa e letteraria di Mt 2, 1-23
1.1.1. Struttura narrativa
Sotto l’aspetto narrativo il racconto di Matteo ricorda motivi presenti in altri antichi racconti leggendari o mitici (ne vedremo in seguito la fondamentale differenza): il salvataggio di un "figlio di re" o di un "bambino straordinario", salvato dalla minaccia di morte derivante da un re malvagio. La trama si dipana così:
- visita dei Magi al "neonato re dei Giudei" (2, 1-12);
- opposizione del re Erode con il suo progetto di morte;
- salvataggio del re - bambino con la fuga in Egitto (2, 13-15);
- strage dei bambini (2, 16-18);
- ritorno dall’esilio a Nazaret (2, 19 – 23).
In questa trama narrativa dove prevale il codice geografico – spaziale su quello temporale, nelle tre sequenze in cui compare, Maria si presenta sempre unita al bambino, come colei che abita nella casa ove i Magi lo trovano e poi, sempre con lui, nella fuga e nel ritorno dall’esilio, sotto la regia dell’angelo del Signore e la guida silenziosa di Giuseppe.
1.1.2. Struttura letteraria
Passando dalla struttura narrativa a quella letteraria, si nota anzitutto il legame interno sentagmatico fra tre scene successive attraverso un participio aoristo, tipico di Matteo:
- 2,1 si lega a 1,25 : elemento comune: la nascita di Gesù;
- 2,13 si lega a 2,12: elemento comune: il ritorno dei Magi al loro paese;
- 2,19 si lega a 2, 15: elemento comune: la morte di Erode.
Inoltre c’è un legame formale costituito dall’oracolo ricevuto in sogno (2, 12.22) e dell’angelo che appare in sogno a Giuseppe (2,13.19). Questo secondo elemento di unità letteraria, come quello sintagmatico, è assente dalla scena della strage dei bambini, ove non compare "il bambino e sua madre" perché sono già scampati con la fuga in Egitto.
La scena più lunga e riccamente strutturata in cui compare Maria è quella dei Magi, delineata dalla inclusione narrativa: l’arrivo dei Magi all’inizio (2,1) e il loro ritorno in Oriente al paese d’origine (2,12).
Secondo B. Buetubela, vi è una struttura concentrica intorno ai vv. 4-6:
A |
Arrivo dei Magi a Gerusalemme |
1 |
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B |
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Dov’è il neonato re dei Giudei La sua stella Il progetto di andare ad adorarlo |
2 |
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C |
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Il re Erode e Gerusalemme turbati |
3 |
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D |
Dove deve nascere il Cristo? A Betlemme |
4-6 |
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C1 |
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Il re Erode si fa precisare il tempo di apparizione della stella per il progetto (falso) di andare ad adorarlo |
7-8 |
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B1 |
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La stella si ferma dove c’è il bambino e sua madre e i Magi possono adorare il neonato re dei Giudei |
9-11 |
A1 |
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Ritorno dei Magi al loro paese |
12 |
Concentriamo la nostra attenzione sui vari parallelismi:
- la stella segno del neonato re del v. 2, riappare nei vv 9-11;
- il progetto di adorare il neonato re del v. 2, si realizza nel v. 11;
- il bambino del v. 11 altro non è che il "neonato re dei Giudei" del v. 2:
- di questo bambino Maria è la madre, quindi è la regina – madre del neonato re;
- la casa in cui lei abita con il neonato re è, in modo paradossale, un’abitazione regale.
- l’adorazione e l’omaggio dei doni da parte dei Magi, sulla scorta degli antichi ricordi di Salomone e degli annunci profetici, rivelano la dignità regale del bambino e la dignità regale di Maria regina – madre;
- I Magi venuti dal misterioso Oriente, sconosciuto e lontano, rappresentano tutte le genti che riconoscono in Gesù il Messia – re e in Maria la regina – madre, mentre Erode e Gerusalemme si ritrovano turbati e ostili.
Le scene seguenti dove ricompare "il bambino e sua madre" presentano una struttura articolata in due momenti successivi: il comando dell’angelo (2,13.19,20) e la sua esecuzione (2,14.21). Illuminante è il fatto che le tre scene successive alla visita dei Magi, si concludono tutti e tre con una profezia di compimento:
- 2,15: Fuga in Egitto: "Dall’Egitto ho chiamato mio Figlio":
- 2,18: Strage dei bambini: "Un grido è stato udito in Rama – un pianto e un lamento grande – Rachele piange i suoi figli – e non vuole essere consolata perché non sono più";
- 2, 23: Ritorno a Nazaret: "Sarà chiamato nazareno".
Soprattutto significativa à la profezia di 2,15 perché se il "Figlio" re – Messia è anche il Figlio di Dio, ne consegue che la regina – madre del "neonato re dei Giudei" è anche madre del Figlio di Dio, affermazione coerente con quanto già detto al cap. 1 ove Gesù, in base alla profezia di Is 7,14, viene detto "Emanuele", "Dio con noi" (1,23).
Nella sequenza dei Magi, Maria appare da sola col bambino. Giuseppe, infatti, protagonista delle altre tre scene (prima – terza – quarta) qui scompare, forse in modo discreto per riconfermare quanto detto al cap. 1 (1,18-25) e cioè che Maria aveva concepito per opera dello Spirito Santo e non per opera d’uomo. Questo è confermato dal fatto che è Maria il personaggio principale con cui inizia il racconto della nascita e si conclude quello dei Magi: [inizio] "Essendo Maria sua madre fidanzata a Giuseppe…."(1,18); [fine] "Entrati nella casa videro il bambino con Maria sua madre" (2,11).
I due racconti della nascita e dell’adorazione hanno quindi un legame tra di loro che è costituito proprio dalla singolare presenza di Maria. Giuseppe è implicito nella vicenda come suo sposo, custode del mistero e mediatore della regia divina di salvare Gesù, ma scompare dove la sua presenza non è necessaria. Ivi compare solo "Maria sua madre" perché il padre di Gesù è un altro, come risulta dalla citazione del profeta Osea in 2,15.
Dallo studio della struttura narrativa e letteraria, si riesce dunque a trarre dall’ombra Maria, madre del bambino. Già silenziosa destinataria dell’azione dello Spirito Santo nel concepimento di Gesù che libera il popolo dai peccati ed è l’Emanuele (1, 18-25), ora Maria si rivela, sempre in grande silenzio, la regina – madre del "neonato re dei Giudei" e del Figlio di Dio, sempre unita a Gesù nel mistero, nell’adorazione dei Magi, nella fuga e nel ritorno che prefigurano la sua morte e la sua futura resurrezione.
1.2. Dalla tradizione alla redazione: da madre del Messia a madre del Figlio di Dio
Da questa affascinante composizione dell’evangelista, certamente tardiva, verso l’80 o forse dopo, possiamo risalire indietro verso la tradizione da cui Matteo ha attinto e che certamente si localizza nei primi decenni dopo la morte e resurrezione di Gesù?
1.2.1. La tradizione
Questo viaggio alle fonti è stato tentato da diversi autori che hanno utilizzato la critica redazionale che si avvale della stilistica e dell’analisi delle forme letterarie che si ripetono, come ad esempio, l’apparizione dell’angelo in sogno.
Quali sono i risultati per quanto riguarda la figura di Maria?
Sia l’espressione "con Maria sua madre" (2,11), sia l’altra: "il bambino e sua madre" (2, 13.14.20-21) appartengono alla tradizione precedente come pure la qualifica del bambino come "neonato re dei Giudei", che apparirà poi solo nel contesto della passione e la tragica fine sulla croce (Mt 27,11.29.37). La minaccia della morte da parte di Erode era dunque preludio della sua futura morte, decretata da un funzionario romano, Ponzio Pilato. In questa prima parte della Tradizione, Maria vi figura come regina-madre del re dei Giudei, riconosciuto e adorato dai Magi.
1.2.2. La Redazione finale
Nella redazione finale Matteo aggiunge il commento profetico (2,15). E’, dunque, il Padre stesso che per mezzo del profeta dichiara la dignità singolare e divina di Gesù. E’ un caso classico di quello che viene chiamato il "sensus plenior" o spirituale, senso storicamente non originario, ma leggibile nel testo com’è attualmente, in relazione ad un evento nuovo, la fuga di Gesù in Egitto e il suo ritorno dopo la morte di Erode, ovviamente nella cornice più ampia della sua morte e resurrezione. In questo nuovo contesto redazionale, Maria viene riconosciuta "Madre del Figlio di Dio". Il senso prevalente di "Figlio di Dio", sia nella comunità che nei testi di Matteo (Mt 16,16; 26,63) è, infatti, quello cristologico più che quello messianico.
1.3. L’originalità della tradizione prematteana alla luce di "Maria sua madre"
Le vicende narrate da Mt 2, 1-23 (neonato re cui rendono omaggio dei sapienti venuti dall’Oriente, mentre un re malvagio lo vuole eliminare e tuttavia egli viene salvato da un intervento particolare di Dio) hanno messo in moto, già nel secolo scorso, la ricerca storico – religiosa di leggende o miti paralleli. Alcuni autori, tra cui il Luz, elencano ben 14 racconti di "figli di re" o "uomini straordinari" la cui vita è minacciata e poi salvata. Dei sei motivi ricorrenti e presenti in tutti, ci interessano i primi 5:
1. Sogno o segno nel cielo (quasi sempre una cometa);
2. Interpretazione del segno o del sogno;
3. Ansia del re minacciato nel suo potere;
4. Uccisione di bambini;
5. Salvezza del personaggio minacciato mediante un sogno o altro.
Sebbene a prima vista sembri il contrario, i racconti paralleli sono ben lontani dal racconto matteano. L’accostamento più prossimo è indubbiamente quello del salvataggio di Mosè dove il motivo di contatto è dato dal parallelismo tra Mt 2,20b e Es 4,19: "Sono morti coloro che cercavamo la vita del bambino". Analizzando i 14 racconti, balza subito all’occhio un dato singolare e originario del racconto di Matteo, costituito proprio dalla "madre del bambino", una vergine che diviene madre per opera dello Spirito Santo, per cui Giuseppe è sposo di Maria ma non padre del "neonato re dei Giudei". In nessuno degli altri racconti si trova questo motivo. In più la dignità regale del bambino non è dimostrata da segni esterni, ma solo da una oscura genealogia davidica premessa al racconto della natività (1, 1-17) che viene bruscamente interrotta in quanto Giuseppe non è il padre naturale di Gesù. Lo stesso riconoscimento di Gesù "re dei Giudei" con "Maria sua madre" non avviene come per Salomone nella sfarzosa cornice di una reggia (1Re 10,2) ma in una casa comune è il re non è un sapiente famoso in tutto il mondo, ma un silenzioso bambino. Se il racconto echeggia le profezie di Is 60,6b e Sal 72,10 e vi fa cornice una tradizione davidica (Mt 2,6b = 2 Sam 5,2), lo sfondo non è però Gerusalemme ostile a Gesù, come nelle profezie, ma la piccola borgata di Betlemme, ricca solo della gloriosa memoria di Davide. Un altro singolare paradosso: mentre Erode vuole eliminare il presunto rivale e Gerusalemme appare indifferente, i Magi, gentili venuti dall’Oriente, vengono invece a riconoscere, adorare e rendere omaggio al re/Messia.
Maria, madre del bambino, partecipa a questa serie di paradossi che evidenziano la singolarità del racconto e del neonato bambino, passivo e silenzioso personaggio principale insieme a sua madre, mentre il regista è fuori campo e si serve di oracoli, angeli e di una stella che, secondo la credenza allora comune, indica l’inizio di un’era nuova. Maria, madre del bambino e personaggio reale, costituisce la singolarità originaria che distingue il racconto matteano dai racconti mitici e rivela la singolarità del bambino, Messia e Figlio di Dio (2, 21-22).
1.4. Maria, madre del bambino, accoglie le genti nella Chiesa
Il racconto dei Magi presuppone chiaramente la predicazione del Vangelo e la conseguente apertura della Chiesa ai gentili e, al tempo stesso, il rifiuto ufficiale della fede da parte del mondo giudaico a JHWH, avvenuto dopo la distruzione di Gerusalemme. Questa è la situazione in cui viene a trovarsi la comunità per cui Matteo scrive il suo Vangelo. Ora, sotto questo punto di vista, sembra che la comunità matteana abbia ravvisato in "Maria, madre del bambino", colei che per prima ha accolto i Magi – gentili nella casa ove con lei abitava Gesù, Messia e Salvatore ed era figura della Chiesa – madre che accoglie tutti, ebrei e gentili, ed offre loro Gesù che abita in essa (Mt 28,20; Cfr. 18,20 e 1,23). La profezia di Gesù in Mt 8,11, in risposta alla fede del centurione pagano: "Vi dico che molti verranno da oriente e da occidente e siederanno a mensa con Abramo e Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli", viene anticipata in modo narrativo - aggadico nella venuta dei Magi da Oriente. La "casa" in cui i Magi entrano e Maria che li accoglie e presenta loro il bambino Gesù, raffigurano la Chiesa in cui, accolti, troveranno e adoreranno il loro Salvatore.
2. Stretta unione del "bambino con maria sua madre"
nella dignità e nella missione: esegesi di Mt 2,11.13-14.20-21.
Quello che abbiamo detto finora lo abbiamo acquisto esaminando la struttura letteraria del testo e risalendo alla tradizione da cui esso ha tratto origine, configurata nella cornice più vasta delle profondità storica che arriva sino a Mosè e Davide. Adesso vogliamo ritornare al testo centrale su Maria, madre del bambino, per fare un’esegesi più accurata. Si tratta del v. 11, dove Maria è più ampiamente e singolarmente presente:
1. "ed entrati nella casa" (eis ten oikían)
A differenza di oikos che significa "camera", oikía significa solo "casa" o "abitazione". Si tratta, quindi, di una casa vera in cui abitavano Maria e il bambino.
2. "videro" (eídon)
Mentre il verbo orao esprime l’azione di vedere del soggetto, eídon orienta l’attenzione verso l’oggetto che si vede. Qui sottolinea ancora, nel contesto linguistico, il significato di "visitare": una visita ufficiale di personaggi importanti al "neonato re dei Giudei".
3. "il bambino con Maria sua madre"
- L’espressione è nuova anche rispetto a Es 4,20 (ove a precedere è la moglie di Mosè e non la madre seguita dai figli) e si ripete quasi invariata 4 volte nel racconto (2, 13-14.20.21). La novità è la messa al primo posto del bambino e poi della madre (e non la sposa) per significare la sua eminente dignità;
- "Maria" è il nome della madre scritto nella forma grecizzata che si legge anche in Mt 1,16.18 (3 volte in tutto), mentre in Mt 1,20 e 13,16.18 si ricorre alla forma aramaica che proviene dalla tradizione originale (Mariám);
- la "madre di Gesù" compare 15 volte in Matteo di cui 13 in 1-2. L’apposizione "madre sua" ricorre in 1,18 1 in 2,13 – 4, 20-21; 13,55. "Maria la madre di Gesù" deve essere stata una formula cristallizzata nella tardiva trazione cristiana (cfr. anche Lc 2,34), come risulta anche dalla più tardiva tradizione giovannea dove appare solo "la madre di Gesù" (Gv 2, 1.3.5. e 19,25);
- Maria viene identificata come la "madre sua (di Gesù)", una qualifica d’onore dato che si tratta del "neonato re dei Giudei", del Messia. Nessun equivalente per Giuseppe, che qui scompare del tutto.
4. "prostratisi…….e aperti i loro scrigni"
- I due participi descrittivi preparano due azioni compiute dai Magi: adorarono e gli presentarono i loro doni. Il verbo proskunéo ha qui il doppio significato di "rendere omaggio al re" e "adorare una divinità". Nella trama narrativa ha una particolare importanza in quanto rappresenta il progetto dei Magi (2,2,) e il controprogetto di Erode (2,8). Giunti davanti al neonato bambino figlio di Maria, il primo gesto che essi compiono è proprio l’adorazione – omaggio regale. Matteo, infatti, usa proskunéo in relazione a "re" e al "regno" come fa in 4, 8-10; 18, 23ss e 20,20ss;
- I Magi offrono al "bambino con Maria sua madre" tre doni: oro, incenso e mirra:
1. oro: questo vocabolo viene usato 9 volte da Matteo, due volte da Luca, una da Marco e nessuna da Giovanni. In molti passi dei Sinottici il termine ha una sfumatura cultuale (Mt 5,23-24; 8,4; 15,5; 23,18-19; Mc 7,11: Lc 21,1) e indica qui la qualità superiore del destinatario e, sullo sfondo, quella di sua madre;
2. Incenso: ricorre solo due volte nel N.T. (qui e in Ap 18,13);
3. Mirra: pure raro nella Bibbia (qui e in Gv 19,39): mentre Giovanni lo menziona come prodotto aromatico per imbalsamare i morti, Matteo ne valuta solo la preziosità.
Tutti e tre i dono esprimono quindi ricchezza, in quanto materie rare e preziose.
Il gesto dei Magi di portare queste ricchezze al regale "bambino con Maria sua madre", allude a molti testi di Isaia, Michea e dei Salmi che annunciano un pellegrinaggio delle genti a Gerusalemme per adorare il vero Dio e offrigli i loro doni (Is 2, 2-3: 45,14; 60, 1-6; Mic 4, 1-2; Sal 72,11). Nei doni dei Magi, dunque, la tradizione prima e l’evangelista poi hanno visto il compimento della Scrittura, anche se in modo diverso e cioè:
1. non a Gerusalemme ma a Betlemme, da cui verrà "la guida che pascerà il mio popolo Israele" (Mt 2,6; Mc 5,2 e 2Sam 5,2);
2. non nella reggia di JHWH ma in una casa dove abita "con Maria sua madre";
3. non per adorare JHWH e ricevere in dono la Torah, ma per adorare un neonato bambino, riconosciuto come re – Messia, il cui compito sarà quello di portare ad ebrei e gentili il regno di Dio. Qui si conclude il pellegrinaggio delle genti rappresentati simbolicamente dai Magi: ai piedi di Maria madre del bambino, nella sua abitazione. Maria è dunque il trono regale su cui siede il re – Messia adorato da tutti i popoli;
Questa grandiosa scena si chiude drammaticamente nella fuga perché il "bambino e sua madre" devono essere portati in salvo a causa dell’incombente minaccia di Erode. E’ Giuseppe che condurrà in Egitto "il bambino e sua madre" per ricondurli poi entrambi, morto Erode, nella "terra di Israele" e insediarli nell’oscura borgata di Nazaret, così oscura da far disperare l’evangelista nel trovare una profezia specifica che la riguarda (2,23);
Maria, madre del bambino, è un tutt’uno con lui, nell’omaggio regale dei Magi, nella fuga e nel ritorno. Giuseppe, colui che dietro incarico divino ha il compito di salvare sia il bambino che la madre, non viene qualificato né come sposo, né come padre, per quanto il lettore sappia che già egli è sposo di Maria madre vergine di Gesù (Mt 1. 18-25).
3. Conclusione
Quali conclusioni si possono trarre da tutto quello che è stato detto fin qui? Esse possono essere brevemente così riassunte:
1. L’analisi strutturale del testo ci ha fatto comprendere che Maria, madre del bambino, va qualificata come regina – madre del "neonato re dei Giudei" e ancor più "madre del Figlio di Dio";
2. La storia della formazione del testo che va dalla tradizione alla redazione, ci ha fatto scoprire l’itinerario di un’esplicitazione progressiva della dignità di Gesù cui è legata quella della madre: nella tradizione cristiana primitiva Gesù era considerato "Messia/re dei Giudei" e Maria, di conseguenza "madre del re/Messia", mentre nella redazione matteana Gesù diventa il "Figlio di Dio" (e non di Giuseppe), per cui Maria è "madre del Figlio di Dio";
3. Il confronto con i racconti paralleli ha fatto emergere il dato singolare e originale della narrazione matteana, proprio a partire dalla peculiarità della madre – vergine. Ai Magi ella compare col bambino in primo piano, ma assente Giuseppe, rimandando in tal modo, se pure indirettamente, alla concezione per opera dello Spirito Santo. La madre singolare rivela un bambino singolare che, annunciato da un astro nuovo, dovrà portare un'era nuova;
4. Le caratteristiche della formazione del testo nell’ambiente ecclesiale di Matteo ci hanno presentato Maria, madre del bambino Messia e Salvatore, come colei che accoglie nella Chiesa di Gesù, figurata dalla casa, le genti del mondo ed è perciò simbolo della comunità cristiana che accoglie tutti gli uomini per donare loro Gesù;
5. L’esegesi minuziosa del testo ci ha fatto comprendere l’unità inscindibile del "bambino con Maria sua madre". Ella partecipa alla dignità del Figlio re – Messia e Figlio di Dio come sua madre; partecipa alle sue vicende gioiose e dolorose formando un tutt’uno con lui. Da qui ha origine l’icona di Maria con Gesù in braccio, radicata sia in Oriente che in Occidente che riassume pittoricamente il messaggio di Mt 2 sul "bambino e sua madre".
CAPITOLO III
MAGNIFICAT, IL CANTO DELLA LIBERAZIONE MESSIANICA (Lc 1, 46-55)
1. Introduzione generale sul magnificat
2. Parte I: discorso spirituale – religioso incentrato su Maria (Lc 1, 46-50)
3. Parte II: Discorso politico – religioso incentrato sulla storia mana (Lc 1, 51-53)
4. Parte terza: discorso etnico – religioso incentrato su israele (Lc 1, 54-55)
1. Introduzione generale sul magnificat
Il Magnificat è il locus theotologicus per eccellenza, il testo centrale della mariologia socio - liberatrice ed esprime, per così dire, la teologia di Maria, una sua auto-teologia, il primo risultato delle riflessioni di Colei che serbava tutti gli eventi e li meditava nel suo cuore.
Quello che ne esce è una sorprendente espressione di teologia della liberazione, per cui - secondo il Card. Ratzingher - la vera teologia della liberazione, è un eco fedele del Magnificat di Maria. Tutti gli autori, anche non cattolici, riconoscono la dimensione sociale e il potenziale libertario di questo inno, la Magna Carta dove comincia la dottrina sociale della Chiesa, dato che proclama il rovesciamento dei potenti dai troni e l’innalzamento degli umili, la consolazione dei poveri e l’umiliazione dei ricchi.
1.1. Letture riduttive del Magnificat
Vi sono alcune letture interpretative del Magnificat che devono essere scartate per non mortificare il suo completo significato. Esse sono:
- la lettura "spiritualistica" per cui i potenti e i ricchi sono gli orgogliosi e i poveri e gli affamati sono gli umili. Padri e dottori della Chiesa vi hanno letto questo significato (Cirillo d’Alessandria, S. Bernardo, Ugo di S. Vittore ecc.), ma ridurlo solo a questo, significa andare verso l’astoricismo di stampo agnostico. In questa visione non si leggono, infatti, le mediazioni storiche del maligno, come ad es. fa l’Apocalisse, cioè si interpreta il canto senza alcun significato per e nella storia e lo si rende socialmente insignificante;
- la lettura "spiritualistica – moderata" che accetta il senso realista del Magnificat, ma lo mette in sordina, vanificandone il significato a favore dell’interpretazione spiritualistica;
- la lettura "militarista" che vede in Dio il "Signore degli eserciti" e considera il Magnificat come l’invito ad una guerra santa, contrassegnata dallo spirito di odio e di violenza.
- la lettura "militarista – moderata" che oltre alla lettura militarista, riconosce anche il significato religioso dell’inno, dandogli però un posto secondario.
1.2. Doppia chiave di lettura
Perché la lettura del Magnificat sia integrale, bisogna interpretare l’inno in una doppia luce:
- alla luce dell’Esodo per rilevarne la dimensione etico – sociale e storica, dimensione che riguarda soprattutto Israele;
- alla luce della Pasqua per rilevare la dimensione soteriologia ed escatologica della liberazione messianica, dimensione che riguarda soprattutto la Chiesa.
Questa doppia lettura può essere graficamente raffigurata in questo modo:
Esodo ® MAGNIFICAT ¬ Pasqua
Il Magnificat appare dunque un canto aperto e inclusivo, primieramente soteriologico, ma che contiene anche un "messianismo politico" come una sua dimensione interna. La dimensione sociale del Magnificat, non può essere quindi sottaciuta e la Chiesa deve riscoprire e valutare anche questa dimensione se vuole fare un discorso completo sui poveri e sugli oppressi.
1.3. Magnificat: canto di sintesi tra fede e vita
Secondo Hőring:
- il Magnificat, incarna la sintesi tra lode di Dio e umile servizio del prossimo per cui nel suo carattere "sinfonico" esso è un punto di incontro tra diverse categorie di persone: liberali e carismatici, cattolici e protestanti, cristiani e non cristiani, credenti e non credenti, uomini e donne ecc;
- nel Magnificat echeggiano le attese fortemente terrestri e storiche tipiche dell’AT e la realizzazione della salvezza escatologica, inaugurata dalla Pasqua e della Pentecoste nel NT. La fede cristiana comprende, esprimendosi nel Magnificat, che la salvezza ultima deve e può realizzarsi anche nella società storica in termini di liberazione sociale e che questa liberazione è e deve essere protesa verso il traguardo escatologico;
- Il Magnificat è la sintesi tra l’escatologico e lo storico: le realtà ultime attraversano e superano allo stesso tempo le "realtà penultime".
1.4. Contesto del Magnificat
1.4.1. Contesto remoto
E’ lo sfondo sociale in cui si trovava a vivere Maria di Nazaret che si può riassumere in questi tratti:
a) povertà socio – politica dovuta al sistema coloniale romano basato sul latifondo e il regime delle imposte;
b) dominazione socio – politica da parte di un potere straniero e pagano sostenuto dalle sue legioni;
c) oppressione ideologico – religiosa ad opera del sistema farisaico;
d) sommosse rivoluzionarie da parte degli zelati;
e) attesa di una liberazione apocalittico – messianica da parte delle folle stanche e sfinite, abbandonate alla deriva come pecore senza pastore.
1.4.2. Contesto immediato
E’ l’episodio della Visitazione che narra un incontro che ha questi caratteri rilevanti:
a) sono due donne ad incontrarsi, fatto che contesta fortemente la subordinazione della donna nella società patriarcale palestinese;
b) sono due donne povere, ambedue disprezzate, l’una perché sterile e l’altra perché vergine;
c) sono due donne incinte e quindi "benedette" perché portatrici della vita, delle quali una porta anzi la Vita per eccellenza.
1.5. Origine letteraria del Magnificat
L’ipotesi più probabile è questa:
- a partire da qualche frase di lode detta da Maria stessa nella Visitazione, la primitiva Chiesa giudeo – cristiana, forse anche una comunità di anawin convertiti, avrebbe ampliato questa breve dossologia in un salmo vero e proprio che cantava le meraviglie compiute da Dio in Gesù Cristo e che lo ringraziava per la salvezza manifestata nell’evento della resurrezione;
- Luca avrebbe ripreso questo canto e lo avrebbe rielaborato liberamente, facendo in esso riecheggiare anche il contesto di persecuzione politico – religiosa che la Chiesa in quel momento stava soffrendo e trasformando il Magnificat anche in un inno dei perseguitati e dei martiri (80 d.C. circa). Egli poi pone questo inno interamente sulle labbra di Maria, facendone la portatrice dei sentimenti dei sentimenti della Chiesa in un contesto di sofferenza, perché pensa a Lei come alla Serva del Signore, povera e perseguitata con e come suo Figlio.
Si potrebbe concludere, quindi, che se anche il Magnificat non fosse stato composto da Maria, potrebbe in verità esserlo perché, secondo Luca, corrisponde perfettamente ai suoi sentimenti. La prima Chiesa ha sentito la Madre di Gesù come la figura più autorevole per pronunciare il Magnificat della Comunità povera e sofferente. Maria si eleva quindi a rappresentante privilegiata di tutti i poveri.
1.6. Maria nel Magnificat: la Chiesa degli Anawin
Al di là di questa interpretazione è certo che Maria emerge nel Magnificat come la personificazione o il tipo del Popolo di Dio di tutti i tempi, per cui i cristiani di oggi devono riprendere questo inno e riviverlo nella fede e nella pratica con la mens di Maria di Nazaret, secondo le parole di S. Agostino: "In ognuno di voi sia l’anima di Maria a magnificare il Signore; in tutti noi sia lo spirito di Maria a esultare in Dio". Il Magnificat si pone dunque tra passato, presente e futuro in questo doppio rapporto:
Chiesa primitiva ® MAGNIFICAT ¬ Chiesa del III millennio
Questa lettura non deve trascurare l’ottica dei poveri su cui il Magnificat è centrato, dato che è proclamato da una povera e dalla Chiesa dei poveri e perseguitati e questo per riscoprire tutta la sua potenza liberatrice nei confronti degli ultimi. Tutto il Magnificat, infatti, è risonante delle voci dell’AT e mostra una Maria - Chiesa impregnata di fede biblica, una fede fortemente messianica e liberatrice che guarda all’Esodo e all’avvento del Messia. Maria è l’Israele in cui si realizzano le promesse.
1.7. Struttura del Magnificat
1.7.1. Divisione del Magnificat
Il Magnificat può essere suddiviso in tre parti, secondo la valida formula suggerita da J. Dupont:
I Parte: discorso spirituale – religioso (vv. 46 – 50: da. "L’anima mia…" a "santo è il suo nome"). Questa parte è centrata sulla serva (doúlee), e canta il Potente (Dynatós) che ha fatto grandi cose (megála) in favore della Vergine. Domina qui la misericordia di Dio (élios).
II Parte: discorso politico – religioso (vv. 51-53: da: "ha spiegato la potenza…" fino a "mani vuote"). Questa parte è centrata sugli umili (tapeinoús) e parla dei prepotenti (dynástas) contro i quali Dio ha fatto prodezze, rovesciandoli dai troni (katheîlen). Domina qui la potenza di Dio (krátos).
III Parte: discorso etnico – religioso (vv.54-55: da: "ha soccorso" fino a "sua discendenza per sempre").Questa parte è centrata su Israele.
1.7.2. Nell’Ottica di una mariologia liberatrice
Nell’ottica di una mariologia liberatrice con cui stiamo leggendo il Magnificat, la parte centrale del canto è costituita dai vv. 50 – 53 ed è costituita da tre contrapposizioni:
1. contrapposizione tra i superbi che saranno dispersi da Dio ai timorati di lui, verso i quali egli stende invece la sua misericordia;
2. contrapposizione tra i potenti che saranno rovesciati e gli umili che saranno innalzati;
3. contrapposizione tra i ricchi che saranno svuotati e gli affamati che saranno invece ricolmati.
Questa parte centrale è preceduta dalla prima parte dominata dalla figura di Maria ed è seguita dalla terza parte che pone in rilievo la figura di Israele. Le due figure, la prima e l’ultima si incontrano in quanto sia Maria che Israele sono "servi del Signore". In riferimento a Maria si parla della sua "umiliazione" a cui corrispondono le "grandi cose" operate da Dio in lei (aspetto religioso – soteriologico); in riferimento ad Israele si parla delle "promesse" che si stano compiendo definitivamente (aspetto etico – religioso).
Ecco dunque lo schema generale del Magnificat secondo questa suddivisione e interpretazione:
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DIO |
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▼ |
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▼ |
Maria "serva" |
▼ |
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Umiliazione |
◄► |
Beata/grandi cose |
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Superbi |
► |
Dispersi |
◄ |
versus |
► |
Timorati |
► |
Misericordia |
Potenti |
► |
Rovesciati |
◄ |
versus |
► |
Umili |
► |
Innalzati |
Ricchi |
► |
Vuoti |
◄ |
versus |
► |
Affamati |
► |
Ricolmi |
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Soccorso/ Misericordia |
◄► |
Promesse |
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▲ |
Israele "servo" |
▲ |
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▲ |
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||||||
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DIO |
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2. Parte I: discorso spirituale – religioso incentrato su maria
(Lc 1, 46-50)
2.1. L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore (46-47)
Il Magnificat è un canto estatico di esaltazione che mutua il suo linguaggio dalla Bibbia in cui Maria, senza perdere la propria identità e la propria coscienza di sé, parla di Dio alla cugina e al mondo. Questi due versetti iniziali ci donano il clima generale di esultanza che attraversa tutto l’inno ed esprimono un’attitudine spirituale, oltre che quella psicologica, segnata dal fervore e dalla sovrabbondanza dello Spirito. Alla base di questo fervore c’è un’esperienza: quella dello Spirito e della sua potenza di vita e di salvezza. La causa è "Dio Salvatore" arrivato nel suo grembo. E’ dunque la gioia della salvezza escatologica e cioè definitiva. Il Magnificat è dunque un canto messianico che ha come fondamento vivo e come ultimo traguardo la liberazione soteriologia. Il Dio che Maria canta ed ha nel suo grembo è essenzialmente un Dio "Salvatore".
2.2. Perché ha guardato l’umiltà della sua serva (v.48a)
2.2.1 Significato di Tapeinosis
Che significato ha il termine tapeínosis umiliazione – umiltà che è l’idea centrale di tutto il versetto? Questo termine ha due sensi basilari:
- umiliazione reale, come afflizione, oppressione, disgrazia, bassa condizione sociale, insignificanza di fronte alla storia, anonimato, nullità, mancanza di influenza;
- umiltà spirituale e quindi indica un atteggiamento del cuore di chi si sente piccolo davanti a Dio.
Che senso ha il termine nel Magnificat? Gli studiosi si dividono per ragioni diverse:
a) Significa "umiliazione" perché il termine è spesso usato in questa accezione nella Bibbia (A 8, 33; Fil 3,2 Gcm 1.10) e perché il NT per indicare "umiltà" usa un altro termine e cioè tapeinofrosyne (Mt 11,29). Per ragioni teologiche Maldonado (+ 1583) afferma che Maria non poteva dichiararsi "umile" perché sarebbe stato come un atto di orgoglio dichiararsi umile davanti a Dio, dato che solo Lui è in grado di discernere la vera umiltà dei suoi servi.
b) Significa "umiltà" perché secondo il contesto degli ultimi libri dell’AT e nel pensiero del giudaismo extra biblico del II secolo a. C. fino al I secolo d. C. i tapeínoi sono gli umili che assumono davanti a Dio un atteggiamento caratterizzato da pietà, abbandono ossequiente, fiducia, sottomissione amorosa ecc.
In realtà l’una interpretazione non esclude l’altra nel senso che Maria riconosce la propria umiliazione, in genere sociale ma anche antropologica e ne fa un atteggiamento coscientemente assunto in forma di timor di Dio e di consegna fiduciosa nelle sue mani. Questa sintesi fa parte del concetto tardo – giudaico di anawah. Anawim sono infatti allo stesso tempo gli oppressi e i timorati di Dio
2.2.2. Quale umiliazione?
In che cosa consiste concretamente l’umiliazione della Vergine?
a) forse le dicerie di parenti e vicini sulla sua gravidanza misteriosa;
b) forse la sua stessa condizione di "vergine" che, nell’AT è considerata segno di povertà e di disprezzo;
c) forse la sua condizione generale di vita, senza rilievo sociale o d’importanza storica. Questa è l’interpretazione più ampia che può anche accogliere le altre due.
Questa donna umiliata e poi resa feconda è assunta qui a simbolo di Israele, Popolo umiliato e reso fecondo nella storia e a simbolo di tutta la Chiesa dei poveri, allora insignificante per la sua piccolezza e debolezza.
2.2.3. Ha guardato
Nella versione dei LXX è usato 40 volte e per 14 volte nel senso di "vedere". Il senso è chiaro: Dio si inchina sul misero, sta attento al debole, si pone dalla parte del povero. Il suo sguardo di misericordia e segno della sua sollecitudine liberatrice: "Ho visto la miseria del mio popolo……..e sono sceso per liberarlo" (Es 3, 7-8). Qui indica anche la scelta personale di Maria da parte di Dio, nella logica del suo scegliere salvifico: guarda agli umili, per riabilitarli e liberarli.
2.2.4. Serva "Doulee"
Nella Bibbia ha il duplice significato di un atteggiamento propriamente morale, ma anche di una missione particolare a beneficio degli altri. "Servo" è una categoria fondamentale per capire la storia della salvezza. Dio, infatti, usa i suoi servi per realizzare i suoi piani per cui essi sono come i suoi emissari o ambasciatori, gli esecutori della sua volontà. In tal senso "servo" è anzitutto una categoria di dignità e onore e vale per tutti i grandi servi di Dio della Bibbia: Abramo, Mosè, Giosuè, Davide, i Profeti e soprattutto il Servo di JHWH. Però "servo" rimane anche un titolo di umiltà perché indica che si sta al servizio di uno più alto di sé, al quale si dovrà rendere conto della propria missione.
2.3. D’ora in poi tutte le genti mi chiameranno beata (v. 48b)
Abbiamo qui già un indicatore della venerazione delle prime comunità cristiane verso la Madre del Signore. Questa affermazione e il macarismo di Elisabetta: "Beata colei che ha creduto", sono in nuce una protomariologia.. Questa è la base neotestamentaria del culto alla Vergine da parte della Chiesa, ma anche della devozione o pietà mariana del popolo umile verso la Madre di Cristo. Basta constatare la devozione millenaria e universale verso Maria, particolarmente da parte del popolo degli umili. Già Maria è presentata qui non come oggetto di studio, ma come persona viva e estremamente significativa, che suscita stupore, ammirazione e amore. Sotto l’aspetto socio – mariologico, possiamo dire che Maria con questa affermazione, diventa l’espressione viva della prima beatitudine che pone un nesso inscindibile tra povertà e beatitudine: la beatitudine del regno che è ricchezza suprema ed è pura liberazione dalla povertà umiliante. Con questo Maria si pone nella schiera delle grandi donne liberatrici d’Israele, come Giuditta, ma sarà la Liberatrice suprema, quella che ha schiacciato la testa al serpente, quella che ha generato il vincitore del drago.
2.4. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente, e santo è il suo nome (v. 49)
Il Magnificat è la memoria delle grandi cose compiute da Dio nella storia. L’avvento del Salvatore nel grembo di Maria è il culmine della storia magnifica e meravigliosa di Dio. Le "grandi cose" sono in realtà le grandi liberazioni di carattere collettivo, della storia del popolo di Dio:
1. La liberazione dall’Esodo egiziano e cioè l’uscita dalla oppressione e dalla schiavitù. Il Magnificat vi allude, usando il linguaggio dell’Esodo: "ha spiegato la potenza del suo braccio" (Es 3, 19-20)
2. La liberazione dall’Esilio babilonese e il ritorno nella Terra Santa. Il salmo 126, a tal proposito canta: "Grandi cose ha fatto il Signore per noi".
3. La liberazione messianico – escatologica, liberazione decisiva, operata dal Messia e che rimane aperta alla liberazione finale di tutto il cosmo dalla caducità e dalla schiavitù della corruzione (Rom 8, 19.21).
Oltre a queste liberazioni collettive, ci sono nell’AT anche liberazioni individuali, soprattutto quella dalla sterilità, cosicché i concepimenti prodigiosi dell’AT erano sempre carichi di un senso salvifico – liberatore, come per Sara (Gn 12,3), per Lia (Gn 30,13) e per Anna (1 Sm 2,1ss). In tal senso Maria prolunga anche la tradizione liberatrice delle grandi madri di Israele. Esse sono tutte donne, non rinchiuse in casa ma inserite negli eventi e nella mischia, che innalzano con forza i loro canti di liberazione.
2.5. Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono (v.50)
L’idea centrale del versetto è la misericordia (éleos) che si rivolge verso i timorati di Dio (foboumeenois). Il termine greco traduce qui due concetti veterotestamentari:
- hesed che significa amore di solidarietà, di reciprocità, di fedeltà;
- rahamin nel senso di amore affettivo come quello della madre, quindi viscerale.
Il termine usato dal Magnificat mostra quindi che il motivo ultimo dell’intervento divino nella storia non è il merito umano, ma la sola grazia e le libere promesse di Dio. Il Dio misericordioso opera le sue meraviglie in Maria in quanto essa è sua serva, che vive nell’umiliazione/umiltà; e nello stesso Israele, il servo che porta in sé le promesse messianiche. Alla misericordia di Dio fa riscontro al miseria dell’essere umano nel suo complesso morale, antropologico e ontologico. Tutta l’umanità è povera davanti a Dio e i poveri sono il segno e la memoria sociale di questa condizione esistenziale, comune a tutti. Maria e Israele rimangono come il sacramento e la memoria storica di questa verità: Dio è grazia, noi siamo peccato; Dio è promessa di fedeltà e noi infedeltà. Ma Maria dice anche che, nella condizione di radicale umiltà, l’uomo può aprirsi alla grazia e a Dio e accoglierlo nella sua pienezza salvatrice.
3. Parte II: Discorso politico – religioso incentrato sulla storia mana
(Lc 1, 51-53)
Come già detto, questo è il nucleo centrale del discorso liberatore del Magnificat, il cui tono qui diventa energico e poderoso. Dal caso particolare di Maria, si passa agli eventi più generali che riguardano tutta la storia. Se nella prima parte regna il parallelismo, qui regnano sovrane le contrapposizioni che raggiungono il loro apice nei versetti 52-53. Dalla scansione lirica della prima parte, si passa ad uno stile epico con un cambiamento totale di tono, vocabolario e ritmo. Il clima è completamente diverso, la terminologia è di intonazione militare e particolarmente efficace.
3.1. Il senso degli aoristi
In questa sezione ci sono sei aoristi che possono essere interpretati in diversi sensi:
- aoristi "incoativi" o "ingressivi" e segnalerebbero che le promesse divine hanno cominciato a compiersi in Maria. Il Magnificat proclama quindi l’inaugurazione dell’era messianica, del nuovo ordine del mondo, il cui principio Maria porta nel suo grembo. Nella "serva" la rivoluzione promessa da Dio ha preso il suo avvio e coinvolgerà anche la liberazione da parte dei nemici. E’ questo il senso più pieno e più giusto che però non esclude i due seguenti significati;
- aoristi "gnomici" o "sapienziali" per cui essi indicano l’atteggiamento costante di Dio nella storia, nella logica abituale della sua azione, quella di porsi sempre dalla parte dei deboli e dei poveri. Egli dunque è sempre portatore nella storia di grazia e di liberazione;
- aoristi "profetici" che rimandano ad un futuro storico ed escatologico per cui il Magnificat parla di una liberazione il cui traguardo è un mondo futuro che incomincia però sacramentalmente nella storia.
Non sfugge che il soggetto della seconda parte è Dio, protagonista della storia e definito come Onnipotente, Salvatore, Santo, Misericordioso. Gravi e profonde sono anche le antitesi:
- superbi e timorati: antitesi matrice delle seguenti le quali costituiscono le sue concretizzazioni sociali e quindi ha un carattere generico ed è più spiccatamente religiosa. I "superbi", infatti, lo sono nei pensieri del loro cuore e i "timorati" lo sono nei riguardi di Dio.
- potenti e umiliati: i potenti non sono semplicemente i governanti ma i tiranni della società umana, che sono le ipostasi socio – politiche dei superbi, mentre gli umiliati, sono i poveri e i deboli del popolo, ipostasi storica dei timorati;
- ricchi e affamati: "ricchi" non solo soltanto gli accumulatori di ricchezza, ma anche gli egoisti chiusi nella loro ricchezza e nei loro beni, alieni ai poveri. Essi sono l’ipostasi storica dei "superbi"; "affamati" non sono solo coloro che hanno fame, ma anche e soprattutto quello che sono lasciati nella fame e sono la figura socioeconomica dei "timorati".
3.2. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore (v.51)
Questo versetto ha una terminologia spiccatamente militare e in Maria torna ad agire il liberatore dell’Esodo, stendendo il suo braccio. Il "braccio" è chiaramente simbolo di potenza e mostra Dio come un guerriero che libera il povero dal potente e l’indigente dalle mani dello sfruttatore, perché esso è sempre funzionale al suo cuore misericordioso.
3.2.1. Ha disperso
Il termine indica la sconfitta dei nemici di Dio ed è anche questo un termine militare. Questa vittoria non è una vittoria che annienta il nemico come una distruzione, un massacro, un taglione rivoluzionario. Indica piuttosto un annullamento delle forze nemiche, una disgregazione delle sue schiere, la disarticolazione dei suoi progetti. Dio, insomma, anche quando vince e disperde, non vuole la morte del peccatore, anche se oppressore, ma che si converta e viva.
3.2.2. Nei pensieri del loro cuore
Dianoía cardías non significherebbe i "pensieri" ma piuttosto i propositi, i piani, i progetti o meglio ancora, le trame. Anche questo di stampo militare nel senso delle insidie che i superbi o prepotenti tramano contro i piccoli.
3.3. Ha rovesciato i potenti dai troni e ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli affamati e ha rimandato i ricchi a mani vuote.
Questi due versetti costituiscono un blocco particolare con una potente struttura simmetrica e incrociata. Disposti in forma chiastica, con una concentrazione eccezionale di antitesi, con versi essenziali, senza articoli, privi di preposizioni e congiunzioni, risultano estremamente vigorosi ed efficaci.
Se la prima parte del Magnificat appartiene al genere del ringraziamento, questa è del genere dell’inno ad alto contenuto sociale.
3.3.1. Realismo di Maria: denuncia profetica delle oppressioni degli umili
La Vergine vede le contraddizioni sociali, sa che nel mondo esistono potenti e oppressi, ricchi e affamati e denuncia la situazione, pone cioè a nudo gli antagonismi politici ed economici, dice la "verità" sociale, perché dalla verità soltanto può nascere la libertà. Non è quindi una denuncia che provoca il conflitto, ma essa riconosce che il conflitto è già in atto. Maria si presenta come una donna che ha coscienza critica, la prima che nella Chiesa mostra questa coscienza profetica.
3.3.2. La speranza di Maria: l’annuncio utopico della rivoluzione divina
Maria vede la storia come un processo dinamico aperto in avanti, defatalizzato, proclama cioè che il corso della storia può cambiare. Parla infatti del rovesciamento dei potenti e della riabilitazione degli oppressi, degli affamati ricolmati e dei ricchi svuotati, non però un cambiamento nel senso di una vendetta attuata nella violenza, ma bensì mediante la trasformazione delle situazioni globali.
Il Dio di Maria, il Dio biblico, è un Dio rivoluzionario che sorprende con il suo atteggiamento travolgente nella storia. L’idea di sconvolgimento o capovolgimento delle situazioni inique appartiene al concetto del Dio rivelato. Pur non esplicitando il progetto storico di una società come Dio la vuole, Maria ci pone sulla direzione di un mondo senza oppressione e senza fame in una società di libertà e di giustizia.
3.3.3. La rivoluzione di Dio
Per Maria Dio non è neutrale davanti all’oppressione e alla fame dei poveri. Egli si schiera senza ambiguità dalla loro parte perché è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo. Compie cioè una vera rivoluzione. Nelle parole di Maria e nella rivoluzione di Dio non c’è però nessun’ombra di odio o vendetta. Anzi l’opera di rovesciamento è opera della misericordia divina. Il Magnificat che non parla di "nemici" o "avversari", come ad es., il cantico di Anna al quale pure si ispira, predica una rivoluzione pura, la rivoluzione della gioia, la rivoluzione della misericordia.
3.4. Ha rovesciato… ha innalzato (v. 52)
Il versetto ci situa ad un livello socio – politico. Non si parla di rovesciamento del potere in quanto tale, ma del potere - dominazione che sfrutta e opprime i poveri, i piccoli e gli affamati. Sono rovesciati quindi i potenti - oppressori e i ricchi - sfruttatori e riabilitati gli umili e viene restituita loro dignità e prosperità.
Chi sono i potenti? Forse al tempo di Maria doveva essere popolare il caso del superbo Nabucodonosor che fu cacciato dal consorzio umano, mangiò l’erba come i buoi e il suo corpo fu bagnato dalla riguarda del cielo, come dice il Deuteronomio 4,30. Ristabilito nel suo potere egli riconobbe che Dio: "…può umiliare quelli che camminano nella superbia"(v. 34).
3.5. Ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote (v.53)
Questo versetto ci situa in un livello socio – economico e proclama che il Messia porterà anche in questo un radicale cambiamento: gli affamati saranno ricolmati e i ricchi spogliati. Si parla certo di fame spirituale ma anche di quella reale causata dall’ingiustizia.
I ricchi sono per il Magnificat gli epuloni di tutti i tempi: egoisti, godenti e sfruttatori ingiusti, persone che, secondo i profeti, hanno accumulato opprimendo e sfruttando i più deboli, creando una massa di affamati, di gente disorientata e priva di diritti. Maria proclama il rovesciamento delle sorti degli uni e degli altri.
Molti obiettano a questa prospettiva: ma è proprio vero? Vedendo la realtà storia anche attuale non si direbbe. Dove sono, infatti i ricchi mandati a mani vuote e gli affamati saziati se il mondo è pieno di miseria? Il Magnificat proclama che i poveri possono sempre avere fiducia in Dio perché la sua giustizia finirà col trionfare sull’iniquità, se non nell’oggi contingente della storia, sicuro nell’escatologia. Questo non vuol dire che bisogna rassegnarsi a questa situazione. Maria proclama che è nella storia che bisogna sfamare gli affamati e il cristiano deve essere come un fermento di giustizia e di libertà che opera nella storia concreta perché si realizzi la giustizia e la libertà secondo la prospettiva di Dio.
4. Parte terza: discorso etnico – religioso incentrato su israele
(Lc 1, 54-55)
Dopo la scansione epica e di grande valore appena chiarita, il cantico della Vergine si rasserena entro un ritmo più posato e si chiude in modo soave. La Vergine che inizia con le meraviglie operate da Dio in Lei e termina con le promesse fatte ad Israele, si situa tra la Chiesa ed Israele, come ponte che unisce i due Testamenti. Infatti proprio a partire dal suo popolo e portando in se l’inizio della Chiesa della Nuova Alleanza, Maria si sente inserita nel cuore della storia. Questo rapporto può essere così rappresentato:
Israele ® Maria ¬ Chiesa
4.1. Ha soccorso Israele suo servo
La Serva richiama il Servo, la Vergine si sente solidale con il suo Popolo. Maria è l’Israele che sboccia nel compimento messianico – escatologico. Maria è dunque consapevole del suo inserimento in seno al suo popolo e si mette in cammino con esso verso il Messia. Ella si apre a tutta l’umanità, ma lo fa a partire dal suo popolo. In Maria e con Maria, Dio si è rivolto nuovamente al suo popolo, in quanto la sua maternità è in favore di Israele ed estende la sua influenza salvifica poi su tutta l’umanità. La grazia della maternità fatta personalmente a Maria, ha quindi un indubbio risvolto sociale, anzi universale: il suo Figlio è il Messia di tutti i poveri, il Salvatore del mondo intero.
4.2. Ricordandosi della sua misericordia (v. 54b)
Il versetto è un chiaro eco dell’AT: "Egli si è ricordato del suo amore, della sua fedeltà alla casa d’Israele" (Sl 98,3).
L’intervento di Dio è pura grazia, sia per Israele che per Maria, ambedue suoi servi.
4.3 Come aveva promesso ad Abramo e alla sua discendenza, per sempre (v.55)
Pur avendole fatte nella sua libertà come dono di grazia, Dio si sente impegnato nelle sue promesse e come vincolato ad esse. Oltre alla misericordia, ch’è anche la promessa che muove Dio ad agire nella storia. L’adempimento delle promesse fatte da Dio al suo popolo, passa attraverso Maria, la serva, mediatrice dei piani di Dio. Maria si erge qui come un ponte di collegamento tra Abramo, latore dell’antica promessa e Gesù, realizzatore massimo delle promesse di Dio:
Abramo ® MARIA ¬ Gesù
Il richiamo alla promessa fatta ai padri, ci richiama la resurrezione. Il Magnificat fu composto quando il messaggio del risorto si stava diffondendo per cui gli Atti affermano: "Noi vi annunciamo la Buona Novella, cioè, che la promessa fatta ai Padri si è compiuta, poiché Dio l’ha attuata per noi, loro figli, resuscitando Gesù". L’adempimento delle promesse cantato da Maria, trova quindi il suo compimento definitivo, escatologico, nella resurrezione di Gesù. Questa è la grande meraviglia, la "grande cosa" che in assoluto Dio ha compiuto nella storia. La luce pasquale illumina quindi tutto il canto della Vergine ed è in questa luce immortale del Cristo risorto che lei può esclamare che la misericordia di Dio si estende di generazione in generazione e che tutte le genti potranno proclamarla beata.