X. Maria e la donna

 

CAPITOLO XII

 

QUESTIONE FEMMINILE E MARIOLOGIA

 

1. Mariologia e movimento femminista

2. Maria e l’autocomprensione della donna

3. Maria, donna e ministeri nella chiesa

 

1. mariologia e movimento femminista

 

1.1. Percorsi delle donne tra gli anni ’60 e gli anni ’80

 

I percorsi della presa di coscienza delle donne in Italia, hanno seguito le tappe degli altri paesi europei e americani. Negli anni ’60 questi percorsi si riallacciavano ai temi di quella lotta per la parità sul fronte del diritto che caratterizzò gli anni del passaggio tra il XIX e il XX secolo e che già nel secondo dopoguerra, in quasi tutto l’Occidente, portò al riconoscimento dell’esercizio di voto, dell’accesso alla scolarizzazione superiore e universitaria e al lavoro extra – domestico anche per le donne. In particolare in Italia, il secondo dopoguerra ha visto le donne, cattoliche o non, impegnate nell’attività politica e nella promozione di associazioni femminili di ispirazione socio – politica, contrapposte però nella logica, tipica di quegli anni, della "guerra fredda". Se all’inizio del XX secolo si parlò di un "femminismo cristiano", negli anni ’60 e seguenti, si guardò con sospetto a questa terminologia, anche se le fasi del femminismo storico videro comunque come interlocutrici molte donne credenti. Esse ritennero di aver preparato il cammino e di aver contribuito alla fondamentale svolta conciliare che chiariva il concetto di "popolo di Dio" come entità includente allo stesso modo uomini e donne con pari diritti, doveri e dignità.

La crisi del ’68 esasperò le tensioni e le strade dell’autocoscienza femminile sembrarono abbandonare, anche per le donne credenti, i percorsi della fede. Fu il momento paradossale dell’insofferenza, delle risposte mancanti, del protagonismo al negativo, della rivendicazione del proprio diritto a radicale e assoluta autodeterminazione. L’impegno per la liberazione andò l’acquisizione di pari diritti per sfociale nella omologazione: la lotta per la parità sembrò percorribile solo sulla via dell’assunzione di modelli maschili dominanti, acriticamente recepiti e dell’identificazione delle libertà perseguite come valori insostituibili. Soltanto a partire dagli anni ’80 si delinea un’autocritica e, attraverso il percorso della "differenza sessuale" si denuncia l’omologazione ai modelli maschili come alienante e mutilante, mentre diventa la "diversità" l’unico valore irrinunciabile.

 

1. 2. Crisi del "modello mariale" e accesso delle donne alla teologia accademica

In questi percorsi appena accennati, si delineò subito una profonda frattura tra la scoperta e la rivendicazione della propria femminilità e il "modello mariale" proposto dalla Chiesa, come segno opposto all’imperante soggettività e al protagonismo. Il primo impatto del femminismo con Maria è perciò conflittuale, perché le femministe vedono in lei la negazione dei desideri di autodeterminazione delle donne e delle lotte che esse hanno intrapreso. Maria appare come il modello culturale antiquato e obsoleto riproposto dalla Chiesa come unica risposta all’identità femminile. Alla fine degli Anni ’60, proprio l’importante momento in cui alle donne veniva consentito l’accesso alla cultura teologica accademica, restò segnato da questo generalizzato rifiuto di Maria non solo come modello esistenziale ma addirittura come tema teologico. Questo rifiuto venne, in qualche modo, legato anche al rifiuto di quella "teologia della donna" ideata e sottoscritta da uomini e chierici (Evdokimov, Von Balthasar, Theilard de Chardin, De Lubac, Bonyer, Galot, De La Poterie ecc.), considerata poco innovativa e propositiva, perché ritenuta lontana dalla reale comprensione dei problemi e delle esigenze del mondo femminile. Molti interventi di questi autori, più che come espressione della "mistica della femminilità" vennero letti come "mistica mistificante", espressione, cioè, di elaborati creati ad hoc per opporsi ai percorsi della coscienza femminile.

Con l’accesso delle donne allo studio e alla docenza universitaria della teologia, nasce, nella prima metà degli anni ’70, la "teologia femminista" che si ricollega nel metodo e nelle attuazioni alla teologia della liberazione. Mentre però nel Nord Europa e in America essa si sviluppò su parametri polemici e critici che arrivarono ad evolversi fino al rifiuto della comunità di fede ritenuta inconciliabile con le istanze della riflessione femminile, in Italia si percorse un sentiero più moderato, anche se non meno impegnato che, per distinguerlo da quello appena descritto, venne chiamato "teologia al femminile". Questo percorso, seguito sia da gruppi che da singole ricercatrici, ebbe l’intento di promuovere una riflessione delle donne in tutti i campi del sapere teologico ritenuta indispensabile per correggere l’androcentrismo plurisecolare della teologia cattolica.

1.3. Il contributo delle donne alla Mariologia

All’inizio di questo percorso teologico, non è facile identificare il contributo reso dalle donne alla Mariologia nel contesto italiano. Sebbene Maria risulti una citazione obbligata nella rivisitazione femminile della teologia, non si può cogliere nel discorso mariologico uno spessore autonomo proprio, per cui nell’immediato post – concilio, non si hanno contributi di rilievo. Soltanto dopo la pubblicazione della Marialis cultus di Paolo VI (2 febbraio 1974), si comincia ad accentuare un’attenzione antropologica che guarda a Maria espressamente e direttamente nella sua dimensione di "modello". Gli apporti più considerevoli sono quelli offerti, sempre a metà degli anni ’70, da M.X. Bertola. La sua ricerca, iniziata presso la Pontifica Facoltà Teologica "Marianum" di Roma e mai portata a termine, parte dall’ipotesi di una interazione tra femminile – Maria – Chiesa e si muove sullo sfondo della Marialis cultus. Con la Bertola ci troviamo, proprio nel momento più critico del conflitto tra le donne e il "modello mariale", di fronte al primo tentativo di un rinnovato rapporto, creativo e ripropositivo con esso. Non tardano ad apparire i primi saggi femminili su Maria e le prime considerevoli monografie che prendono in serio esame il suo "mito" e il suo culto. Emergono tra l’altro i contributi di M.T. Bellenzier (voce "Donna" nel Nuovo Dizionario di Mariologia); M. Warner (Sola tra donne: mito e culto di Maria Vergine, Palermo 1980); L. Boff (Il volto materno di Dio. Saggio interdisciplinare sul femminile e la sua funzione religiosa, Brescia 1981); C. Holkes (voce "Mariologia" nell’Enciclopedia Teologica, Brescia 1990, p. 541).

I motivi che giustificano la crescente attenzione della teologia femminista a Maria, al di là delle singole posizioni, sono ritenuti questi:

1. Maria deve essere liberata dall’immagine che di lei è stata offerta e dalle proiezioni che una gerarchia ecclesiastica "maschilista" le ha attribuito;

2. Le donne si devono liberare da quelle immagini di Maria che le dominano e le soggiogano;

3. La teorizzazione di Maria deve tenere sempre conto dell’esperienza delle donne;

4. La trasversalità del discorso femminile, che consente un nuovo approccio su Maria come problema ecumenico;

5. La necessità di una disanima critica del "modello mariale" che veicola l’atteggiamento ambivalente della Chiesa e dei teologi verso la sessualità umana e soprattutto femminile.

La teologia femminista riscopre anche il fiat e il Magnificat di Maria, assumendoli come manifesto di una femminilità liberata e liberante, come aveva fatto la teologia della liberazione, in un percorso però non privo di ambiguità ed insidie là dove tenta l’assunzione simbolica o mitica di Maria quale riproposizione dell’eterno femminino o la qualificazione di Maria come "magna mater deorum", quale permanere del principio divino femminile, antecedente ogni teogonia patriarcale.

La teologia femminista continuerà fino ai nostri giorni a svilupparsi, assolvendo ad una funzione critica e provvidenziale, indice in ogni caso della necessità per le donne teologhe di guardare a Maria. Non è possibile, infatti, aver accesso alla realtà della fede senza guardare alla "Donna" Maria e senza fare appello al dato della sua femminilità. Maria viene via via compresa come il "luogo dell’accoglienza" per antonomasia, il luogo primordiale nel quale, ricostruendosi per intero le modalità della prima creazione, l’uomo e la donna, l’uomo e Dio vengono riconciliati. Si comprende sempre di più che una lettura di Maria che non parte dal dato dell’accoglienza del Verbo nella sua carne, che è prima accoglienza di Lui – Parola e dunque discepolato, risulta una lettura forviante per la Mariologia. Maria appare così come la "Donna nuova", la "Nuova Eva" in cui si ricompone la lacerazione primordiale, divenendo per questo il prototipo dell’umanità redenta, tutta intera interlocutrice della salvezza. Ne risulta evidenziato il suo splendore di "Donna", tanto da poter parlare di lei in termini di "teologia della bellezza" non in senso estetico, ma come segno di corrispondenza armonica e vitale, come valore intratrinitario di completezza e perciò cosmico e antropologico. Questa lettura è comunque ritenuta possibile solo se si libera Maria dal ruolo negativo di alibi per l’esclusione delle donne dalla comunità che le è stato nel passato attribuito e se si riconosce come indispensabile la teorizzazione della recettività e dell’accoglienza come principio interpretativo della storia e del cosmo in unione col Risorto, nello Spirito.

1.4. Tra "Redentoris mater" e "Christidideles laici"

Il momento culminante della presa di posizione del Magistero sulla questione femminile e sul rapporto donna – Maria appartiene a tre documenti pontifici: "Redentoris mater", "Mulieris dignitatem" e "Christifideles laici" di Giovanni Paolo II.

Se al n° 46 della "Redentoris mater" il papa sottolinea lo speciale rapporto tra la femminilità e la Madre del Redentore, è tuttavia nella "Mulieris dignitatem" che egli assume il femminile come chiave ermeneutica. Caratteristica del documento è l’apertura al termine "reciprocità" da cui partendo il pontefice delinea l’essere per l’altro dell’uomo e della donna, relazionandoli, in tale mutualità, al mistero stesso delle divine persone (n° 6-8). Con Maria, il principio di "reciprocità" raggiunge il suo apice e il mistero della donna viene inserito in pieno con questa caratteristica nel mistero salvifico, come segno della presenza attiva del femminile nella storia della salvezza. La categoria della "reciprocità" non è, quindi, considerata dal papa solo chiave ermeneutica del femminile, ma anche di tutto il mistero mariano. Per la "teologia al femminile" sono queste intuizioni nuove e ricche, ma i fondamenti antropologici della condizione maschile e femminile così delineata, hanno bisogno, come la stessa "Christifideles laici" al n° 50 riconosce, di studi approfonditi per la soluzione dei problemi relativi al vero significato e alla pari dignità di ambedue i sessi.

1.5. Verso una riproposizione del trattato al femminile

I primi manuali a carattere mariologico apparsi in Italia e scritti da donne, appartengono alla polacca Maria Winowska, operante in Francia e a due studiose brasiliane, L. Gebera e M.C. Bingemer. Nel suo libro "E venne una donna. Madre di Cristo e madre della Chiesa" (Torino 1991), la Winowska ripropone la storia del dogma e del culto mariano senza tuttavia uno spessore teorico e senza alcun dialogo critico con le istanze femminili. Esso mette sotto assedio in maniera sconcertante la figura di Maria e la ripropone con schemi del primo femminismo oggi difficili da accogliere tanto da uomini che da donne. Quello che con evidenza si nota nell’opera è che l’istanza divulgativa prevale su quella scientifica. Molto diversa è invece l’opera delle due brasiliane "Maria, madre di Dio e madre dei poveri" (Assisi 1989), che si propone di rileggere il tema mariano, all’interno di un cambiamento metodologico legato all’angolatura ermeneutica della teologia della liberazione e della teologia femminista, sotto il profilo del metodo e dei contenuti. Uno degli aspetti positivi dell’opera è l’aver sottolineato con forza l’aspetto relazionale e dialogico di Maria che con tutto il suo essere e il suo pieno contributo annuncia il "regno di Dio" di cui è anche evento.

Altre opere di notevole rilievo mariologico sono quelle della più nota teologa femminista italiana Cettina Militello. Nel suo libro "Maria con occhi di donna" (Casale Monferrato 1991) la teologa siciliana delinea il mistero di Maria presentandola come prototipo del femminile e della Chiesa e affronta al femminile varie questioni aperte come quella della verginità di Maria e vari aspetti della vita ecclesiale, concludendo l’opera con l’interessante capitolo sul rapporto di Maria con lo Spirito Santo. L’altra pubblicazione di piccole dimensioni ma densa di contenuti è "Mariologia" (Casale Monferrato 1991) che ripropone in maniera strutturalmente nuova la dottrina tradizionale della Mariologia cattolica, sottolineando in Maria il suo essere "discepola" e "nostra sorella". Il tema mariano è anche affrontato in un’altra pubblicazione dal titolo "Donna in questione" (Assisi 1992). Al capitolo IV l’autrce parla della "Relazione singolare della femminilità con la Madre del Redentore" commentando il n° 46 della "Redentoris mater" e al capitolo successivo affronta il tema di "Maria e la diaconia della donna nella Chiesa".

1.6. Rilievi conclusivi

Per concludere e ricapitolando tutto quello che si è detto fin qui, si può sintetizzare così la posizione della "teologia al femminile" nei riguardi di Maria:

1. Gli asserti dogmatici relativi alla Madre del Signore, vanno riletti e rivisitati alla luce del "principio di reciprocità" teandrica, umana e cosmica, sugellata dalla fede della comunità;

2. Da rivisitare è anche l’aspetto di relazione funzionale di Maria, soprattutto quello della maternità e della verginità e della sponsalità. Questi aspetti, infatti, non esauriscono l’essere donna di Maria perché non esauriscono tutto il senso della persona umana femminile, così come non esaurisce il senso della persona umana maschile l’essere padre, sposo o celibe. Questo, non tanto per negare lo spessore positivo della relazione funzionale, quanto per sottolineare la necessità di accogliere la persona di Maria nella sua metafisica e irrinunciabile originalità che il sesso solo specifica ma non esaurisce:

3. La realtà di Maria deve essere compresa come l’adeguatezza per grazia dell’umano al divino, la risposta adeguata alla chiamata, alla comunicazione, all’incontro. Tutto ciò che in Lei si compie avviene a partire dalla sua capacità di risposta e se tocca la sua femminilità corporea, la tocca dopo e non prima che ella abbia disvelato tutta attiva la sua condizione di creatura costituita ad immagine del Dio trinitario;

4. Maria deve essere liberata dalle strette della mistica mistificante della femminilità ed essere ricondotta alla condizione di creatura che in modo esemplare a corrisposto alla sua vocazione di grazia:

5. Maggiormente sottolineato deve essere il rapporto di Maria con la Chiesa, al cui interno si realizza la sua soggettività di discepola che la fa essere un modello per Chiesa stessa. Solo restituendo pienamente Maria alla Chiesa, sarà possibile comprendere la sua pienezza e la sua totalità come "mistero di comunione" con Dio e con gli uomini.

 

2. Maria e l’autocomprensione della donna

2.1. La figura "biblica" di Maria modello per la donna contemporanea

Per molte donne di tutto il mondo, Maria è una persona viva e vicina ai problemi quotidiani. Soprattutto per milioni di donne povere, Maria è la realtà più importante della loro vita, il nucleo di quella energia spirituale che le sostiene nel faticoso cammino dei giorni e degli anni. Con Maria esse vivono giorno per giorno, a lei si rivolgono nelle difficoltà della vita e attendono da lei che le aiuti e protegga. Maria per queste donne non è un problema, ma piuttosto una presenza, una compagna e soprattutto una madre che infonde speranza e fiducia nel Dio della misericordia e dell’amore. Per molte altre donne, soprattutto dell’area culturale industrializzata, invece, Maria costituisce un problema in quanto il riferimento a lei risulta a prima vista in contrasto con il tipo di donna che oggi si vuole realizzare. Maria sembrerebbe un "modello" arcaico, improduttivo e, di conseguenza, impossibile da imitare per la donna contemporanea.

A tentare una riconciliazione tra Maria e la donna contemporanea che spesso l’ha rifiutata non riuscendo a inquadrarla negli schemi di vita della società odierna, è stato Paolo VI nella sua Esortazione Apostolica "Marialis cultus". La prima cosa che il Pontefice fa è quella fondamentale di distinguere l’autentica "immagine evangelica" della Madre del Signore, da quella "popolare e letteraria" che dipende dall’antropologia e dalle forme rappresentative delle varie epoche culturali. Pur riconoscendo un fatto normale l’inculturazione della figura di Maria, il papa ne riconosce anche la limitatezza, in quanto non ogni forma inculturata è valida per tutte le epoche e tutte le civiltà. Paolo VI propone quindi una lettura biblica della figura di Maria per riscoprire quell’autentico volto della Vergine di Nazaret, fondato sulla perennità della Parola di Dio. Partendo dalla sua condizione femminile odierna, con le sue aspirazioni di una maggiore responsabilità nella società e nella Chiesa, la donna può scoprire nella figura evangelica di Maria dei connotati che corrispondono a suoi precisi ideali. Secondo la "Marialis cultus" alcuni di questi connotati sono:

- dialogo responsabile con Dio: Maria, chiamata al dialogo con Dio, dà il suo assenso attivo e responsabile;

- capacità di andare controcorrente: come fece, ad esempio, con la scelta, allora controcorrente e umiliante, della verginità per consacrarsi totalmente all’amore di Dio e al servizio del Figlio;

- religiosità liberatrice: Nel suo Magnificat la Vergine si dimostra tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e dei poveri e rovescia dai loro troni i potenti del mondo;

- fortezza d’animo: che le fa sopportare povertà e sofferenza, fuga ed esilio;

- maternità non possessiva: poiché Maria non è stata una madre gelosamente ripiegata sul proprio figlio, ma una donna la cui funzione materna si dilatò, assumendo sul Calvario dimensioni universali.

L’immagine biblica di Maria, liberata da tutte le incrostazioni dei secoli, rappresenta quindi anche per la donna del nostro tempo non già un peso da cui liberarsi, ma uno specchio o modello di donna responsabile e dagli accenti fortemente liberatori. Anche la sua verginità e la sua maternità sono atti di piena libertà e aperture del suo essere donna in pienezza al piano della salvezza, ben al di l° delle mere funzioni fisico – biologiche.

2.2. Nesso necessario tra Maria e la donna

Scoperte le potenzialità sorprendenti e attuali della figura biblica di Maria, dobbiamo riconoscere anche che la Vergine può essere assunta a paradigma delle donne contemporanee, solo se è in intima relazione con la donna stessa. In questa luce risultano importanti le considerazioni che Giovanni Paolo II ha fatto a questo proposito nell’enciclica Redentoris mater (1987) e nella lettera apostolica Mulierem dignitatem (1988).

Tra Maria e la donna c’è un nesso necessario. Già sul piano naturale, quello che accade in Maria concerne in qualche modo la donna e contribuisce alla sua storia e alla sua comprensione, perché appunto Maria è donna. Ma il nesso più profondo tra la donna e Maria è dato dal fatto che Maria, in quanto donna, è chiamata ad occupare un posto importante nella storia della salvezza. La scelta di Maria da parte di Dio che nella "pienezza dei tempi" fa nascere suo Figlio "da donna" (Gal 4,4), rivela al massimo grado il modo di agire di Dio nei riguardi della donna stessa. Maria perciò rivela la donna alla donna, perché costituisce l’orizzonte storico – salvifico della sua definitiva comprensione.

Che cosa ci rivela in concreto Dio in Maria? Dio ci rivela che la donna non è oggetto ma una persona e si manifesta come il volto tenero e materno di Dio.

2.3. In Maria la donna si autocomprende come persona

La donna non è oggetto ma persona, realtà questa che precede ogni altra determinazione, compresa la divina maternità e risponde ad un postulato fondamentale dei movimenti femminili. Dio non mette Maria dinanzi al fatto compiuto, ma la tratta con rispetto come persona responsabile e le chiede il libero consenso a diventare la madre del Messia salvatore (Lc 1,29-36). L’Annunciazione è un dialogo in cui Maria esprime la sua libera volontà e dunque la piena partecipazione del suo "io" personale e femminile all’evento dell’incarnazione. Questo significa che con Maria si ha la nascita della "personalità cristiana" e l’avvento della donna autentica. Da questo derivano importanti conseguenze:

- Come persona Maria non è solo paradigma per le donne, ma anche per gli uomini, in quanto è voluta per se stessa, come donna partner nell’inizio della nuova alleanza. In quanto tale ella risponde a nome di tutta l’umanità, è la "rappresentante e l’archetipo" sia degli uomini che delle donne;

- come donna Maria mette a disposizione di Dio il suo essere femminile nella sua predisposizione naturale per la maternità e nelle doti morali che essa comporta: dono di sé, accoglienza e protezione della vita, resistenza al dolore, affettuosa tenerezza. Da parte sua Dio sceglie il modo verginale per l’incarnazione del Verbo: Maria diventa madre ma con l’esclusione dell’elemento maschile;

Con questo modo di agire, che non tiene conto delle discriminazioni esistenti nel mondo antico circa la donna, Dio indica il suo amore di predilezione per la donna, creatura debole ed emarginata e decreta in Maria la fine del dominio dell’uomo sulla donna. Anzi con la concezione verginale decreta la fine del regime patriarcale, perché Gesù non è generato dalla potenza del maschio. Nella nuova alleanza non conterà più essere uomo o donna, ma conta solo la fede.

In Maria la donna contemporanea può comprendere che essere donna vuol dire entrare in dialogo e collaborazione con Dio, come persona che compie il dono di sé per realizzare il piano della salvezza, dono che si esplica, secondo la propria vocazione, nelle forme della verginità, della sponsalità e della maternità.

 

2.3. La donna rivela la tenerezza materna di Dio

Dio che è mistero e abita in una luce inaccessibile, si manifesta agli uomini suoi amici nella creazione, nella storia e in primo luogo in Cristo sua icona e piena rivelazione. Quindi anche l’uomo stesso e la donna rivelano il mistero di Dio, ambedue sono un discorso di Dio su se stesso (RM 8) e manifestano qualcosa del suo infinito mistero in particolare il suo essere personale e libero, la reciprocità e comunione d’amore e il suo potere di generare. Più specificamente l’uomo e la donna esprimono l’amore di Dio che la bibbia presenta sia come amore "maschile" dello sposo e padre (Os 11,1-4; Ger 3,4-19), ma anche come tenero amore femminile della madre (Is 49,14-15). La donna e tanto più Maria sono un segno evidente di tale tenerezza. In Maria che, come il Padre nell’eternità, genera al tempo il Verbo ed è quindi donna e madre, la misericordia e la tenerezza materna di Dio trovano una mirabile espressione. La misericordia di Dio, cantata da Maria nel suo Magnficat ha connotati materni: il termine "misericodia" esprime la parola ebraica rah’mim che deriva da rehem ed indica un amore gratuito, comprensivo, fedele e invincibile grazie alla misteriosa forma della maternità. Non fa meraviglia che proprio la "misericordia" e la "maternità" siano due attributi che la tradizione ecclesiale riconosce spiccatamente a Maria: in oriente con il tipo iconografico della "Madre della tenerezza" (Eleousa), in Occidente con il titolo "Madre di misericordia".

3. Maria, donna e ministeri nella Chiesa

Se la Vergine è "tipo della Chiesa" vuol dire che in lei la Chiesa si specchia per trovare il suo essere sul piano ontologico e il suo dover essere sul piano operativo. Maria è dunque paradigma sia degli uomini e sia delle donne nella Chiesa, perché rivela a tutti la struttura basilare della Chiesa che è verginale e materna, caratterizzata cioè dal "si!" dalla fede e dell’amore verso il Padre per cooperare con lo Spirito alla nascita di Cristo nel cuore dei fratelli.

3.1. Maria sorella nel discepolato

Chiamare Maria nostra "sorella" vuol dire che essa condivide la nostra condizione umana in quanto figli di Adamo, ma anche la sua partecipazione alla fraternità/sororità cristiana come membri della Chiesa redenta da Cristo. In questa prospettiva Maria appare come la prima "discepola" di suo Figlio perché, a partire dall’annunciazione, accoglie la Parola con l’obbedienza che sarà richiesta a coloro che sono chiamati a diventare discepoli di Gesù, avanzando nella peregrinazione della fede. Uomini e donne, fratelli e sorelle di Maria nel discepolato, hanno molto da apprendere spiritualmente da lei: Maria li conduce verso la pienezza della loro vocazione cristiana che è la maturità spirituale in Cristo, cioè la pienezza della fede e dell’adesione a Lui. Soprattutto la donna trova nella "sorella" Maria un aiuto concreto di come affrontare i problemi della sua esistenza, dato che Maria si presenta come la Donna nuova e perfetta cristiana che riassume in sé le situazioni più caratteristiche della vita femminile perché vergine, madre e sposa.

3.2. Maria, donna, ministeri

Passando dall’ordine della santità a quello dei ministeri e dei carismi, il riferimento a Maria diventa più problematico perché essa rischia la strumentalizzazione per provare determinate tesi a favore o contrarie ai ministeri ecclesiali delle donne. Occorre quindi procedere con cautela, partendo sempre dalla realtà testimoniata dal dato biblico.

3.2.1. Lo spirito di servizio

Come "serva del Signore" (Lc 1,38) Maria è certamente un paradigma dello spirito di servizio che deve animare ogni carisma nella Chiesa. Maria insegna a tutti ad esorcizzare il potere e il prestigio da ogni uso egoistico e individuale: ella vive la sua somma dignità di Madre di Dio come umile disponibilità e collaborazione al piano di Dio. Inoltre la donna, guardando a Maria, trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità ed attuare la sua vera promozione nella Chiesa e nel mondo.

3.2.2. Carismi di Maria

La Madre del Signore entra legittimamente nella storia della salvezza e partecipa alla condizione del popolo di Dio, in particolare ai carismi distribuiti dallo Spirito Santo per l’edificazione della Chiesa. Maria è riconosciuta dalla Tradizione della Chiesa soprattutto come profetessa perché, dopo l’effusione dello Spirito, canta nel suo Magnificat le lodi di Dio che si manifesta nella storia.

3.2.3. Maria e i ministeri

Sul piano dei ministeri esistono delle evidenze che concernono Maria in quanto donna:

a) Maria non è stata ordinata sacerdote nel senso canonico del termine. Da questo fatto Epifanio di Salamina (+403) deduce l’esclusione delle donne non solo dal sacerdozio ma anche dall’amministrazione del battesimo. Infatti, scrive Epifanio, se Dio avesse voluto che le donne esercitassero il sacerdozio, chi meglio di Maria avrebbe potuto adempiere la funzione sacerdotale del Nuovo Testamento, lei il cui utero divenne il tempio e il domicilio in cui il Signore realizzò l’economia della sua incarnazione? Questo motivo "mariano" per l’esclusione delle donne dal sacerdozio si è ripetuto non solo nel Medioevo, ma giunge fino a noi con la dichiarazione Inter insignores del 1976. C’è da augurarsi comunque che questo argomento "mariano", in un momento in cui ai laici viene riconosciuta l’abilitazione ad essere ministri del battesimo e del matrimonio e ad insegnare le scienze sacre (CIC, can 229 e 232, § 3) venga accantonato per riferirsi a Maria per quello che Dio ha operato in lei e con lei.

b) E’ molto più produttivo ispirarsi a Maria che ha ricevuto da Dio il più alto ministero nella Chiesa, quello della maternità divina, per appoggiare una maggiore partecipazione della donna nella vita ecclesiale anche nel campo dei ministeri canonici, secondo la maturazione della stessa coscienza ecclesiale. In particolare non si vedrebbe difficoltà ad ammettere la donna ai ministeri non ordinati del lettorato e accolitato, mentre ormai aumentano le voci, sia in oriente che in occidente, che richiedono l’ammissione delle donne al diaconato. Secondo, infatti, studi recenti risulterebbe non soltanto che il diaconato femminile è un’isituzione che esisteva nella chiesa unita prima dello scisma del 1054, che è riconosciuta da tre concili ecumenici (I, IV V/VI) ma l’esistenza dell’ordinazione diaconale delle donne nel corso del primo millennio. Questo ministero infatti, secondo la Didascalia Apostolorum e le Costituzioni apostoliche, cioè dall’inizio del III secolo, veniva conferito con un rito liturgico che comportava gli stessi elementi considerati essenziali per l’espiscopato, il presbiterato e il diaconato maschile: l’imposizione delle mani, l’invocazione dello Spirito Santo sull’eletta perché potesse compiere degnamente il suo ministero, la consegna della stola diaconale e, in particolare a Costantinopoli, anche la consegna del calice con il sangue di Cristo. Il lavoro di chiarificazione e fondazione critica di questi dati è in corso.

3.2.4. Maria tipo del popolo sacerdotale

La Chiesa, afferma la dichiarazione Inter insignores del 1976, per fedeltà all’esempio del suo Signore, non si considera autorizzata ad ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale. Si tratta di una tradizione continua e universale che riveste un carattere normativo in quanto si appoggia sull’esempio di Cristo e viene considerata conforme al disegno di Dio per la sua Chiesa.

Al di là delle distinzioni ministeriali, Maria appare per tutti come "tipo del popolo sacerdotale" che si unisce a Cristo per celebrare nel rito liturgico e nella vita il mistero della salvezza. Maria è il "luogo della presenza e tenda dell’Altissimo" che suggerisce una transitività cultuale che non può essere disattesa. Maria è luogo epicletico, luogo di evocazione – invocazione dello Spirito Santo. La sua potenza trasformante sorregge la maternità divina, fa di Maria la nuova arca, verso la quale erompe il giubilo del popolo. E ancora: Maria che offre il proprio Figlio a Dio nel tempio di Gerusalemme e poi entra in comunione con il suo sacrificio sul Golgota, non è forse figura della Chiesa che offre il suo sacrificio eucaristico, in unione, mediante lo Spirito, con l’unico Sommo Sacerdote? Per questa sua comunione con il mistero della redenzione, Maria assolve al compito di formare a quella piena, consapevole e attiva partecipazione alle celebrazioni liturgiche, che è richiesta dalla natura stessa della liturgia. Nessuno come lei prese parte al sacrificio del Figlio, perciò va riconosciuta come figura prototipa della chiesa ministeriale e carismatica, in quanto in lei coincidono servizio e carisma, ministero e santità.

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